Non c'è modo

9 1 0
                                    


Gabriel


I secoli mi avevano fatto dimenticare quanto fosse bello addormentarsi stanchi dopo aver dato fondo a tutte le energie possibili nel fare l'amore.
Quando la notte era sorta di nuovo mi ero svegliato intrecciato a lei, pelle contro pelle, avvolto dal suo profumo. Per la prima volta maledissi il ruolo che ricoprivo, perché fui costretto a svegliarla, eravamo d'accordo che sarebbe venuta con me alla  torre.
Delle dodici persone sedute al tavolo davanti a me e nessuna riusciva a mantenere la mia attenzione per più di dieci minuti, oltre i quali i miei sensi la cercavano attraverso i rumori dei piani sottostanti, ma la torre era troppo industriosa di personale che eseguiva e si spostava, il suo cuore era nascosto dalle molte parole che mi venivano dette. Sapevo di poterla raggiungere tramite il nostro legame ma avrei voluto evitare di sembrare ansioso ed eccessivamente pressante.
Perché non lo sei?
No Parassita, di solito non lo sono.
Lei non è qualcosa che capita di solito.
Sorrisi nascondendo le labbra dietro le dita della mano, ricordando come me le aveva baciate quella mattina.
Non avevo bisogno di guardare l'orologio per sapere quanto lenti stessero scorrendo i minuti che mi separavano da una scusa qualunque che miavrebbe permesso di chiedere ad Adele dove fosse lei.
Inspirai a fondo e decisi di concentrarmi.
«Dobbiamo migliorare sull'immagine del prodotto. Cosa riportano i sondaggi dagli acquirenti ideali?»
La squadra era compatta e preparata, approvai la loro strategia e aggiornammo la riunione.
Adele mandò Woojin ad accogliere l'appuntamento delle undici, erano in anticipo, avevo ancora quindici minuti. Guardai l'orologio e prima che lo domandassi mi disse casualmente: «L'accompagnatrice di Dama Patrizia ha raggiunto i giaguari in palestra.»
«La tigre?»
Adele annuì mentre spuntava la riunione del mattino dalla lista degli appuntamenti della giornata. «Pare sapesse che avrebbe trovato lì Eliza.»
Ero sempre andato molto d'accordo con Vera, avevamo gusti simili, forse troppo. Non ci fu bisogno di dire nulla, Adele chiamò l'ascensore e selezionò il piano dove il mio corpo di guardia aveva i propri locali dedicati: palestra, sauna, un'ampia area ristoro e relax, alcune camere da letto per chi restava a fare il turno di notte o transitava per la città e una manciata di uffici, non amavano le scartoffie ma talvolta erano necessarie.
Quando si aprirono le porte il corridoio era insolitamente vuoto, si sentivano delle grida provenire dall'altraparte del piano.
"Un vampiro non corre."
La voce di madre nella mia mente non riuscì a trattenermi completamente e affrettai il passo per arrivare sulla porta spalancata della palestra.
La mia sola presenza feces postare i giaguari davanti a me. Si girarono e si fecero da parte in silenzio. Un anello di persone circondava Eliza, a piedi nudi sul tatami, con indosso un paio di leggins neri ed un top tanto aderente che mi domandavo come potesse respirare.
David comparve al mio fianco e mi disse: «Li ha stesi tutti capo.»
L'aria di preoccupazione che sentivo tendermi i muscoli mi scivolò dal viso, lasciando posto al dubbio di non aver capito. Mi girai verso di lui e gli chiesi: «Come?»
«Alcuni l'hanno sfidata, i licantropi hanno percepito la sua aura e le loro bestie sono state spinte a farlo, li capisco capo, non arrabbiarti con loro. Ci ha pensato lei a dargli una spazzolata che se la ricorderanno a vita.» Incrociò le braccia al petto ampio coperto da una maglietta nera aderente e con il mento mi indicò alcuni giaguari seduti al margine del materassino rosso su cui erano soliti fare sparring.
Avevano occhi adoranti e bastò per soffiare sulle braci del mio istinto che ruggì: mia!
Sapevo gestire il mostro che dormiva in me, sapevo che era alimentato dalla rabbia che portavo dentro. Era sempre stata la mia emozione di conforto, come fosse un organo di cui non sentivo la presenza finché qualcuno non ne stimolava l'utilizzo. Lei tuttavia aveva reso più sensibile e protettiva la bestia che ero.
«Capo, la guardano come fosse la loro regina.»
Spostai lo sguardo da loro a David con aria interrogativa, mi accorsi che avevo estratto gli artigli, li ritrassi e voltai lo sguardo verso di lei, che a terra stringeva tra le gambe il braccio del suo opponente in una presa a croce. Quando lui chiese la resa esplosero in un grido di gioia.
Uno di loro aveva perso e invece che essere infelici esultavano.
Nell'ultimo secolo e mezzo avevo attratto a me molti giaguari, mannari e licantropi, raccolti dalle strade, da situazioni di disagio, pescati dagli orfanotrofi e lentamente erano diventati un branco numeroso al cui vertice si erasempre presentato un alfa che li guidasse come una figura parterna. Io ero il vampiro che li aveva chiamati a sé, il loro signore in pubblico, nel privato eravamo una sorta di famiglia ed io ero un po'come un nonno autoritario a cui erano molto grati. Avevo creato una fondazione per i cuccioli, figli dei giaguari che avevo chiamato a me, per garantire loro lo studio, alcuni erano diventati adulti e avevano lasciato il branco per perseguire i loro sogni professionali, di tanto in tanto erano tornati, li avevo sempre accolti. Alcuni avevano chiesto di essere chiamati a loro volta e di diventare miei. Non avevo mai forzato la mano.
C'erano solo poche regole e infrangerle voleva dire il non ritorno. Stavo pensando di inserire una nuova regola che riguardava il toccare Eliza, ma nel vederla sorridere e prendere a pacche sulle spalle le mie guardie, colsi la deferenza con cui loro la trattavano e capii che non sarebbe stato necessario.
«Piove sempre sul bagnato Blackthorn.»
Vera si era avvicinata, indossava un completo maschile beige che faceva risaltare i ricci rossi che iniziavano a striarsi di bianco. Teneva le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, la camicia bianca era leggermente sbottonata e lasciava intravedere il tatuaggio che portava sul petto. I suoi occhi scuri erano puntati su Eliza.
«Puoi chiamarmi rabdomante, ma quella pioggia non è merito mio, ha scelto lei di concedermi la sua grazia.»
Era una donna alta, ci guardammo negli occhi mentre tirò un angolo della bocca per sorridermi e guardarmi di lato, senza muovere in viso, rivolto verso il mio animale guida.
Sollevò le sopracciglia e le spalle, inspirando a fondo.
Eliza mi vide e il suo sguardo si illuminò, mi salutò con la mano per non interrompere la persona davanti a lei che le stava parlando. Le feci segno che ci saremmo visti dopo, non riuscii a trattenere il sorriso sulle labbra mentre indietreggiavo e la lasciavo con il branco.
David mi accompagnò fino all'ascensore.
Sostenne il mio sguardo finché non annuii, non fu necessario chiedere. Quando le porte si chiusero Adele al mio fianco mi ricordò per cosa era venuta Dama Patrizia.
Le porte di metallo si riaprirono e sistemandomi i gemelli dei polsini varcai la sogliadel mio ufficio indossando uno dei sorrisi professionali migliori che avevo da offrire.


Abbraccia la notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora