-

18 2 0
                                    

Il mattino dopo i due si svegliarono nello stesso letto, abbracciati. I capelli biondi del ragazzo gli incorniciavano il volto candido e apparentemente puro. Le braccia erano intrecciate e una mano di Alexander era immersa nella chioma rossa dell'altra. Le dita scivolavano delicate tra i suoi ricci e li lasciavano cadere sul materasso che accoglieva i loro corpi. Quella mattina non c'era il sole, il cielo era coperto di nuvole e in lontananza i tuoni risuonavano, prepotenti. La voce del ragazzo accarezzò l'orecchio di Delie, che era chiusa a riccio contro il suo petto:«Li...Sei sveglia?» la ragazza mugolò in risposta stropicciandosi gli occhi.
Un braccio di Alexander stringeva il corpo della ragazza a sé, la quale però non ricordava assolutamente come fosse finita in quella situazione.
«Alex? Che fai qui?» sibilò a denti stretti ricordando il sogno che aveva fatto per l'ennesima volta. Alzò il capo verso l'amico e gli rivolse uno sguardo non poco perplesso.
«Che c'è? Sei tu che sei entrata nella mia stanza stanotte, mi hai chiesto di tenerti tra le mie braccia perché avevi fatto un brutto so-» la rossa lo interruppe fulminandolo con lo sguardo.
«Ho capito, lo so. Ora mi ricordo.» si massaggiò le tempie con due dita, sbuffando. Sentiva gli occhi pesanti e gonfi. Poi alzò il capo verso l'amico e lo guardò negli occhi, si sorrisero.
«Grazie Alex, davvero.» disse ferma Delie strofinando il viso sul petto dell'amico. Alexander rispose con voce tenue e dolce:«Ei, non devi ringraziarmi, ok? Sono qui per te, ci sarò ogni volta che vorrai.» le accarezzò i capelli, lasciandolo un dolce bacio sulla testa e poi si alzò.
«Dove vai?» si lamentò Delie, rigirandosi prepotentemente nelle lenzuola. Era lunedì, pioveva e Delie aveva tutti i motivi del mondo per non voler andare a lavoro. Aveva passato una notte da incubo, rannicchiata tra le braccia di Alexander, che cercava di calmare i suoi spasmi nel sonno e le asciugava le lacrime.
Ogni notte in cui Delie si trovava sola, senza qualcuno al suo fianco, sognava la stessa cosa, la stessa vicenda, lo stesso dolore straziante e lo stesso senso di nausea appena sveglia le faceva compagnia.
La voce di Alexander la distrasse dai suoi pensieri:«Devo andare a lavoro, patatina. E anche tu dovresti..» rise lievemente lanciandole uno sguardo torvo dopo che lei gli fece il verso in modo seccato.
«Tu pensa a te, stupido.» e concluse la rossa con un finissimo e regale dito medio alzato, diretto verso il ragazzo.
Delie afferrò il telefono e uscì dalla stanza del suo amico sentendo un ultimo brontolio alle sue spalle:«Stronza...» lei rise e scosse la testa, avviandosi verso il bagno. Delie lavorava da appena 5 mesi nell'asilo privato a casa della compagna di sua madre. Quando era più piccola, tra i 16 e i 17 anni, i suoi si erano separati. Lei e il fratello più piccolo, Elia, si avvicinarono solo dopo quell'evento, non sapendo su chi contare, si coprivano le spalle a vicenda e cercavano di tirare avanti insieme. Non avevano mai avuto un rapporto molto stretto, anzi, litigavano sempre, anche per le cose più irrilevanti, ma crescendo entrambi avevano sviluppato finalmente un legame tale da proteggersi l'un l'altro nel momento del bisogno. Elia era più piccolo di tre anni, aveva gli occhi azzurri come la madre e i capelli castani. Era un ragazzo spaventosamente bello, non solo esteticamente parlando, aveva il fascino del simpaticone, era sempre stato quello più popolare tra i due fratelli, ma Delie sapeva anche che quella che lui metteva in giro era solo una maschera di porcellana che alla prima colluttazione col mondo esterno si sarebbe distrutta in mille pezzi. Lo sapeva anche lui a dire il vero, ma era finalmente circondato di persone che gli volevano bene ed era così felice e appagato che ormai la maschera faceva parte di lui.
Delie tirò un sospiro risvegliandosi da quel flusso di coscienza e iniziò a prepararsi per andare a lavoro.
Il telefono iniziò a squillare.
«Stellina mia, buongiorno! Ricordati che oggi fai anche il turno dell'altra ragazza all'asilo! Inizi alle 9:00, mi raccomando ricordati di chiudere quando vai via!» la voce della donna risuonò alle orecchie di Delie come le campane che la domenica avvertono le vecchiette del paese per l'inizio della messa.
Delie sospirò:«Sì mamma, me lo hai già detto ieri. Ci vediamo tra mezz'ora..» si strofinò la mano sul viso per cercare di non lanciare un urlo di frustrazione.
«Oh no, io non ci sarò. Porto Sabri alle terme, se vuoi ci vediamo oggi pomeriggio per un caffè!» Delie sentì una risatina in sottofondo provenire dal telefono e poi dei mugolii.
«Dio mio mamma, potevi anche non chiamarmi se dovevi fare le tue cose con la "tua donna", ci sentiam-» la chiamata si chiuse improvvisamente. Non l'aveva nemmeno salutata. Delie fece un lungo sospiro e andò a mettersi un filo di mascara e del rossetto color caramello. Si guardò allo specchio e accennò un lieve sorriso per incoraggiarsi a fare del suo meglio anche quel giorno.
Mise le scarpe e prese la borsa e si avviò fuori dal palazzo per andare verso la zona più in campagna, dove si trovava l'asilo. Siccome non era molto lontana decise di andarci a piedi e arrivò in un quarto d'ora, pronta per aprire il cancello della bellissima scuola che sua madre aveva costruito insieme al suo gruppo di ballerini di tango.
Sorrise ed entrò in quel luogo magico. Alla fine del giardino vi era un'enorme Yurta, un tipo di tenda proveniente dalla Mongolia super spaziosa.
Lì dentro Delie teneva impegnati i preziosi bambini che le affidavano, con creative attività di disegno, gioco e lettura collettiva. Era felice di lavorare lì.
Adorava sentirsi adorata da quei piccoli esseri umani.
Delie non voleva figli, o almeno non in quel periodo, però la gioia che provava a passare del tempo con i bambini piccoli era indescrivile. Da quando aveva 9 anni lei si occupava del suo fratellino e dei suoi amici. La definivano spesso "carismatica", cosa che lei non pensava affatto, ovviamente.
Era solita svalutarsi, in ogni contesto sminuiva i suoi problemi e le sue capacità che erano tutt'altro che inesistenti.
Delie sorrise amareggiata e immersa nei pensieri, sfilandosi le scarpe per entrare nella Yurta e iniziare a sistemare un po' le cose che i bambini avevano lasciato in giro il venerdì.
Alle 9:05 precise sbucò una testolina rossa dalla porta in legno:«Delie!» la ragazza sorrise intenerita e gli corse incontro abbracciando il bimbo.
«Enea, pupetto come stai?» il piccolo rise quando Delie iniziò a scompigliarli i capelli e le abbracciò le gambe.
Enea era decisamente il suo bimbo preferito, sapeva che non era una cosa carina da pensare, ma quel bimbo aveva una luce negli occhi che col tempo lo avrebbe reso un vero uomo. Era un bambino sensibile, dolce e soprattutto ben educato.
«Guarda cosa ti ho fatto con la mamma!» tirò fuori una bellissima collana di conchiglie e occhi di Santa Lucia.
«Amore ma è bellissimo...Sei un tesoro, questo è un occhio di Santa Lucia, lo sai?» il bimbo sorrise a trentadue denti e la guardò dal basso con quegli occhioni castani. Annuì freneticamente.
«La mamma è andata via già, mi ha detto "Dici a Delie se può darti solo il cibo che ti ho preparato" e se n'è andata..» imitò l'accento di Napoli della madre e la sua espressione si intristì appena, ma subito si riprese eliminando ogni cipiglio sul suo volto. Alzò lo sguardo verso la donna sorridendole felicemente.
«Ma che imitazione perfetta, sembri proprio la mamma eh?» risero insieme ed iniziarono a preparare tutto il necessario per le attività con i bimbi, che iniziarono ad arrivare tutti insieme, sorridenti ed eccitati per un'altra giornata da passare con gli amici.

La giornata passò velocemente, arrivarono le 15 e tutti i bambini iniziarono ad andar via. Tutti tranne uno. Enea.
La madre non era lì e non rispondeva al telefono. Aspettarono insieme solo loro due. 
Si fecero le 16 e ancora nulla. Capitava spesso che la madre tardasse ma mai per più di venti minuti.
Delie decise di portare Enea con sé, tenendolo per mano. Chiuse il cancello alle sue spalle e si accovacciò per raggiungere approssimativamente la sua altezza:«Piccolo, ti ricordi dove abiti?» lui sorrise e annuì prendendole la mano e trascinandola dietro di lui.
Camminarono per 10 minuti ed avevano già raggiunto il centro, così Enea aprì bocca singhiozzando appena:«Io...Non mi ricordo più..» si girò verso Delie e mostrò gli occhi pieni di lacrime e il labbro inferiore sporgente. Lei gli sorrise intenerita e mise la punta dell'indice tra le sue sopracciglia per togliergli quell'espressione imbronciata.
«Sei più bello quando sorridi lo sai? Non piangere...adesso troviamo un modo, okay?» gli asciugò le lacrime con i pollici e gli lasciò un bacio sulla fronte. Camminarono ancora, insieme, mano nella mano, fino a quando una voce giunse alle orecchie della giovane donna.
Il suo cuore tremò.
«Delie?»

Love Dysmorphia Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora