II - Duemila Volte

50 2 0
                                    

Contesto: Doc - Nelle tue mani ~
Stagione 3 - episodio 3x13  - "Legami"

Un botta e risposti dei non detti tratti dalla scena di inizio episodio 3x13, quando Andrea e Agnese si incrociano di prima mattina all'entrata dall'ospedale.
I pensieri di Andrea allineati a sinistra, quelli di Agnese a destra.

Ispirazioni Musicali
Duemila volte (Marco Mengoni)

***

II

Duemila volte

Di finte bugie e profondissime crepe

Andrea si diresse a passo sicuro verso l'entrata del Policlinico.
Fece il giro attorno all'ascensore con gli occhi bassi, ma ad un certo punto d'istinto si voltò.
Non avrebbe saputo dire perchè, ma, a posteriori, avrebbe preferito non farlo.


Agnese stava salendo le scale del sottopasso, un gradino per volta.
Era assorta nei suoi pensieri, ma appena uscì scorse Andrea giusto davanti all'entrata e il tempo si fermò di colpo, dilatandosi come in una strana bolla in cui, al centro, c'era lui, qualche metro più in là, immobile.
Lei sgranò gli occhi.
Lo sguardo di ghiaccio di lui non le lasciava scampo e aveva creato una crepa sul suolo che li divideva impietosamente.
Era profondissima, tanto che ad affacciarsi non se ne sarebbe mai scorto il fondo.
Una voragine, invisibile a tutti ma non a lei.
E, così, Agnese abbassò subito gli occhi.

Andrea le lanciò un'occhiata obliqua e tagliente, convinto di odiarla.
Sperò di ferirla con quello sguardo indifferente, almeno quanto lei aveva ferito lui.
Però, in quel preciso istante, d'improvviso, tornò a vederla per come era e non per come si era abituato a pensarla in quei giorni.
Con rabbia e rancore.
La guardò per un secondo di troppo forse, e vacillò tutto.


Lo sprezzo che lesse nei suoi occhi era troppo e la uccideva.
Anche se, al momento della scelta aveva tenuto in considerazione le conseguenze, solo allora, Agnese realizzò di aver sottovalutato cosa volesse realmente dire scontare il prezzo di quella dannata bugia.
Che era caro.
Carissimo.
Anche se in quello che gli aveva detto non c'era assolutamente nulla di vero.
"Non ti avrei mai fatto del male. Non l'ho fatto, lo giuro" - avrebbe voluto urlargli senza voce.
Ma non poteva, non ci riusciva.
E le parole che gli aveva detto, lo sapeva, erano una lama affilata che l'aveva ferito.
Una volta sola, o forse duemila.
E ancora altri milioni di volte, in cui il colpo che aveva sferrato penetrava nella sua carne sempre più a fondo.
Lacerando tutto.
Agnese si chiese se la pensava ancora e se, quando gli capitava di farlo, soffriva.
Subito si rimproverò per l'egoismo:
vedere il suo dolore era l'ultima cosa che avrebbe voluto, ma una piccola parte di lei non riusciva a non sperare che la pensasse lo stesso.
"L'ho fatto per te" - si ripeteva - "E sì, forse l'ho fatto anche per me."
Perchè non avrebbe sopportato di vederlo perdersi.
Non di nuovo.
E di sentirsi un'altra volta impotente, senza poterlo aiutare.

In quell'attimo Andrea capì che, in realtà, più che lei odiava se stesso.
Proprio perchè, nel suo profondo, non riusciva ad odiarla, ma nemmeno a non farlo.
Evitò di chiedersi il motivo: sarebbe stato terribilmente patetico e, tanto, la risposta la conosceva già.
Si diede dello stupido; l'evidenza lo dilaniava ed era inutile scappare.
Da lei, da loro, da quello che erano stati.
E lo era anche quel suo ostinarsi ad insultarla, a sputare sul loro passato, a rinnegare senza ritegno quello che gli si era smosso sul fondo del cuore e ad ignorare quanto rumore era riuscito a fare, senza che lui lo volesse, opponendosi con tutto se stesso.
Perchè non sarebbe comunque servito a niente.
Era una guerra persa.


