9

28 3 4
                                    

«No, se so di due centimetri so pappardelle, non si discute».

«Per me sono sempre state tagliatelle, 'un trovo differenza».

«E che mi dici della differenza tra fettuccine e tagliatelle, eh? Vuoi dirmi che sono la stessa cosa anche quelle?»

«Non ha senso la fettuccina, so spaghetti».

La disputa non era ancora giunta al termine. Sebbene la proposta di giocare a Mamma Troia fosse allettante all'età di quindici anni, una volta trentenni si potrebbe usare il proverbio "predicare bene e razzolare male".

Il viaggiatore per una volta era innervosito dalle risposte dell'ingegnere, che al contrario si era accomodato con noncuranza sulla sedia, con una caviglia appoggiata sul ginocchio. Si stava svaccando in ogni senso dinanzi all'atteggiamento petulante della controparte.

Faceva ridere come le posizioni si fossero ribaltate, come il primo a essere preso per i fondelli fosse colui che prima o poi te la piazzava nel più ingegnoso dei modi. Secondo il parere del Maso, era tutta una tattica.

Si ricordò delle scommesse che di tanto in tanto facevano e di come il dettaglio più banale potesse trasformarsi nella fregatura del secolo. Alghieri paradossalmente ne usciva sempre vincitore e soltanto così si era guadagnato il rispetto. La volta del tatuaggio era la peggiore che potesse capitare, soprattutto da brilli dopo una bella bevuta di birra. Le sfide migliori erano quelle del Vieri, lo faceva per una ripicca o per propria rivincita, d'altronde però era comprensibile: Jacopo gliene combinava di cotte e di crude, specialmente quando si trattava di ragazze. C'era Stefania, una compagnia delle elementari con la quale si accendevano le prime discussioni. Oliviero era innamorato perso, ma lei aveva occhi solo per il bel sorriso del rivale. E quando quest'ultimo non la calcolava facendola frignare, si beccava le parole dall'altro che gli partivano sempre i cinque minuti. C'era stata quella volta in cui aveva fatto beccare il Neri a copiare, l'aveva urlato così forte da far spaventare tutti, facendogli guadagnare una bella nota sul libretto da far firmare a casa.

Oppure la volta in cui, per vendicarsi, aveva optato per una sfida a chi avrebbe bevuto più Spritz, mettendosi in combutta con un barista - pagandolo - che aveva messo delle gocce di guttalax nei bicchieri da far scolare a Jacopo. Da quella volta aveva iniziato a utilizzare i soldi come mezzo per le rivalse.

Tommaso trovava strategica la metodologia, barbara l'idea che andava poi a produrre, assieme al peso della scommessa. Ciò nonostante nessuno poteva farci niente; pareva quasi si divertissero a pizzicarsi in quella maniera, infliggere per subire, incassare per colpire.

Da quel momento forse avevano siglato nel silenzio un patto di coalizione, mentre il restante dei componenti non poté fare a meno di sogghignare assistendo a tale disfatta.

Lo sguardo di Tommaso volse sull'avambraccio di Salvadori, scoperto siccome aveva raccolto le maniche stando vicino al caminetto, e in effetti aveva occultato quella serie di numeri romani da una fascia nera e larga. Borghese Junior invece aveva ancora la stella di Kronos stilizzata, sempre sull'avambraccio; quasi passavano inosservati, tuttavia custodivano una sofferenza passata.

A differenza loro, Maso ammetteva di vergognarsi delle disfatte della propria vita. Non trovava alcun pregio nel risaltarle. Perché evidenziare un tuo punto negativo? Non comprendeva se fosse una maniera per rendere gli altri compassionevoli o se ciò gli permetteva di accettare quella falla del sistema. E se così fosse, cosa lo portava a credere che fosse la maniera adeguata per affrontare certe dinamiche?

Noi non ci facciamo compagnia ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora