Milady

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La discussione è tutt'ora aperta: secondo lei indossava, oltre alla sua distintiva vestaglia di seta nera, mutandine ed autoreggenti, io sono convinto del fatto che avesse solo la vestaglia nera. Indelebile nella mia mente il ricordo di quando varcai la soglia di casa sua. Pantaloni classici grigi, stile principe di Galles, camicia bianca con le maniche arrotolate e scarpe eleganti e cintira che richiamavano il grigio azzurro delle righe dei pantaloni; forse il tempo di salutarci tra sguardi brillanti di curiosità ed eccitazione, forse nemmeno quello perché il suo sapore ricoprì subito la mia lingua, avida ed animale dentro la sua fica. Calda, carnosa, sgocciolante di desiderio ebbe lo stesso effetto che può avere per un bambino un barattolo di marmellata tenuto nascosto da una madre severa. Un sapore forte di prelibato sesso scendeva viscoso, mentre nell'aria sublimava tutto il bouquet speziato ed aromatico.
Fin da subito mi catturò con la sua elegante malizia, sicuramente dominava, nella sua prosa, la figura retorica del doppio senso e trovandomi tanto debole quanto vivace alla provocazione, perseverare nel suo gioco fu un vero e proprio diletto, per entrambi.
Non fu però il suo animo godereccio e libertino, bensì l'essere una persona cui mettere in mano il proprio cuore, ciò che, a distanza di anni, la renda una cara amica, per cui provo un affetto che concedo a pochissime persone: nei miei momenti più sconfortanti, quando sentii di rompermi in mille frantumi come un cristallo che cade a terra, Milday fu in grado di evitare la caduta e conservare la mia integrità. Certo, quella fu una parte della nostra inusuale relazione che si costruì nel tempo, non fu immediata.
Fu un weekend in cui ci sbattemmo letteralmente come bestie, per poi tornare umani e perderci in discutibili ed elevate elucubrazioni mentali; una montagna russa in cui alti e bassi si successero in una sequenza rapida, a togliere il respiro senza preavviso.
Fu sempre l'andare verso il basso, in un dimenticato oscuro diabolico da riscoprire, che rapì la mia mente: nel rituale della provocazione, raccontò di come un piacere diabolico le fotteva il cervello dopo essersi insinuato in ogni suo più piccolo capillare. Risvegliò un lato di me che fu prerogativa solo di Élise, che restò sopito per lungo tempo dopo di lei; Milady sapeva assaporare il dolore, lo degustava e ne gioiva. Entrati nella sua camera da letto riuscii a spogliarmi e fiondarmi nuovamente con la lingua tra le sue cosce, la sua fradicia intimità era una droga che mi inchiodava a lei. Mi staccai giusto per sentirmi impregnato di lei, sui peli della barba e nelle narici, ammirando lo splendore delle sue forme generose.
"Sei assetato, Julian!?" chiese tra ansimanti sorrisi. Non risposi e feci per riavvicinarmi a lei, che spalancò ulteriormente le cosce, esponendo la vagina. Chiuse gli occhi pregustando il nuovo passaggio della mia lingua.
Invece, fu la mano a farle sgranare lo sguardo, a farla gridare, a immobilizzarla come se l'avessi legata.
"Cazzo!!" urlò.
Un secondo schiaffo cadde forte sulle grandi labbra, quindi un terzo ed altri sempre più forti, a ritmo serrato, risuonavano come i moschetti nella Vittoria di Wellington di Beethoven. Un crescendo di urla, le faceva aprire le labbra sempre più rosse e bagnate.
"Ahiaa" gridò in uno stridulo acuto, in una smorfia di sofferenza.
"Devo fermarmi?" ringhiai con il sangue negli occhi, strizzandole i capezzoli all'inverosimile e strusciandole l'uccello sulla clitoride dura come il marmo.
"Non ho detto che devi..." ma la frase fu interrotta dal morso dei miei denti. Al centro di una grande areola marroncina, i capezzoli bruciavano di un rosso turgore, alla mercé del mio essere selvaggio e quasi privo di autocontrollo.
Mi donò il potere e lo impressi senza alcuna remora sulla sua pelle, anche mentre la sbattevo: un viaggio nel mondo delle ombre, senza freni, di due bestie bavose.
Come correre bendati, al volante di un bolide a tutta velocità, sapendo di schiantarsi. Vibrazioni diverse, da pelle a pelle, giunsero sulle mie gote incorniciate dai suoi bei piedini.
"Cazzo Julian, così... Mi fai godere!" esclamò d'improvviso. Una scossa risalì lungo la mia schiena, paralizzandomi, il flusso del piacere, lento e prepotente, riempì l'uretra.
"Così fai godere me, Milady" dissi in un alito di sospiri.
"Godi allora..." rispose lei prendendomi il culo tra le mani, accompagnandomi nel suo più profondo. Pulsazioni. Le minuscole dilatazioni e contrazioni del buchino della cappella. Orgasmo scatenato da orgasmo, da alcuni considerato un fenomeno divino.
Seguì un silenzio di respiri profondi, di battiti cardiaci in rallentamento, anche se nella mente riecheggiava la battaglia di Wellington; usciti dal viaggio nell'oscurità, riprendemmo coscienza della tranquillità di un pomeriggio luminoso e caldo, tuffandoci in un mare di discorsi da letto, spaziando dall'arte all'economia, in modo naturale, senza un'apparente logica, un confronto vivace e florido che fa scoppiettare il cervello. Per ricadere poi sul sesso.
"Hai mai avuto esperienze con un altro uomo, Julian?"
"No, Milady. Tempo fa però, una ragazza mi ha leccato il buco del culo, è stato meraviglioso. Dopo di lei, ho scoperto quanto fosse bello farmelo succhiare con un dito in culo, però è tanto che queste cose non succedono. Sai, ci vuole il mood giusto"
"Avanti allora, mettiti a pecorina!" ordinò con fare quasi severo, meravigliandomi di questo suo cambio di atteggiamento. Si dimostrò, nel tempo di pronunciare una sola frase, una donna completamente diversa da quella che godette di forti schiaffi ricevuti sui suoi grandi seni; nel mio stupore obbedii, seppur non convinto a pieno di ciò cui mi stessi prestando. Nemmeno il tempo di assumere la posizione, che sentii il culo allargarsi e la sua lingua umida e calda a portarmi in una dimensione metafisica. Non c'è coccola migliore che una donna possa offrirmi e sentii in quel gesto tutta la passione che potevo metterci io nell'offrir piacere con la mia bocca.
"Abbandona i tuoi taboo, caro Julian" disse percependo una mia certa rigidità "goditi il momento e lasciati trasportare".
Effettivamente il mio stato fu un ossimoro in quegli istanti: il corpo rispondeva alla sollecitazione, la mente provava un ché di spavento e tirava la briglia. La mancanza di controllo mi portava sempre verso questa sensazione di insicurezza, creando quel disagio che, in parte, mi inibiva; la sua buona mano, però, risolse l'ossimoro.
"Cazzo, Milady..." sussurrai ansimante, nella morsa di una tenaglia gentile. I crescendo ed i diminuendo di lingua e mano, nel susseguirsi di ritmi che parevano rubati da uno spartito, sciolse definitivamente la mente, sostenuta solo da respiri sincopati.
"Bravo, Julian" disse con dolcezza. Nel mio disinteressato abbandono, ad occhi chiusi, una pausa imperiale: riuscii a vederla, a vedermi attraverso i suoi occhi, a percepire la sua soddisfazione, mentre, piano piano, fece scorrere dentro il dito, fino in fondo, dentro e fuori. Segato ed elegantemente inculato, nel tumulto di nuove sequenze ritmiche, irregolari ed impulsive, via via sempre più concentrate alla prostata, conducendomi al piacere massimo.

Milady, compagna perfetta per camminare al buio in totale sicurezza.

Milady, poliedrica e colta, fascino puro.

Milady, concedendomi di conoscere il suo lato oscuro, ha saputo rendersi per sempre una pietra preziosa.

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