Prologo

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Geneviève 

"Cosa vuoi da me? - cala il silenzio tra noi - dimmi cosa cazzo vuoi da me?", ora sto urlando. Gli sto urlando in faccia tutta la rabbia e il dolore represso. Lui mi osserva, come sconvolto dalla mia reazione così rabbiosa.

"Io voglio stare con te", sussurra, così piano che lo sento a stento.

"Non puoi venir qui, dopo tutto quello che è successo, e dirmi che vuoi stare con me", fa un passo verso di me e cerca di aggrapparsi alla mia mano, ma mi scanso.

"Quando l'hai capito? Mentre ti facevi un'altra, mentre mi urlavi in faccia che noi due non saremo mai stati niente, o forse mentre sgattaiolavi fuori da casa mia, dopo aver detto di amarmi? - ancora una volta rimane di stucco, non risponde con la mano ancora sospesa a mezz'aria - e poi come mi ha potuto tenere segreta una così così grande, così importante"

"Mi dispiace... non volevo, lo sai che non le pensavo quelle cose. E lo so, non avrei dovuto tenerti nascosto niente", tenta di giustificarsi.

"No, invece, non lo so. Hai avute le tue occasioni. Non tornare più", chiudo la porta alle mie spalle, pensando di scoppiare a piangere come una bambina, ma ho quasi tirato un sospiro di sollievo. Resto in silenzio, voglio sentire i suoi passi prendere le scale e finalmente uscire dalla mia vita. Passano i secondi, poi i minuti, ma non sento niente. Mi avvicino di nuovo alla porta e curioso allo spioncino: Maverick è seduto sul secondo gradino della scala che porta al piano superiore. È lì. Immobile, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e lo sguardo fisso nel vuoto.

"Ah, al diavolo!", mi allontano dalla porta con uno slancio e decido di non pensarci più. Questa volta voglio scegliere me.

Mattino dopo

Suona la sveglia sempre allo stesso orario, anche la domenica. Afferro subito il telefono per guardare le varie notifiche: ci sono dei messaggi sul gruppo dei compagni di facoltà e altri messaggi dai miei genitori che mi augurano il buongiorno. Dopo un po' di ozio tranquillo, decido che è il momento di alzarsi e dare una sistemata alla stanza. Mentre sono intenta a posizionare i libri ordinati sulla scrivania, qualcosa, scivolando dall'interno di un libro, attira la mi attenzione e mi riporta indietro nel tempo: una polaroid scattata il giorno del mio compleanno, sotto la scritta Geneviève + Maverick. Sembra una cosa da bambini, ma ricordo perfettamente lo sguardo imbarazzato e allo stesso tempo compiaciuto di Rick quando ha finito di scrivere quei due nomi legati da un simbolino. Sorrido istintivamente e corro alla porta. Questa volta non guardo dalla spioncino, la spalanco. Con grande delusione lui non è più seduto su quel secondo scalino. Faccio per rientrare, ma una voce mi lascia ferma sul mio passo.

"Gennie - mi volto lentamente - dove vai? ho preso la colazione", è in piedi davanti a me, con gli stessi vestiti di ieri, i capelli disordinati e un sacchetto color avorio tra le mani. Prendo un respiro profondo, incrocio le braccia sotto il seno e sposto il peso su un'anca sola. Continua a guardarmi con quegli occhi che ha magnetici, di quel verde petrolio che potrei annegarci per ore senza rendermene conto.

"Entra, ma non farti strane idee. Facciamo colazione e poi vai via", cerco di essere sicura di me, ma sono sicurissima che questa colazione durerà più del dovuto.

"Mh, che bontà...", mi gusto la buonissima brioche al miele con delle scaglie di mandorla sopra, la mia preferita. Sento ridacchiare il ragazzo di fronte a me, mi guarda con aria sbarazzina, con lo sguardo che dice "ho il perdono in pugno". Mi ricompongo, diventando seria. Il suo sguardo cambia, diventa quasi colpevole.

"Buona la colazione, ti ringrazio non avresti dovuto - lui sorseggia il suo caffè nero amaro fumante e mi squadra da sopra la tua tazza - quando finisci puoi andare", dico, ma a fatica. Non vorrei mai liberarmi di lui e del suo profumo intenso che inebria l'aria del mio piccolo appartamento, ma devo.

"Gennie - faccio per alzarmi e tornare nella mia stanza per non vederlo lasciare la mia casa, ma lui decide di rendere questo momento ancora più difficile - non mandarmi via", ora lui è dietro di me. Le sue grandi mani calde sfiorano le mie braccia delicatamente e io non posso che non bearmi di nascosto di quel tocco soave.

"Rick, devi andare", cerco di mantenere il respiro regolare e il tono di voce fermo, solo che quest'ultima non viene facile da fare.

"Non posso Geneviève", mi dice seriamente.

"Perché non puoi? Hai finito le ragazze con cui uscire?", mi risveglio dal piacevole torpore che aveva creato il ragazzo riccio al mio corpo.

"Cazzo Gennie. - si allontana anche lui da me, facendo un passo indietro - non mi interessa nessun'altra. Io amo te. Te, cazzo. E soltanto te"

Lo fisso. Non riesco a dirgli niente. Non so se devo dirgli qualcosa oppure no.

"Mi hai ferita, Maverick"

"Lo so, e mi dispiace. Io sono sono stato bene, sono stato uno stronzo lo ammetto. È vero. Non posso cambiare quello che ho fatto, posso solo cercare di migliorare per il futuro, ma voglio che ci sia anche tu"

"Non so se riesco a fidarmi ancora di te"

"Ricominciamo da capo. Mi presenterò domani e ricominceremo. Ti farò innamorare di nuovo di me", mi supera, recupera la giacca e lascia il mio appartamento. 

Ricominciamo - Althea PataniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora