Un Natale Paranormale

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Questo racconto partecipa alla sfida appena apertasi una nuova volta seguendo questo 12° prompt: È la notte del 24 dicembre, sei a casa con i tuoi amici quando qualcuno bussa alla porta. Trovate solo un pacco regalo e subito lo scartate: si tratta di uno strano gioco di società... [1000 parole]

Il bello fu che neppure feci in tempo a esclamare "Tombola!" che lo scampanellio mi arrestò. Era un trillo alquanto strano e particolarmente prolungato, decisamente misterioso. Tutti saltammo di giù dalla sedia per il suonare improvviso, curiosità mista a paura ci pervase. Sapevamo a che stavamo andando incontro ma non a cosa di preciso. Solo allora Salvatore, il solito della comitiva, ancora osava scherzare.

"È Babbo Natale, guai a voi... monelli, a tutti cenere e carbone..." il suo riso sghembo interruppe il silenzio che seguitava sovrumano.

Quatta quatta, solo dopo aver guardato cadauno dei presenti, mi accinsi nello spingermi di giù dalla seggiola dirigendomi verso la porta fino ad azzardarmi nell'aprire. Non seppi neppure come feci eppure non diedi neppure un piccolo sguardo all'occhiello che la spalancai incauta. Al di là di quel battente non vi era assolutamente nessuno. Guardai verso ciascun'angolazione non un'anima mi comparve là dinanzi. Sarà stato un ragazzino che poi è scappato, non ho mai creduto a fantasmi o creature simili, la mia mente è da sempre stata più che scientificamente fondata. Solo allora il mio sguardo cadde obbliquo verso lo zerbino vellutato e scuro che si ergeva quasi del tutto indisturbato dinanzi a me e scorsi una presenza alquanto strana che ora indugiando e ora no afferrai senza troppi scrupoli com'ero solita fare, infin dei conti sono stata sempre spinta da un certo stato di temerarietà. Imbracciato l'arnese strambo e per giunta di altrettanta stramba provenienza, mi riportai verso l'interno della dimora. Richiuso il portoncino, il buio era ancora quasi totale. Solo la luce del lampione del viale condominiale più vicino a me e dell'abete che si impossessava perdutamente della stanza lasciando intravedere qualche sagoma ma ancora irriconoscibile per la scarsa luminosità. Non avevo neppure pensato di accendere il lampadario o qualche abat-jour che arredava la vastità dell'area del soggiorno che in quel mentre generoso mi intratteneva, quel tintinnio improvviso mi aveva completamente destabilizzata. La mia testa era ancora totalmente disinserita e con essa anche il corpo, bisognava figurarsi che era proprio così.

"Chi era?" chiese poi Beatrice cogliendomi nel mio vago indietreggiare, al che feci spallucce ma la sua cera non cambiò di un minimo passo.

Avrà anche lei notato quello strano aggeggio che recavo tra le mani?

"Non so, ho solo trovato questo..." feci allorché.
"Ho visto, cos'è? Fammi vedere un po', non hai paura..." era più allibita di me, non ebbe il tempo neppure di terminare la frase che irruppi così io e ancora una volta ma a questo dunque mi lasciai accompagnare da un'insolita fronte aggrottata e dalle rughe che ne completavano il suo prematuro disegno senza lasciarmi differentemente mai.
"E se pensi alla paura che la prendi a fare, scusa... comunque anche questo non si capisce e neppure un po'..." continuai col fare spallucce mentre mi spingevo sempre più verso il cuore del mio tanto amato casolare.

Nel frattempo erano accorsi gli altri, era una festicciola che aveva radunato ben 12 persone: eravamo io, i miei quattro amici e mia sorella, le nostre rispettive metà ma senza dimenticare il gatto che a quanto pareva adesso si trovava tutto bello spaparanzato e pacioso sul suo immancabile sofà. Giunsi alla luce, guardavo il volto altrui nel frattempo incontrato.

"Chi era? Cosa, un pacco e chi te l'ha mandato, il tuo Fernando è qui... o hai giocato, cognato o cosa?" fu la volta di mia sorella Marina e solo allora ne delineai i contorni precisi di quel tanto indicibile affare, un dubbio sorse così nel bel mezzo del volto del mio ragazzo.

L'avrei uccisa, lo giuro. Questi era sul punto di abbandonarci tutti e quella ancora non si spegneva, neppure di un solo istante.

"No, aspetta... amore, lasciati spiegare... non so chi sia, non c'è nessun altro all'infuori di te..." mi avrebbe mai potuta credere?

Ormai.

"Dammi qua..." fu la volta di Demetrio, per quanto glielo avessi allontanato portandomelo verso la parte più lontana da quel, riuscì comunque a strapparmelo di mano.

Ugualmente. Ci riusciva sempre, d'altronde.

"Tu dammi qua..." il mio broncio resisteva e resistette invano allorché.
"Ragazzi, attendiamo tutti... è una tavola OUIJA!" il sorriso sghembo e sgomento una volta scartato il pacco ma era tutta finzione o almeno per ora, solo per atterrire noi.
"E allora? Che ne sarà mai?" la voce della sua dolce metà che recava il nome di Caterina era la sola a farne l'assoluta differenza, solo quella non ne era minimamente a conoscenza di ciò da eterna e autentica ingenua, queste erano le sue più spiccate "qualità".
"Come al solito lei..." sghembo anche lui adesso, gli altri non smettevano nell'avere gli occhi spalancati spinti che erano dalla più angosciante novità, non riuscirono neppure a ridere alla battuta del più grosso.

Non adesso.

"Allora, cominciamo?" solo Salvatore era il solito nel differenziarsi totalmente dal resto della cricca.
"Ed ecco lui..." di nuovo Demetrio e sempre più plateale "Comunque e dunque, ecco la tavoletta e va per terra..." discorreva ancora, con un gesto di mano aveva dato il via a una grande pulizia che aleggiava allorché sovrana sul tavolo.

Poco più in là, il marasma più assoluto.

"Ed ecco le placchette, al mio via... si parte, ok... io so, seguite le mie istruzioni... va bene, abbiamo capito tutti? Si..." incaricava ancora lui tutto beato e si rispondeva da solo, faceva tutto lui.

Teneva in qualche modo banco.

"Via!" e mica aveva finito di ordinare.

Non ci dormii per una notte o meglio non così tanto. Il karma, l'unica cosa a cui in un certo senso credevo, volle che i miei occhi si ridestassero tutto a un tratto. Spostai lo sguardo verso sinistra e incontrarono l'orologio che era la singola cosa che allorché presenziava sul mio comodino, a parte l'abat-jour che mi risultava come la cosa più strana di tutto l'insieme. La sua luce era soffusa e tremava, in più erano le mie congetture a non tornare affatto. C'era, c'era che mi sentivo osservata. Osservata da qualcuno o da qualcosa, qualcosa, ahimè, di alquanto ancestrale. Forse era un'anima di fantasma. Guarda caso, le lancette mi indicavano le 3:33.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 21, 2023 ⏰

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