Ha dimenticato come sia quella sensazione instupidente, quando la felicità ti attanaglia e ti mangia i pensieri, fa subbuglio nel tuo stomaco, groviglio nel tuo petto, matassa ai tuoi pensieri. L'ha provata spesso, tanto da averne fatto sciocca abitudine.L'ha considerata un'amica, una giornaliera compagnia in visita a lui, di viaggio sempre sullo stesso volto. Adesso, invece, di quell'amica non vede più neppure l'ombra riflessa sullo specchio dell'acqua lurida e stagnante del Tamigi, che anche nel suo maleodorante scorrere fatica a dare sentore di casa.
Dovrebbe essere grato, lo sa bene: Manuel, dall'altro capo del telefono glielo ripete sempre.
"Cosa non farei io" dice "per avere un'occasione come la tua" prima di ricoprirsi dei rumori assordanti delle chiavi inglesi a colpire incuranti i motori.
Se ne sente sfibrato, lacerato fino alla corteccia più acerba della sua anima, da quella pretesa di talento accademico per cui il mondo pare doversi, a detta degli altri, accartocciarsi ai suoi piedi.
Gli manca Manuel, questo soprattutto.Fatica a ricordarsi cosa o come l'abbia convinto a partire, che seppur nella serena euforia della sua adolescenza, Simone ne è sempre stato consapevole: la luce a tenerlo sveglio non è mai stata sua, la rubata puberale e sdentato tempo addietro, e pur nell'incertezza di chi brancola nel buio, adesso, l'ha lasciata andare.
Manuel non c'è ed il cielo è grigio, Manuel non c'è, seppure aveva promesso di farlo, e il suo cuore è spento.
Non c'è gioia nel nuovo, ne ebrezza nell'avventura, ne fame nella conoscenza.Manuel non c'è, e Simone, quasi per abitudine, si limita a restare seduto ad aspettare che il suo fiato lo sfiori ancora.
Si da a quella città a malapena. Studia, certo, inciampa tra i mezzi ogni mattina, ma al pomeriggio è già protetto tra le strette quattro mura della sua stanza, nel piccolo appartamento periferico che condivide con altri studenti connazionali, e che sua madre s'era con tanta cura assicurata di trovagli.
"Così non ti sentirai solo" aveva detto, ma allo stare solo, Simone, ha fatto condanna.
Ne ha avuto paura all'inizio, che s'è sempre saputo troppo poco simpatico, o troppo poco interessante, e la paura l'ha bloccato a sterili frasi di cortesia, in quella profezia che da sola s'è compiuta e che lo vede sempre civile, ma mai amico.
E adesso che Aprile è poco gentile, e batte forte la pioggia alla sua finestra, Simone non può che restare fermo a guardare quello spazio vuoto del suo letto, dove s'è curato di riposare più cuscini di quanto umanamente tollerabile solo perché sa che Manuel ama dormire così, l'angolo svuotato al confine con l'armadio, che ha liberato solo per lasciare spazio alle sue valige improvvisate, troppo ingombranti per essere abbandonate altrove.
Non può incolparlo, in cuor suo ne è consapevole, non davvero per lo meno, ma ciò non lo rende più facile. L'aveva annunciato a tutti con fierezza settimane prima, ripetendo ad ogni sensibile occasione a ciascuno di quei distanti coinquilini come "il mio fidanzato verrà qui tra un po', spero non vi dia fastidio" solo per riempirsene la bocca di fierezza.
Sa bene quanto la sufficienza di quel rapporto non sia che fatta di un miscuglio amarognolo di pena e pietà, che a tarda sera, quando sono tutti a tavola e lui è in camera bisbigliano ciò che pensano davvero di lui senza farsi troppe premure, ciondolando, "non per essere cattivi", sulla sua grigia stranezza.
Se ne saranno accorti, ne è consapevole, che di Manuel in quella casa non alleggia che il fantasma nelle fessure della sua memoria, e che tutti i suoi posti vuoti sformano il corpo di Simone fino a farne perdere la materia. Ha paura, lo scopre presto, che pensino se lo sia inventato. Ha paura, più di ogni altra cosa, che quella pena diventi l'unica cosa vera ad infrangersi sulla sua pelle, e che la rabbia lo trasformi in qualche estraneo a se stesso, capace allora di vivere in un mondo che non sia Manuel, in un corpo che non sia di Manuel.
Diventa reale, allora, spaventosamente pungente sulla pelle, che sente tirare fino a cedere, solo qualche giorno più tardi.
Lui e Domenico sono nello stesso corso di informatica, e condividono la strada fino alla classe ogni martedì pomeriggio. È un ragazzo gentile, approssimativo nelle parole e sbrigativo nei fatti, ma gentile.
Lo mette a disagio più che spesso, ma mai in maniera cattiva, e quel martedì Simone, al misero contatto di umano calore a sfiorargli la spalla mentre siedono alla stessa metro, ci si aggrappa più forte di quanto dovrebbe."Tu scendi a casa settimana prossima?" gli chiede, evidentemente ed esclusivamente per riempire lo spazio vuoto di quel silenzio.
"No, non credo, ho un esame" risponde pacato, stringendo con fin troppa forza la bustina di dolcetti che tiene nella mano destra.
"Mi dispiace- è difficile, no? Col ragazzo tuo e tutto"
Simone trattiene una risata amara, che vien via quasi sia un colpo inatteso allo stomaco.
"Non lo so, in realtà- non so come stanno le cose fra di noi, non ci sentiamo da un po'"
Mimmo - così ha sentito gli altri chiamarlo la maggior parte delle volte, anche se non sente di averne abbastanza familiarità da suggellarlo in quel nomignolo - pare pensarci un attimo, che si perde ad osservare la galleria putrida scorrere da dietro al finestrino.
"Vabbè" sembra concludere "è normale", e Simone ne è quasi annebbiato.
"Che vuol dire?"
"Che stai con lui da quando eravate piccolini- l'hai detto tu una volta, no? È normale che adesso non sei più sicuro, hai visto il mondo, stai crescendo, non puoi pretendere di essere la stessa persona che si è presa st'impegno"
È forse la sua coscienza che infila le unghie in ogni carne che ne sia rassicurazione, quel frammentario momento in cui prende ogni parola per verità.
Ma si, pensa, certo che è così.
Che sarà stato stupido pensare, allora, che avrebbero potuto amarsi sempre e allo stesso modo, che non sarebbero cresciuti, nella più naturale delle ipotesi, in due persone totalmente distinte, di cui s'ama solo il vago pretendere di un ricordo.
Che futuro hanno, infondo, Manuel e Simone?
"Può essere" soffia quasi ne sia il vento della realizzazione a scuoterlo.
Mimmo sorride, non tentenna nel scuotergli la spalla in quella pacca troppo stretta.
"Comunque se ti va sta sera sono a soho, magari te diverti un po'" ed è al vago rabbrividire del suo viso alla carezza informe che l'altro ne fa che Simone sente la paura sormontarlo.
S'alza dal sedile di fretta, si scrolla i vestiti nel precario equilibrio che riesce a trovare allo scorrere di quel treno, quasi siano troppo sporchi a quel contatto, trema poco e incerto, mentre si avvicina alla porta.
"Meglio- meglio di no, io scendo qui" annuncia poi, sotto lo sguardo confuso quanto divertito dell'altro.
Si ritrova fuori dalla stazione sbagliata, la busta di dolcini ancora stretta tra le dita, senza nessuna idea di dove andare.
Il cuore pare averne lasciato il petto nella fretta di quella fuga, e mentre dondola sul posto, nell'incertezza di prendere o meno posto su quella panchina, ne si riscopre terrorizzato.
L'ha visto per la prima volta, quel mondo senza Manuel Ferro, e niente gli è parso valerne la pena.
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Preferirei che non esistesse il mondo
FanfictionOs in 3 piccole parti i guess Long distance relationship