8 - Ghimesh

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"Salve Ghimesh."

Uno sferragliare ferroso risuonò nell'ombra mentre una figura si rialzava contro la parete più lontana.

"Lui è Daer, il comandante dei Trenta Mercenari."

Le catene stridettero sul terreno e il prigioniero si avvicinò alle sbarre. La pelle squamosa, di un marroncino chiaro, sembrava quasi prendere fuoco sotto la luce pallida della lampada che illuminava debolmente la prigione. Il marchio, quel tatuaggio composto da una linea spessa e dritta che si intersecava con altre due che procedevano a spirale, andava dalla base del collo fino all'ombelico ed era di un nero talmente scuro da risaltare anche in mezzo alle penombre di quelle segrete. Teneva gli occhi bassi e si mordeva le squame delle labbra con fare compulsivo. Le mani, dalle dita lunghe e sottilissime, erano continuamente intente a massaggiarsi i polsi sopra le catene.

"Mi dispiace per i mercenari che ho ferito. Io..."

"Il comandante non è qui per quello."

Il ragazzo alzò il volto sorpreso, smuovendo i lunghi capelli scuri che ricoprivano le squame del volto e rendendo visibile il naso, composto semplicemente da due fori membranosi senza alcun rilievo. Gli occhi, gialli e tremanti, batterono un paio di volte, come se solo in quel momento avessero incrociato la luce della lampada, ma non muovendo le palpebre, bensì chiudendosi lateralmente con due piccole membrane presenti all'interno dell'occhio stesso. Alle sue spalle ci fu un guizzo e una lunga coda nera, con alcuni sfilacciamenti sulla punta, fece un paio di scatti nervosi. Il comandante la studiò all'ombra del cappuccio e la trovò del tutto simile a quella dei mornot, un grosso animale notturno conosciuto per la sua forza e ferocia. Ecco l'elemento animale di quell'esseride.

"È qui per conoscerti e valutare un tuo reclutamento nei Trenta Mercenari."

Gli occhi di Ghimesh sembrarono tremare ancora di più, con quelle strane membrane laterali che iniziarono a battere a un ritmo irregolare mentre la coda scattava a destra e a sinistra. Fece due passi indietro, tornando in parte a confondersi con le ombre della cella.

"State scherzando?"

"Mi hai detto che in questo modo la bestia potrebbe permetterti di uscire dalla Cittadella."

"Ma voi avete capito cos'ho?! C'è un mostro in me che si sveglia quando vuole e desidera solo sangue e morte! Se starò qui, chiuso in questa cella, non potrò fare male a nessuno..."

Si piegò sulle ginocchia, stringendole al petto con le lunghe braccia, e fissò il pavimento.

"Non voglio più fare del male, non voglio più uccidere. Se mi fate uscire, chi potrebbe fermarlo?"

"Noi."

Il primo a sorprendersi per quelle parole fu Daer stesso, benché fosse stato lui a pronunciarle. Sia Ari che Ghimesh lo stavano fissando, benché con sentimenti diversi. L'elfo mostrava un sorrisetto sorpreso e al contempo soddisfatto. L'esseride lo fissava invece da terra, con occhi che lo guardavano come se fosse la bestia più pericolosa dei due mondi. Eppure nessuno dei due osò aprire bocca, aspettando che fosse il comandante a spiegare.

Già, spiegare cosa? Che gli era preso? Era andato in quella cella a incontrare Ghimesh per fare contento Ari, non pensava certo di prendere con sé un pericolo di quel genere. E poi era un esseride, chi poteva fidarsi di un esseride?

Eppure c'era qualcosa in quella figura squamosa e slanciata, c'era qualcosa in quei movimenti convulsi che percorrevano incessantemente l'esseride, in quelle catene che continuavano a tintinnare...

O forse era quel penetrante odore di escrementi che si diffondeva nelle ombre che gli aveva dato alla testa. Eppure...

C'era disperazione in quegli occhi gialli e tremanti. E lui conosceva bene quello sguardo, la disperazione di chi non aveva più nessuno.

