1

61 7 11
                                    

Il respiro si gelò a ogni sbuffata. Se non fosse per il giaccone dell'Arc'teryx avrebbe creduto di poter surgelare nonostante abbia valicato le Alpi Meridionali e prodotto una sequenza di scatti al ghiacciaio Franz Josef tale da poter percepire l'aria refrigera penetrare nei polmoni solamente nell'osservare quel manto massiccio e squarciato. Era probabile che fosse stata l'incantevole visuale a rendere quel freddo polare sopportabile, sorridendo seppure di tanto in tanto la vista venisse offuscata dal soffio. Lo sbalzo termico attuale invece tra l'interno e l'esterno si intensificò appena posto piede sul marciapiede, specialmente nell'essere sciente d'esser quasi al varco della stagione invernale; mancavano esattamente ventiquattro giorni al conto alla rovescia per l'ultimo dell'anno.

Jacopo socchiuse le palpebre e colmò i polmoni di etere, che pizzicò quasi quanto le acque diacce dell'Arno. Sotto alla visiera del basco cinerino osservava curioso i nugoli della medesima tonalità, tanto minacciosi quanto innocui: non ricoprivano totalmente il cielo terso, i raggi solari filtravano a chiazze sui tetti rossi della città del Fiore. Si riusciva persino a scorgere quella palla gialla in direzione sud, che quel giorno brillava d'una luce particolare, quasi appannata. Poi però, all'improvviso una lacrima gli imperlò il labbro superiore, causando un raffreddamento in quel preciso punto. Se la leccò via lentamente, gustando la freschezza dell'attimo quasi come se fosse primavera. La successiva si scontrò con più energia sul berretto, insidiandogli un dubbio che in pochi attimi si rivelò esatto e non gli impedì di berciare con un largo riso divertito. «Maremma impestata ladra!»

Sotto all'inaspettata grandine calcò la falda e, con le buste del panificio in una mano e quella del Conad nell'altra, s'indirizzò nel lato opposto della via a grandi falcate. Il parcheggio a Firenze era più mistico del Ritratto di giovane uomo di Raffaello, era esattamente come sperare che la Fiorentina vincesse un'altra Coppa Italia; non esisteva tifoso viola che non rammemorasse il decisivo goal di Gomes nel lontano 13 giugno 2001. Tuttavia, quel mattino ignorò le leggi della buona educazione e sostò la Golf - al principio rossa e tendente ora al rame in alcuni punti - sulle righe gialle destinate alle persone invalide. Per quanto sapesse non fosse opportuno, se ne infischiò per quella volta per una sola ragione: come era usuale nella sua natura, combatteva ognora contro le lancette dell'orologio che scorrevano nel quadrante senza attenderlo nemmeno per un secondo. Non gliene era mai importato del tempo, aveva da sempre vissuto la vita come veniva, largendo un sorriso a chicchessia e trasmettendo il buon umore nonostante i dispiaceri quotidiani. Ciò nonostante, quel giorno si era impuntato di dover essere e fare l'eccezione, prendendosi il tempo necessario affinché nulla fosse fuori dal suo binario, che giungesse per primo all'appuntamento prefissato da almeno un mese; eppure, per lui pareva una battaglia persa sin dal principio: la sveglia non aveva suonato e si era alzato di soprassalto a causa di una chiamata da parte del signor Salvadori.

In quei dieci minuti trascorsi tra le corsie del supermercato e dietro una fila di signori toscani con sempre qualche burla tra le labbra, non aveva badato a spese tra schiacciate e focacce, bibite analcoliche e birra, per non parlare degli stuzzichini e due sfogliatelle fiorentine per occuparsi delle energie che si dovevano racimolare a colazione.

Aprì lo sportello dell'auto e lanciò sul lato del passeggero tutto ciò che gli facevano pesare le dita, brontolando un po' giocondo per l'inaspettata sorpresa. Sprofondò sul sedile e spurgò il basco dalle goccioline. Si dedicò qualche istante nell'osservare i proiettili di ghiaccio schiantarsi sul parabrezza, trovando curioso il suono che causava nell'ordinaria cittadina. Certa gente avanzava emanando degli acuti lamentosi seppure avesse stretta tra le falangi quell'asta d'acciaio che permetteva, per lo meno, di ripararsi dalla velocità di caduta; altri si riparavano sotto ai tendoni o sugli scalini delle abitazioni, attendendo che lo sfogo del cielo cessasse.

Nessuno qui è mai cambiato, pensò.

Si decise a inserire la chiave nella toppa e con un po' d'attesa si mise in moto. Ingranò la prima e imboccò la strada che lo avrebbe condotto sul ponte Amerigo Vespucci, nel mezzo del traffico, e far così ritorno a Scandicci per recuperare le ultime cose.

Noi non ci facciamo compagnia ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora