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Non riesce a reprimere le lacrime, Simone, che s'è trovato in quella stretta salda senza riuscire a capirne il modo, e resta immobile a guardare gli occhi spaventati di Mimmo, inerme quasi quanto lui.

"Statti fermo, non ti muovere da là Mimmú",  e  quasi teme di svenirne, Simone, quando la stretta attorno al suo petto si rinsalda e il piatto gelido del coltello gli sfiora la gola, "ti sei portato appresso a Biancaneve? Le cose da solo non le sai fa' più?"

Ed è disgustosa la sua voce, il fiato caldo che gli invade l'orecchio e sa di fumo stantio, il freddo del metallo a battere ripetutamente sulla gola, a farsi beffe del suo tremare.

Li sente parlare, Mimmo prega qualcosa, eppure Simone non riesce a capirne le parole, ché nelle orecchie risuona soltanto lo sciabordio del sangue nelle vene e il respiro affannato.

La lama fa pressione sotto il mento per sollevarne lo sguardo, gli sfiora poi uno zigomo, giù fino alla guancia, per tornare sul collo ch'è stato costretto ad esporre, "lo sai che facciamo adesso Mimmú?", e assieme alla lama sul collo ci preme il naso, "Ti lascio un promemoria, che se parli, prima d'ammazzarti cerco l'amichetto tuo e te l'ammazzo avanti agli occhi".

E il braccio s'abbassa con un gesto secco e preciso e la carne cede tenera al passaggio della lama, e brucia.

Brucia, ma Simone non grida, che ha paura pure di respirare.

Viene spinto poi, e si ritrova in terra a fissare l'asfalto; il sangue caldo e appiccicoso gli inzuppa la felpa, la maglietta, si raffredda e si raggruma contro la pelle a causa dell'aria e il resto del mondo è ovattato, inesistente.

Si sfiora il collo Simone, e alla vista del rosso  a sporcarne le dita se ne pente, che un conato di vomito lo prende, e Mimmo gli è subito accanto in una cascata di scuse che sanno di freddo e a poco servono mentre rimette sul pavimento.

Ne tampona la ferita con la propria felpa, Mimmo, "ti devo porta' a casa Simo', dai, tirati su".

E non riesce a ricordare come ci sia arrivato a casa, in camera, come abbia fatto a non essere visto, e al buio e supino resta disteso sul letto con le spalle alla porta, sangue raffermo a macchiarne la pelle e i vestiti e i ricordi, che al chiudere gli occhi avverte ancora il freddo della lama e il pianto l'assale a singhiozzi.

S'abbraccia allora, che mai s'è sentito così violato, così inutile ed effimero e solo - che Mimmo l'ha lasciato, l'ha lasciato, l'ha lasciato, e non c'è Manuel, non c'è mai, e il taglio è tanto grande che sarà impossibile nasconderlo e ancor più difficile sarà inventare una scusa e saranno solo altre bugie, e la voce di Cristoforo gli risuona nelle orecchie, a recitarne l'indirizzo, il cognome, che non sei l'unico che teniamo d'occhio Mimmú, e il pianto si fa tanto forte che il respiro n'è sopraffatto, e teme morirà asfissiato, affogato dalle sue lacrime nel buio della sua stanza, solo com'è sempre stato, solo come sempre si ritrova.

Poi la porta, la voce allegra di Manuel e la luce che s'accende e lo spaventa, "te devo di'na cosa che non- Simo'? Oh, Simo!"

E gli è accanto in un momento,  ma Simone non ne vede che le sfocate fattezze oltre le lacrime ad affollarne le ciglia, ne sente le mani forti a tirarlo a sedere - e vorrebbe dirgli di non farlo, Simone, che di mani a costringerlo ne ha avute abbastanza, ma non riesce.

Sente la voce salda a intimargli di respirare, ma non riesce.

Non riesce, che dovrà parlare, spiegare, e di parole non ne ha neanche per sé stesso, figurarsi per gli altri.


E Manuel se n'è accorto del taglio, che non accorgersene era impossibile, e brucia di paura, che tanto sangue non l'aveva mai visto e il taglio è d'un rosso tanto rabbioso e vivo che solo guardarlo gli mette paura, che non sa nulla, se non che Simone era con Mimmo - e non sa nulla perché non ha chiesto nulla, e si sente di morire, che Simone non accenna a prendere respiro.

