IV

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Questo non è un racconto di disagio giovanile, dove gli studenti sono gli eroi che cercano di urlare le loro giustissime ragioni, sofferenti davanti al sistema traboccante di senilismo. Nossignori.

E non ci sarà neanche la solita scalcagnata banda di professori dalle umanissime storie, che empatizza con gli esagitati studenti alle prese con i loro problemi. Questo lo lasciamo alle fiction di Raiuno.

Niente di tutto questo, anche se posso supporre che anche loro siano stati esseri umani in gioventù, non me ne hanno dato la benché minima prova, a partire dalla stessa professoressa di italiano, inchiodata a terra dalle sue ridicole idee riguardo tutto il mondo, a partire dalla composizione del brodo.

Molo, della professoressa di italiano diceva che fosse una ex-ragazza viziata probabilmente legata al sano conservatorismo dei suoi genitori o forse del marito o forse della scuola a cui era andata, fatto sta che in mezzo all'umanità ruspante dell'ITI, ci stava come i cavoli a merenda.

Era tremendamente frustrata dal fatto di non insegnare al liceo ma a una banda di puzzolenti adolescenti maschi con le unghie sporche di grasso motore e la faccia sbattuta di chi si fa troppe pippe. Cercava di scaricarsi almeno un po' su noi studenti, scrivendo papiri di opinioni personali a compendio dei nostri temi. Noi la odiavamo silenziosamente, mentre solo prendevamo per il culo la svampita professoressa di inglese, bersaglio di vignette, battute, storielle di pura invenzione. Era comica a suo modo, l'unico difetto era che fosse lì per insegnarci la lingua del futuro.

Lo stravecchio prof di geografia brillava per l'arteriosclerosi ed ero il suo nemico principale: non vedeva una sega e io, con la mia altezza, ero facilmente individuabile, così nelle sue ore stavo tutto rannicchiato peggio di quando si giocava a nascondino tra le case di villeggiatura vuote d'estate. Con lui ci spanciavamo dalle risate a prenderlo in giro, lui incassava tranquillo senza manco accorgersene, salvo poi magari incazzarsi per una inezia come il dire qualcosa a un compagno di banco, ti guardava con sdegno e diceva «tu, sei punito!» con voce quasi rotta.

E metteva una R sul registro, fine.

Avevo una tal fila di R che spesso non c'era posto per eventuali registrazioni di voti.

Il professore di religione aveva un riporto demenziale, forse pensava che Dio misericordioso lo mettesse al riparo dalle nostre prese in giro, ma si sbagliava di grosso. La sua testa sgombra come una piazza, dopo un lento e certosino lavoro di pettine, si trasformava in un sottilissimo strato di peluria. Era l'attività più impegnativa che svolgeva nella mattinata, poi si presentava in classe, berciava di cattolici e comunisti, delle condizioni politiche del momento, dei suoi ex studenti, soprattutto quelli morti per i più disparati motivi. Quando iniziava una frase come «Ricordo un mio ex allievo» sapevamo già che la scena finale del racconto era ambientata al camposanto.

Quello di officina era un uomo di grande professionalità, e aveva la moglie figa con delle gran tette. Quello di fisica era uno quadrato ed energico, era l'unico che meritava che guardassi i suoi libri e stessi un briciolo attento alle lezioni, aveva una voce di tuono.

Gli altri per me non esistevano, incapaci di imporsi su dei ragazzini, per inettitudine o semplicemente perchè non ne avevano più voglia. Attendevano lo stipendio e ripetevano pagine su pagine, e io non ascoltavo pagine su pagine, c'erano tonnellate di indifferenza in quella classe.

A proposito della classe, eravamo venticinque, nemmeno pochi. La maggior parte veniva da paesini a est di Cesena, la galassia che andava dall'autostrada a Via Confine. Una casa qui, una casa là, un fosso, un capannone, balle di fieno. Abbondavano in camicie da boscaiolo e Barbour che si confondevano bene con l'odore di grasso motore.

Quelli della montagna erano molti meno. Li chiamavano così perchè arrivavano dalle prime colline di Cesena, come Roversano. A volte sembrava di vedere il Ragazzo di Campagna con Pozzetto: erano esperti guidatori di trattori e lavoravano sugli scooter per renderli scattanti sulle strade tortuose con marce corte e altri accorgimenti da hillclimber. Era sostanzialmente quella la grande differenza: chi abitava in pianura puntava alla velocità di punta, chi abitava in montagna puntava a marce corte e ripresa fulminea.

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