♛ 12. Segni sulla pelle

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L'orologio segna le tre spaccate, è arrivata puntuale. Deve avere fretta di parlarmi, considerato che è una settimana che non le rispondo al telefono. Sono tentato di non aprirle, di stracciare l'inutile contratto e risarcirla di ogni centesimo che mi ha versato sul conto.
Ho cacciato una cliente per molto meno. L'ennesimo colpo che dà alla porta mi fa sperare che andremo più d'accordo: siamo entrambi incazzati. La sua esasperazione è musica per le mie orecchie.

Vorrei continuare ad ascoltarla dalla parte giusta della stanza, ma un facchino eccessivamente curioso si sta preoccupando troppo del suo benessere. Apro la porta concentrando su di me la loro indesiderata attenzione e faccio segno al ragazzo che è tutto sotto controllo.
Perlomeno nelle apparenze.
Mi rivolge un sorriso imbarazzato e toglie il disturbo lasciandomi con una Gretel più silenziosa del previsto.

«Ti consiglio di rileggere il contratto che hai firmato», cerca di entrare ma le sbarro la strada. «C'è un punto che specifica espressamente che non puoi contattarmi quando ti pare e piace. Soprattutto senza un motivo.» Do enfasi all'ultima frase e la sua espressione si fa ancora più seriosa. È così arrogante da pensare di poterselo permettere.

«Senza un motivo?» ripete a pappagallo. Aggrotta la fronte fissandomi con quei suoi occhi da angelo sceso in terra. «Voglio sapere che cosa è successo quella sera.»

Oh, quella sera. Quasi dimenticavo.

«Perché, ricordi qualcosa?»
Non c'è nulla di divertente in quella serata, accenno un sorriso per il solo scopo di infastidirla. Dal suo viso direi che mi sta riuscendo alla grande.

Le do le spalle per rientrare nella stanza e sento la porta chiudersi. Non ho bisogno di vederla per capire che mi sta seguendo come un cane che ha bisogno di un osso. Tutto sta a vedere come scodinzolerà per ottenerlo.

Prendo il calice che ho lasciato sul tavolino e ne bevo un sorso, in attesa che si decida a dire qualcosa.

«Ricordo che mi hai portato qui, ho firmato il tuo contratto e...», esita.

«E...?»

I suoi occhi si abbassano per quello che giurerei essere imbarazzo e poi ritornano su di me con più insistenza. Mi viene da chiedermi se davvero abbia dimenticato, o se stia semplicemente interpretando un parte.

«Poi mi sono svegliata nel letto semi vestita.» Porta le mani sul foulard che tiene legato al collo e scioglie il nodo facendolo scivolare via. «Con questo.»

Appoggio il bicchiere sul tavolo e faccio quei pochi passi che la fanno sentire al sicuro. Osservo con soddisfazione i resti del succhiotto che le ho lasciato quella sera. Il payback di cui parlava Rigo ha effettivamente i suoi aspetti positivi.

«Credevo che mi avessi assunto per questo» le dico raggiante. Ci passo le dita, come se potesse farle male come una ferita aperta. «Si vede ancora dopo una settimana, devo esserci andato giù pesante.»

Scaccia la mia mano prima che riesca a tracciarne il contorno completo; non è difficile prevedere la sua prossima mossa, la sua rabbia è in ogni parte del suo corpo. Stringo le dita intorno al polso che tengo in aria, a pochi centimetri dalla mia faccia.
Le ho già concesso di colpirmi una volta, la seconda sarebbe un bonus con un alto prezzo.

«Detesto le donne sprovvedute che si gettano nel pericolo e poi colpevolizzano gli altri per le proprie decisioni» preciso, stringendo più forte.

«Non toccarmi.»

Quanto ancora dovrò sentire i vaneggiamenti di una ragazzina che non sa stare al mondo. Ho già bisogno di una sigaretta.

«Se non volevi essere toccata, cercare uno gigolo è stata la cosa più stupida a cui potevi pensare», lascio la presa e vado alla ricerca di una sigaretta nella tasca della giacca.

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