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— ANDRES —

25 dicembre. Natale.

Una festività che personalmente non avevo motivo di celebrare. O almeno, non fin quando stavo in orfanotrofio circondato da facce grigie e fruste brucianti contro pelle.

Anche ora non ne ero particolarmente fan, ma era diverso. Quando io e Alexio eravamo bambini, Pedro ci portava alla baita per escursioni nella neve, cercando qualche animaletto nascosto tra gli albero. Ci fece spesso un'infarinatura di ogni creatura, da grande appassionato, e poi si divertiva nel creare semplici quiz per verificare il nostro apprendimento.

Io non rispondevo quasi mai e lasciavo il foglio in bianco. E non perché non trovassi la cosa interessante, semplicemente non mi interessava.

Il mio pensiero erano le automobiline e infatti fui felicissimo quando, dopo un anno in casa Hernández ricevetti per compleanno una macchina telecomandata. Era rossa e nera, con dei parafanghi larghissimi e dall'assetto rialzato come un vero buggy. A completarla un adesivo sopra a forma di tuono – me lo avevano dato a scuola e io avevo deciso di attaccarcelo sopra.

Mi svegliai del letto e stropicciai gli occhi.

Una fresca brezza mi venne incontro e attraversò da testa a piedi. La porta finestra della stanza che dava sul poggiolo -che circondava l'intero secondo piano della proprietà- stava leggermente aperta e da essa si poteva chiaramente vedere il bianco manto che ricopriva ogni cosa.

Durante la notte aveva nevicato e quella era la prima neve della stagione, anche se un pochetto tardiva. Controllai dunque la sveglia sul comodino, erano le undici in punto.

Espirai profondamente e voltai il capo a destra, cercando Esmeralda, che però non era nel letto con me. La sua sagoma -sottile e lunga circa 165 centimetri- era ancora ben visibile sul lenzuolo.

D'impulso avvicinai il naso, inalando il suo buonissimo profumo. E non sazio, decisi di scendere di sotto a cercarla.

Infilai i pantaloni della tuta abbandonati sull'attaccapanni vicino all'armadio di legno proprio davanti a me e partii.

Mi aggrappai al scorri-mano, percorrendo con calma i gradini fino ad arrivare in cucina. Udii qualche singhiozzo e subito mi precipitai.

Esme stava ancora in camicia da notte, ma poggiata al lavabo della penisola; un braccio allungato verso quest'ultimo e nell'altra mano con un coltello affilatissimo in mano.

Mi avvicinai. Il lavandino era già sporco di sangue così intervenni.

Le portai via la lama con un gesto delicato e allo stesso tempo secco in modo da prenderla alla sprovvista. «Ma..?» esclamò.

Abbassai il pugnale allora e lo guardai un minuto. Ebbi un sussulto e lo riposi nell'apposito cassetto prima che potessi combinare qualche disastro.

Esme a questo punto si girò verso di me che stavo alle sue spalle e vidi le sue splendide iridi inondate di lacrime.
«Ridammelo.»

Mossi un indice, dicendo di no. E le afferrai il braccio per lavar via il rosso. «Assolutamente no, mini Killer. Potresti sfregiare la mia bella faccia e sarebbe un vero peccato.»

Sorrisi cercando di aiutare. Ma lei non accennò neanche a una minuscola risata. Si allontanò anzi, sedandosi sullo sgabello dall'altra parte del piano; prendendosi la testa tra le mani come se disperata per qualcosa.

Feci un passo avanti, una mano pronta a carezzarle la spalla sinistra. «Oh, Andres...li vedo ovunque vada.»
«Cosa? Chi?» domandai in risposta, leggermente confuso.
Lei alzò lo sguardo. «I demoni.»

CRASH | Errore di PercorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora