3 - Nelle Viscere del Mondo

266 30 145
                                    

Un masso cadde nel mare di lava, liberando schegge incandescenti che si dispersero in tutte le direzioni, simili a uno sciame d'api a cui è stato distrutto l'alveare. Alcune nere figure, rannicchiate su pietre irte sulla lava come piccoli scogli, vennero colpite da quelle schegge e si agitarono ululando prima di tornare alla posizione contorta con cui convivevano da tempo immemore, cercando di leccarsi le ustioni senza fare movimenti bruschi. Ma c'erano volte in cui anche il più piccolo movimento per smuovere le giunture portava uno di loro a scivolare. L'essere iniziava a lanciare pigolii terrorizzati, tentando disperatamente di aggrapparsi alla roccia e non cadere. Allora le urla irridenti dei compagni riempivano quella strana grotta, accompagnando la caduta del compagno finché non veniva bruciato dalla lava, spargendo un miasma marcio per tutta la grotta e avvinghiandone le ossa sul fondale.

Altre volte una di quelle creature esigeva più spazio e iniziava a lottare coi compagni, avviando furiose risse in cui diversi esseri cadevano nella lava. Erano quelle risse l'unico caso in cui l'enorme bestia seduta sullo scoglio più grande si alzava e faceva risuonare nella grotta il suo ruggito. Al riecheggiare di quel suono gutturale il silenzio calava improvviso nella grotta e le lotte si fermavano. L'enorme mostro rimaneva in piedi alcuni secondi per assicurarsi dell'effetto del suo richiamo e poi tornava a sedersi, attendendo.

Attendendo.

Perché da quando erano stati confinati in quelle viscere pestilenziali non faceva altro che attendere.

La sua pazienza rabbiosa venne premiata dopo un tempo incalcolabile, quando una scossa violenta percosse la loro prigione e nella cupola che li sovrastava si formò una crepa.

Sufficiente a far passare uno di loro.

Le bestie iniziarono a correre verso la fenditura, attorcigliandosi in un groviglio di corpi e arti, pestandosi a vicenda, mordendo e graffiando. Molti caddero nel magma e non ne riemersero più.

Dall'ammasso informe di corpi aggrovigliati emerse una lama nera, che si fece strada tra gli arti e sparse macchie di sangue scuro in ogni direzione, innalzando un puzzo di marcio che si fondeva al miasma che già riempiva la grotta. A guidare i movimenti della lama c'era una bestia, la pelle formata di una crosta color pece, che uccise rabbiosamente gli ultimi ostacoli dinnanzi a sé e giunse per primo alla crepa. Inspirò l'aria che giungeva dal piccolo varco e l'emozione di sentirla nuovamente nelle narici fu tale che gli parve di sentire vibrare persino le due lunghe zanne appuntite che gli spuntavano dalla bocca.

Una presa violenta si strinse sulla sua spalla costringendolo a fermarsi. Volse il capo verso chi osava bloccarlo ma il suo ringhio rabbioso morì in un pigolio atterrito.

A stringergli la spalla era il loro re, l'enorme essere che stava seduto sullo scoglio più grande.

Un silenzio vibrante riempì la grotta. Sapevano tutti che se il loro re avesse voluto passare per primo lo avrebbe fatto.

Riscossosi dalla sorpresa, il demone strinse più saldamente la lama nera. Non gli importava se a fermarlo era stato il loro re, il suo maestro, il più potente fra tutti loro. Aveva passato troppo tempo in quel mondo, senza cibo, con quel caldo atroce che bruciava la pelle e i pensieri, con quell'aria maleodorante e pesante che rendeva ogni respiro uno sforzo.

Non voglio fermarti.

La voce cupa echeggiò nella mente di tutti gli esseri nella grotta, assieme a un basso ringhio di sottofondo. Da quando erano stati imprigionati, si era limitato a ruggire per riportare l'ordine, non aveva mai parlato. Solo ora tornava a lambire le menti dei suoi schiavi.

La tua forza ti dà diritto a uscire. Io devo restare, il vincolo magico che ci imprigiona si sta spezzando, ma devo continuare a colpirlo dall'interno. Tu esci, calpesta Ergaf, studia i suoi abitanti. Individua chi può frapporsi a me.

Poi torna a riferirmi tutto. Voglio uscire sapendo chi mi troverò davanti.

Il re lasciò la spalla del mostro. Ma prima che l'orrida figura varcasse quel piccolo spiraglio, la voce del suo padrone echeggiò tra le rocce e rimbombò assordante nella sua mente.

Ricorda, sei mio schiavo. Torna a riferire quel che vedi. Obbediscimi!

Deglutì rumorosamente prima di lasciare quella prigionia soffocante.

Deglutì rumorosamente prima di lasciare quella prigionia soffocante

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Ergaf

Barët Flaam


La foresta, solitamente pervasa dai canti variopinti degli uccellini e dal mormorare del vento tra le foglie, era avvolta in un silenzio innaturale, quasi che non volesse disturbare l'anziano maestro seduto a terra con gli occhi chiusi. Solo l'abituale odore di muschio umido era rimasto a fare compagnia ai due apprendisti.

Per l'ennesima volta, gli occhi verde giada della ragazza guardarono il compagno, chiedendogli silenziosamente se dovessero fare qualcosa. Non servì una risposta perché, in quell'istante, il maestro aprì gli occhi di scatto.

"Non ce l'ho fatta... – la sua voce era un sussurro rauco, colmo di stanchezza – Si è aperto un varco..."

Volse gli occhi tremanti verso i due apprendisti. Una scintilla di urgenza riluceva tra le rughe.

"Dovete partire. Subito!"

Note dell'autore: la seconda parte, quella dopo il disegno di intermezzo, è stata appena aggiunta, variando totalmente la parte presente prima per accogliere alcuni ottimi consigli ricevuti dai vari lettori. Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate, se vi sembra adatta e se incuriosisce abbastanza, così da vedere se conviene lasciarla.

Grazie mille in anticipo! :D

I Trenta MercenariDove le storie prendono vita. Scoprilo ora