Era lo sguardo che vedeva in tutti i membri dei Trenta Mercenari.

Erano gli occhi che vedeva nell'acqua ogni volta che si lavava la faccia.

Reyk, quanto vorrei avere i tuoi pensieri qua a darmi consiglio.

"Fermeremo noi la bestia. Combattiamo battaglie in cui morire è più facile che sopravvivere, vedrai che già quelle ne calmeranno la sete di sangue. Ma comunque avrai attorno i tuoi compagni, mercenari che sanno bene cosa significa avere un mostro dentro di sé. Ti terremo sempre d'occhio. E se spunterà fuori ci penseremo noi a fermarlo."

Si tolse il cappuccio e fissò l'esseride negli occhi.

"Lo fermeremo noi."

Uscirono dalle celle, diretti verso i dormitori, con il Sole che si alzava dritto sulle loro teste

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Uscirono dalle celle, diretti verso i dormitori, con il Sole che si alzava dritto sulle loro teste. Fecero chiamare Jash e Postermin e Ari li presentò al comandante, comunicandogli che erano stati scelti per sostituire i caduti. Essi avevano iniziato a ringraziare per l'occasione e la fiducia ma Daer aveva perentoriamente rotto la cerimonia dicendo sgarbato di presentarsi a cena alla porta della mensa. Il giorno dopo gli era concesso libero e all'alba del giorno successivo avrebbero dovuto farsi trovare davanti al portone della Cittadella pronti a partire. Detto ciò, li aveva piantati lì e si era diretto verso i suoi alloggi con il cuore che ribolliva.

I nuovi arruolati lo facevano sempre sentire così. Erano guerrieri stupidi che da anni vivevano dentro le mura sicure della Cittadella, ascoltando lezioni e puzzando di sudore negli allenamenti. Non avevano idea di cosa li aspettasse.

Certo, gli servivano. Già combattere con soli trenta soldati non era facile, non poteva permettersi di aver ancor meno guerrieri. Ma erano carne da macello, stupidi ragazzini convinti che unirsi ai Trenta Mercenari fosse la cosa più bella del mondo e incapaci di capire che era la peggiore condanna. Significava svendere la propria anima, vivere una vita di lutto, passare ogni giorno pensando al passato e tormentati dagli incubi.

Solo Ghimesh, per un attimo, era riuscito a fargli dimenticare il suo odio intrinseco per i nuovi arruolati.

Solo per un attimo.

Già ora, ripensando ai suoi occhi timorosi, al suo contorcersi le dita, a quel suo modo di mordicchiarsi le squame delle labbra... gli stava facendo nascere la voglia di tagliargli la gola.

Posò una mano sulle pietre del suo alloggio e chiuse gli occhi, cercando di calmarsi.

L'acqua violenta che lo colpisce, la forza del fiume che lo trascina, l'acqua che gli penetra nei polmoni mentre lui cerca di urlare...

Staccò la mano dalla pietra bollente con uno scatto, rabbrividendo. Si costrinse a prendere grosse boccate d'aria per calmarsi e si passò le dita sugli occhi. Li sentiva pesanti e gonfi, ma non poteva addormentarsi. Da quando erano arrivati alla Cittadella si era obbligato a non dormire, sapeva fin troppo bene che i sogni gli avrebbero restituito pezzi del passato. I ricordi pressavano la sua mente come la puzza di un cadavere marcio e lui non intendeva cedergli terreno.

Riuscì a tenersi sveglio visitando i luoghi della Cittadella, parlando coi graduati, studiando l'avanzamento dei lavori appena fuori le mura, inspirando a grosse boccate l'aria pesante del Grande Deserto.

Resse fino a pomeriggio inoltrato, quando si sedette coi Trenta Mercenari sulla sabbia rovente fuori dalle mura. Fece l'errore di farsi cullare dalle loro voci e, mentre loro discutevano animatamente su quale fosse l'arma migliore per trapassare una cotta in cuoio, Daer fu vinto dal sonno...

I Trenta MercenariDove le storie prendono vita. Scoprilo ora