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Non s'erano mai scoperti, prima di scoprire l'amore, non ne avevano avuto tempo, ne tantomeno spazio, che la forza di quel legame gli aveva investiti prima ancora che riuscissero a compiere un passo nel mondo, e quei loro corpi, fragili di una pubertà a malapena sbocciata, non ne erano stati capaci di resistenza.

Aveva quattordici anni, Manuel, quando Simone s'era incastrato tra le crepe della sua vita. Non lo saprebbe spiegare, che la memoria ormai lo inganna e i pensieri fetali di ciò che non è più sono difficili da far riaffiorare, quando s'era accorto che il male ottuso all'altezza dello stomaco fosse amore.

Non era che un ragazzino pettinato, nascosto dalle lenti spesse dei suoi occhiali, dalla pelle screpolata all'altezza delle guance, e da vestiti troppo stretti alla fretta a cui cresceva, eppure Manuel, nel vederlo seduto al tavolo della sua cucina, ripiegato sui quadernoni doppi che trascinava alla schiena ricurva sul suo zaino, intento ad appuntare meticolosamente ogni parola uscisse in quella storpiata lingua dalla bocca di sua madre, avvertiva lo stomaco scomporsi e raggomitolarsi nel petto, stretto attorno al cuore.

Manuel non crede, in cuor suo, la sua giovinezza potesse prenderne strada diversa, che quello con Simone è stato, gli parve, allora, irrimediabile come camminare. Un passo a trasformarsi in un altro, la merenda condivisa tramutarsi frettolosa in una banale confidenza, un segreto sussurrato, allora, nella fame convulsa di un corpo che proprio non gli è stato, e di nuovo, ancora, la fretta di divorarsi farsi coraggio, un bacio asciutto, prima, una mano stretta nella propria subito dopo, le guance gonfie, rosse d'adolescenza ritinta di imbarazzo.

"È il fidanzato mio" aveva detto a sua madre, e la pancia gli aveva fatto male tanto forte, che quella parola l'aveva esaltato, l'aveva fatto sentire grande, più grande dei grandi e più grande dei giganti, e forte tanto quanto il mare ad erodere le montagne.

Si scoprirono insieme, poi, che finirono irrimediabilmente per costruirsi a vicenda.
Cominciò a provare desiderio, Manuel, ne è certo, solo perché Simone aveva carne da poter essere desiderata, a bramarne il gusto sotto la lingua, solo perché Simone ne aveva lacrime da berne.

Gli sembra assurdo pensare che adesso Simone possa tingersi di sorrisi che non conosce, ridere a battute che neppure capirebbe, costruirsi, allora, mattone a mattone, solo con le sue forze, senza le fondamenta di Manuel a farne da reggente.

Non gli era mai pesata, quella differenza che tra loro bruciava così forte che per condanna o ammissione, prima o poi, era condannata a farne cenere. S'erano riscoperti improvvisamente diversi, allora, solo all'ombra dei vent'anni, con Simone a spalle cariche di valige, la pancia piena di un mondo pronto a mangiarselo e Manuel con le dita sporche di nafta e copertoni, a piegarsi sotto i pesi dei motori solo per poterne campare.

Se ne rese conto al primo anno dopo la maturità, allora, che Simone usava parole delle quali non conosceva neppure la forma.

Crebbe incontenibile e incontrollabile, allora, quella loro diversità, o forse, più propriamente, ne cominciarono a notare l'ombra nella stanza alleggiare sui loro corpi nudi, protetti da seta, talvolta flanella.

L'abbracciarono per molto tempo, ci risero assieme, la portarono a ballare, poi, decisero, si limitarono ad accoglierla nel silenzio. Ed adesso che quel silenzio rieccheggia da un capo all'altro del mondo, viaggiatore instancabile in quel tubo sottile che trasporta le parole oltremare, Manuel teme diventi presto caos, nella sua voce spezzata.

"Non ce posso venì a pasqua da te" si condanna dall'altro capo del telefono, la voce ancora affiatata della fatica di una giornata intera, le mani di grasso a sporcare di impronte quel telefonino che dell'altro s'era fatto dono tempo addietro.

Simone sospira, e fa più male di qualunque altra cosa, non tanto averlo deluso quanto aver soddisfatto a pieno ogni sua aspettativa, che da Manuel di buono non ci si aspetta mai niente.

"Vabbè, ci sentiamo domani" si limita a sussurrare, e mentre fa per chiudere la chiamata l'ansia del più grande lo mangia "Mi dispiace" si affretta a dire "Mi dispiace non è colpa mia, non è colpa mia lo sai- lo sai che non posso perderlo sto lavoro, mi manchi- ti amo, Simo, ti amo"

"Anche io" e ne è tanto scontato quasi faccia male "anche io ti amo, lo sai, è solo che-"

"Manuè" la voce grossa di Gino lo interrompe, assieme al rumore cacofonico dei suoi passi imburrati, prima che possa sentire quello che Simone ha da dire "Chiudi quer cazzo de telefonino e vieni a puli'"

Ingoia il groppo, mette una mano davanti alla bocca, quasi per essere sentito solo dall'altro: "Mi dispiace e ti amo, mi dispiace e ti amo"

Preferirei che non esistesse il mondoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora