"Benvenuti a New Orleans" il conducente annunciò un po' scocciato mentre cercava di evitare le corsie ingombre di artisti di strada, macchine e vari traffici di persone che correvano da un marciapiede all'altro. Mio padre non rispose, si limitò solamente a fare un piccolo cenno con la testa per far capire che lo aveva sentito. Non era mai stato un amante delle città rumorose e affollate, amava la tranquillità, il silenzio e il dolce rumore del vento che attraversava la valle accarezzando il suo viso scarno, che ormai era ricoperto da qualche ruga e da piccoli baffi bianchi. Non si sentiva a suo agio nelle grandi città, mi ripeteva "Dove c'è gente c'è rumore, dove c'è rumore c'è pericolo e dove c'è pericolo c'è silenzio di tomba" non so perché ma quella frase per me non aveva mai avuto senso, serviva solo a incasinarmi di più i pensieri. Non era suo solito parlare con me e se mi parlava era solo perché avevo combinato qualcosa di sbagliato o magari per avvisarmi. Era un uomo di poche parole, ti capiva solo attraverso lo sguardo e io potevo rivolgermi a lui solo dopo che lo stesso mi avesse concesso la parola. Io non ero come lui. No affatto. Io ero più come mia madre, dolce, amante del buon gusto, della pulizia, amante del pericolo e della musica. Era mio solito parlare ore e ore con lei, fino allo sfinimento, ci raccontavamo tutto, ridevamo e eravamo felici. Si, New Orleans rispecchiava troppo mia madre e me. Mentre guardavo fuori dal finestrino mi immaginavo e rivedevo in piccole bambine che ballavano in mezzo alla via, loro erano felici, io lo sarei stata.
Il conducente schiarì la voce con un colpo di tosse e poi con fare goffo e inappropriato cerco di risultare il più elegante possibile mentre si rivolgeva a mio padre "Bene signor Oleander siamo arrivati nella vostra dimora, spero che voi e la vostra fanciulla possiate trovarvi bene" scese dalla macchina e si avvicinò zoppicando verso la portiera di mio padre, l'aprì e si sollevò un po' il cappello in segno di rispetto. Dopo che mio padre uscì mi avvicinai io alla porta e presi la mano di mio padre uscendo, mi limitai a guardarlo e poi a guardare la casa immergendomi nei miei mille pensieri.
"Bene spero che il viaggio sia stato di vostro gradimento signore" borbottò il conducente cercando di fare un piccolo inchino con il busto. Mio padre piegò la testa alzando il piccolo cilindro per poi pagare il conducente "Trentaquattro sterline dovrebbero bastare per tale disturbo buon uomo, la ringrazio immensamente per avermi accompagnato sino a casa mia e per aver fatto conoscere, quel poco che basta, la città a mia figlia" si rimise il cappello per poi strattonarmi leggermente tirandomi la mano, facendomi capire che dovevo ringraziare. Feci un piccolo inchino sollevando il lato dell'ingombrante gonna del mio vestito per poi sorridere "Grazie ser Martin per quest'entusiasmante giro" sorrisi un po' falsamente visto che il viaggio non era stato poi così delicato e felice. In quella rozza macchina si sentiva puzza di fumo e di whisky, cosa che odiavo e mi aveva causato nausea per tutto il tragitto, per non parlare poi della musichetta che usciva dalle sue labbra attraverso fischiettii inutili e banali.
Dopo aver congedato il conducente entrammo in casa. Tocco a me l'onore di girare le chiavi nella serratura e appena fatto spalancai quel portone così possente, tutto di legno con piccoli intarsi dorati, per poi trovarmi di fronte a me un'enorme sala con due rampe di scale che le giravano in torno e che portavano al piano di sopra. Si, si vedeva bene che tutto quello era opera di mia madre. Potevo osservare dipinti che riempivano la parete e enormi lampadari cadere giù dal soffitto mentre brillavano con un fare cristallino che lasciavano tutti a bocca aperta.
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Dark Star
Science FictionNew Orleans 1864. Città magnifica piena di movimento, feste, balli, musicisti di strada e blues, ma non sempre ciò che risulta bello ai nostri occhi lo è veramente. Dietro a questa bizzarra aria di festa che si cela sotto ogni sfumatura di questo e...