80 notti

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23 giugno 1998

Ho sempre apprezzato le notti d'estate. Sono il mio momento preferito di tutto l'anno.
Non riesco quasi mai a dormire, il caldo pesa sul mio corpo e mi strappa dal sonno. Passo le notti a leggere, a scrivere, ad aspettare l'alba.
C'è pace nella mia mente solo durante quelle ore. Tutti dormono, stremati dal caldo, resto solo io e solo resto, coinvolto nelle storie dei cervelli di autori geniali o di altri meno bravi, in libri ingialliti dal tempo e dalla muffa e in quelli nuovi che profumano freschi di stampa.

Poi arriva l'alba, mi affaccio alla finestra e guardo il sole che placido sorge da dietro le magnolie nel giardino.
Provo a dormire un paio d'ore, dalle cinque della meravigliosa resurrezione del sole, alle sette, unico momento fresco della giornata. Riprendo il libro che stavo leggendo la notte prima ed esco nel giardino.
Il caffè è già pronto, come di consueto, lasciato nella moka da mia madre, che esce prima di me per lavorare.
Lo verso nella tazza, ci aggiungo il latte, metto lo zucchero e accendo la sigaretta.
Rex zampetta felice verso di me, prende dalla mia mano un pezzo di pane e si stende ai piedi della sdraio.
È una routine fissa, scandita dal cantare degli uccelli e dal sole che inizia a estendersi nel giardino fino a toccarmi, a quel punto rientro in casa.
Mia sorella si alza, quindi la sigaretta va spenta, va rifatto il caffè e si inizia la giornata vera e propria.
«Giona, vado a fare la spesa» mi avvisa lei, prendendo le chiavi dell'auto e ignara di quella che è la mia vita notturna.
Io mi ristendo sul letto, ammazzato dal sonno. Inizio a scrivere.
Flussi di coscienza incontrollati, frasi, titoli. Mi chiedo quando raggiungerò l'ordine mentale. Ma i poeti, gli scrittori, gli artisti, non sono mai coscienti di loro stessi, non sono mai ordinati, non ordinano la mente, e ancor meno ordinano il cuore.

Vorrei avere più notti estive di quelle che avrò.
Ci sono ottanta notti in estate, ho conosciuto Marta durante la diciassettesima notte estiva. Durante la diciassettesima notte della mia diciassettesima estate.
Era bellissima, sembrava uscita dal mix incantevole della luce che cade, strigliata dai rami dei salici, e dal lago coperto di foglie in superficie. Veniva dalla Toscana, era in vacanza con le amiche. Aveva i capelli chiari, naturalmente mossi, un mosso reso più vivo dal continuo contatto con l'acqua salata.
Indossava sempre top fatti all'uncinetto e lunghissime gonne colorate, a volte pantaloncini di jeans e camicette. Tra i capelli fasce floreali e a tracolla una borsa di cuoio, fatta a mano dai sapienti mastri fiorentini.
Si aggirava tra il bianco dei borghi salentini come un gatto randagio si aggira tra le case abbandonate.
Ero inebriato dal profumo dei suoi capelli, un cocco delicatissimo, e sconvolto dal verde suoi occhi.
Le sue dita sulla chitarra hanno catturato in mezz'ora ogni mia attenzione.
Le ho mostrato ogni centimetro del mio paese, raccontato ogni cosa che mi passava per la mente. Lei ascoltava e poi quando mi zittivo partiva a raffica con quella che era la sua vita. Il sogno di andare all'università e diventare giornalista, l'amore per i bambini e il volontariato. Una solarità così non l'avevo mai vista. Abbiamo pianto, riso, ci siamo amati. Abbiamo amato quella complicità che si crea tra due persone che di tempo ne hanno ben poco e quindi ogni connessione è accelerata, e dico davvero quando dico che a volte, le persone che lasciano l'impronta più significativa nei nostri ricordi, sono quelle che restano per poco nella nostra vita e di cui conosciamo già l'impossibilità del rapporto.
Ci siamo visti per le seguenti cinquantatré notti.
Poi arrivò quel treno, su quel binario, in quella stazione affascinante e carica di addii e speranze.
Non ho più visto Marta, non ho più visto i suoi capelli e le sue gonne.
Ma non riesco a dimenticare quella sua risata, quei suoi abbracci, né, tantomeno, i suoi baci.

23 giugno 2000

Ora siamo in una notte della mia diciannovesima estate. Regna il silenzio, lo stesso che c'era tra me e Marta su quel binario, interrotto solo dal chiacchiericcio in lontananza dei suoi amici, che aspettavano pazienti la fine del nostro abbraccio.
Regna il nero, quel nero che non avevo mai visto nelle notti e nei giorni passati con lei.
Il giorno della sua partenza le regalai un fischietto, uno di quelli in terracotta che si comprano alle feste di paese. Decorato con colori vivaci. La pensavo ogni volta che un bimbo ci soffiava incessantemente dentro per far rumore e infastidire i passanti. In queste notti ripenso spesso a Marta.
Ha iniziato l'università, come voleva? Ha festeggiato il suo diciottesimo? Non lo so.
Ci penso e mi rigiro, perché in queste notti d'estate, il sonno non è mai interrotto dal caldo.
Sento un qualcosa, fuori, in strada, un suono acuto, traballante.
Esco, anzi, mi getto fuori dalla porta.
Le ottanta notti sono appena iniziate, sei arrivata in tempo per la prima. Quest'anno sei in anticipo.

Dicono che se un poeta si innamora di te non morirai mai e poi mai, perché vivrai per sempre dentro all'inchiostro lasciato nelle sue pagine. Non farò mai morire il tuo nome, non permetterò che il tuo volto sia dimenticato, amerò e scriverò, tratteggiando la tua memoria in un quaderno scomposto, in quel flusso incontrollato di parole, atti e pensieri.
Lo farò nelle notti estive, nelle notti invernali, quando nessuno mi vede. Lo farò nelle piazze a mezzogiorno, nei ristoranti ai matrimoni, quando tutti ascoltano. E tutti ascolteranno me, uno stupido ciarlatano, e tutti si innamoreranno di te, la bella e folle eroina dei miei canti.

Le cinque del mattino, è quasi l'alba. Guardiamola insieme, Marta, viviamo insieme tutte le nostre future albe.

T O R N A D ODove le storie prendono vita. Scoprilo ora