♛ 1. Gioco a somma zero

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Finalmente, dopo undici ore filate.
Non importa quante volte ci sono passato, non mi abituerò mai a stare seduto nella cabina di un aereo. Per un iperattivo come me è un vero tormento.

«Il suo passaporto e il suo bagaglio, signor Nowak. Perdoni ancora il disguido», mi sorride. Deve aver apprezzato particolarmente il controllo fisico che ha appena concluso.

«Non c'è problema» la rassicuro. «È il tuo lavoro.»

Per una manciata di secondi le nostre professioni si sono intrecciate. Poteva andarmi peggio.

«Buen día», mi saluta con l'immancabile sorriso. Quello che dice "che peccato, vorrei che fossi stato tu a mettermi le mani addosso".

«Gracias», i nostri occhi si incrociano per un solo momento, ma ho come l'impressione che i suoi abbiano continuano a pedinarmi fino all'uscita. Il mio fondoschiena ha questo effetto sulle donne. Mi dispiace solo di non poter farle provare l'ebrezza di toccarlo con mano; sono in ritardo sul programma, devo riuscire a riposare almeno qualche ora prima di occuparmi della nuova cliente.

Approfitto del tragitto in taxi per rispolverare la sua scheda.

«Victoria Smith», sospiro. Se il suo scopo era non essere riconoscibile, avrebbe dovuto sforzarsi un po' di più. Si sente l'odore di nome falso da chilometri. «California... C'era da aspettarselo. Americani, sempre così poco attenti ai dettagli.»

E così pretenziosi.
Farmi venire fino a Cuba perché le manca un compagno di giochi. Se non altro avrò modo di sperimentare l'amore libero dell'Avana e portarmi a casa qualche sigaro.

«First time here, gringo?»

L'autista mi lancia un'occhiata dallo specchietto. Dal suo appellativo non ho fatto una buona prima impressione.

«No, tu casa es mi casa» replico, ricambiando l'occhiata.

«Tú hablas español. ¿De dónde eres?»

«Soy de Italia. Así que no soy un gringo» chiarisco svogliatamente mentre recupero il telefono dalla tasca.

«Vale, vale. Lo siento, me gustan los italianos», si volta per mostrarmi il suo sorriso.

Risistemo nella tasca il telefono, la conversazione con un tassista cubano è di gran lunga più interessante della pretesa di una ereditiera americana che mi vuole nel suo letto il prima possibile.

«Qué casualidad, a mí me gustan los taxistas cubanos.»

La sua risata chiassosa da uomo di mezza età con qualche vizio di troppo mi spinge ad essere più socievole del solito. Ho sempre invidiato gli uomini come lui: poco sale in zucca e un attaccamento morboso verso i piaceri della vita. Ad occhio e croce, il cibo e un buon vino devono essere i suoi peccati da confessare la domenica.

Mi distraggo a leggere il messaggio che ho appena ricevuto. Sto per morire dal ridere.
Victoria Smith esige la mia presenza immediata nella sua abitazione sulla costa, motivo in più per prendere la direzione opposta.

«¿Cómo te Ilamas?» chiedo al taxista.

«Soy Fernando...», mi lancia un'altra occhiata dallo specchietto.

«Bueno, Fernando, cambio de planes. Vamos al hotel Gran Packard.»

«Gran elección, señor.»

Non ha idea di quanto lo sia.
Fischietta allegro, dopo aver compreso la quantità di denaro nelle mie tasche. Pregusta già la cospicua ricompensa extra.
Appoggio indietro la testa e chiudo gli occhi, ignorando la vibrazione del telefono.
So esattamente di chi si tratta e la sua prossima mossa, quindi non farò altro che aspettare.

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