Lo culla allora, lo stringe al petto quasi fosse un bambino e ne regola il respiro col suo, e sporca anche i suoi, di vestiti, e le labbra non sono che baci ai riccioli di Simone, che sempre più lento gli singhiozza contro, fino a spegnersi quasi, immobile e sfinito, lo fissa con gli occhi grandi quanto il cielo, il pugno stretto al suo maglione.

E pare così piccolo, a tenerlo a quel modo tra le braccia, così stanco, eppure è Simone, ancora una volta, a prenderlo di sorpresa mentre gli lascia una carezza sul volto e preme le dita delicate sulla barba, "perché piangi Manu?"

E manco se n'era accorto Manuel di star piangendo, e non ne ha di parole, ma gli bacia la fronte tanto a lungo che pare non volersene  staccare mai più.

Sposta via i ricci poi, a scoprirne per bene il volto, tanto pallido da far spavento, e incatena gli occhi nei suoi, "adesso mi dici tutto Simone, e sistemo tutto io".

Ed è di nuovo in lacrime Simone, e la voce gli si spezza più volte, ma è al sicuro adesso, che Manuel lo stringe quasi volesse farsi seconda pelle, e gli bacia le tempie e i capelli, ne stringe le mani, ne bacia le dita.

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"Ho vomitato",confessa, a fine racconto, che per assurdo sente le guance scottarne, e gioca con le dita,  "dopo non ricordo niente. Mimmo m'ha portato a casa, ma io non ricordo niente".

Ed è Manuel a tremare allora, e annuisce e gli accarezza un ginocchio, "adesso andiamo in bagno, ok? T'accompagno, lavi i denti e mi fai vede' per bene 'sto taglio, che lo dobbiamo puli', va bene?"

L'aiuta a reggersi in piedi, che "mi gira la testa", confessa, e gli porta il bicchiere alle labbra per sciacquare via il dentifricio. Ne tampona il viso e lo tira sú a sedere sul lavabo, il più vicino possibile alla luce dello specchio.

Piange di nuovo, Simone, al sentirne le mani sul collo, che Manuel ne chiede il permesso per continuare a tamponare piano, con l'ovatta imbevuta di disinfettante.

È pallido, distrutto, col viso scavato e pesante d'occhiaie, e Manuel vorrebbe avere sotto le mani chi l'ha ridotto a quel modo, vorrebbe tenerlo al sicuro, vorrebbe stringerlo, vorrebbe baciarlo.

E non se ne spaventa, ch'è più sorpreso del non provarne paura che altro, ma tace, che Simone è stanco, e non merita che Manuel gli rovesci addosso l'epifania dei suoi sentimenti mentre è tanto scosso.

Si concede però di sfiorarlo di più, Manuel, di stringerlo un po' più stretto, finché non s'addormentano nello stesso letto.

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Che Mimmo se n'è andato lo scoprono una settimana dopo, che vederti ferito l'ha convinto a collaborare , ha detto Dante, e Simone è rimasto zitto, che non sapeva che dirne, stretto sul divano tra le braccia di Manuel, le sue dita a sfiorarne il collo.

Del taglio è rimasto il segno, in rilevo più chiaro.

Se ne vergognerebbe, Simone, non fosse che Manuel ha preso l'abitudine di tirarselo in braccio per passarci sopra le dita in carezze infinite. Non ne chiede il perché, il piccolo, ma lo capisce in un certo senso, ché ne sente il respiro calmarsi e il petto, sotto i suoi palmi, rallentare i battiti.

"A che pensi?", mormora, che sono stretti a letto e Manuel gli sifiora il collo, "quando accarezzi la cicatrice- che pensi?"

Manuel gli stringe una spalla, gli bacia la fronte, "penso che non t'ho perso per miracolo, e manco lo sapevo che te'potevo perde' mentre stavo appresso a quella".

Simone ride. Piano, è più uno sfiato che una vera risata, e si contorce per guardarlo meglio negli occhi, "quella, come la chiami tu, fino al mese scorso era la donna della tua vita"
Manuel sospira, scuote la testa, espira forte dal naso, "lo sai come l'ho capito che non era vero? Quando le ho detto che stavi male e lei m'ha chiesto di lasciarti da solo".

"Quindi è colpa mia?"

Manuel gli bacia una tempia, piano, "non hai capito Simo'? Io n'te lascio solo mai più".


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Potrebbe avere una parte due.





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