E nulla poteva alleviare la pena di Agnese, tranne la consapevolezza: gli aveva mentito sì, ma solo perchè pensava che per lui fosse il male minore.
Meglio odiarla che odiarsi.
Meglio non riuscire a perdonare lei che se stesso.
Se lo ripeteva incessantemente da quel pomeriggio di vento in terrazza, anche se da allora non mangiava quasi e non dormiva più.
Abbassò gli occhi per la vergogna di qualcosa che non avevo fatto, ma di cui sentiva l'immenso peso spezzarle la schiena.
Perchè non lo avrebbe mai confessato, nemmeno sotto tortura.
E, tanto meno, sarebbe riuscita a pronunciarlo e forse nemmeno ad ammetterlo a se stessa.
Ma non poteva fare a meno di lui.
Ed era stato Davide a rompere in mille pezzi la campana di vetro in cui custodiva quell'ulteriore segreto solo suo.
Agnese lo teneva lì, gelosamente, da anni, come se potesse servire a qualcosa, come se, così, davvero, nessuno potesse vederlo.
Ma l'amore non si lascia nascondere, mai.
Necessita di un suo spazio.
Lo pretende e, se non glielo si concede, lo conquista da solo.
Davide con quelle parole, così improvvise, così dure e senza appello, l'aveva colpita senza pietà.
Ma le aveva liberato i polsi.
Solo grazie a quel colpo, era riuscita a piegare le sbarre di quella prigione in cui si era costretta a lungo per difendersi da lui.
Da Andrea.
E non da Davide, che ora se ne era andato lasciandola spoglia da tutti gli scudi e da tutte le scuse. Da ogni indugio.
Proprio ora, che, fuori da quella gabbia, lui, ad aspettarla, non c'era più.


Ed era vero: ora c'era Giulia.
Ci si era buttato a capofitto per non pensare, per staccare il cervello. Per rompere finalmente quella catena.
Ormai, poteva finalmente voltare pagina, cancellare tutto.
Ma non era la stessa cosa.
Non era lei.
Andrea lo sentiva, anche se faceva finta di niente.
Ma, soprattutto quando Giulia non c'era e nessuna distrazione reggeva, tutto sembrava di colpo sprofondare.
E il presente finiva per riavvolgersi dolorosamente attorno ad un vecchio e consumato nastro.
Così, l'altra notte, solo, nel suo letto vuoto, Andrea si era svegliato di soprassalto.
Perchè l'aveva appena sognata.
D'impulso aveva preso tra le mani quella foto sgualcita di lei, con un profondo solco nel mezzo, che teneva sul comodino e l'aveva chiusa con un gesto secco nel primo cassetto.
Andrea non aveva mai ceduto a strappare per davvero quella fotografia. Era lì da sempre, anche da prima dell'amnesia e, chissà perchè, non era mai riuscito a metterla via definitivamente.
In quel momento l'aveva fatto, ma tanto la ricordava lo stesso quell'immagine.
Il modo in cui sorrideva guardando oltre l'obiettivo a chi stava scattando la foto.
Non aveva memoria di quando fosse stata fatta, né dove.
Da quando l'aveva ritrovata sul comodino, dopo lo sparo, la prima volta che era rientrato nella sua camera da letto, aveva sempre sperato che ci fosse lui dietro l'obiettivo. Avrebbe voluto dire che l'aveva guardato così, almeno una volta.
E che poi quel sorriso era riuscito a catturarlo per sempre.
Come quel suo sguardo, impresso sulla pellicola, che gli era rimasto inciso negli occhi. Tanto che, quando li aveva chiusi per prendere sonno, il suo ritratto si era nuovamente presentato davanti a lui in modo sempre più nitido.
E non l'aveva abbandonato più.
Andrea si era maledetto con le mani sugli occhi.
Scuotendo la testa, nel buio, aveva sperato di avere forza a sufficienza per andare oltre e sopravvivere a tutto quell'odio, che poi non era altro che il suo sentimento negato e calpestato che non voleva saperne di cedere, nemmeno lì.
Davanti al quadro deprimente di come può finire anche un amore come il loro.


Quando anche il suo sguardo di sfida si abbassò, non le rimase più nulla.
Agnese si arrese nuovamente all'inevitabilità di non fare più niente, di restare in disparte, anche se equivaleva a morire.
A sfiorire e ad appassire, irrimediabilmente.
Sì, appassire.
Al bel tempo altisonante di quella giornata stonata.
E, così, lo vide incamminarsi con lo sguardo a terra, come se nulla fosse.


Andrea abbassò gli occhi, facendo finta di niente.
Di non averla vista, che non esistesse.
E si avviò verso l'entrata a passo sicuro, con gli occhi rivolti a terra e senza guardarsi indietro.
C'era un sole insopportabile quel giorno, anche se era presto.
Ma lui avrebbe desiderato il diluvio.
Sì, che diluviasse su di loro, su quel dolore insensato e incessante.
E che quell'acqua potesse lavare via tutto.
Per dimenticare per sempre, un'altra volta.


Agnese sospirò e distolse lo sguardo, puntandolo nella direzione opposta a quella che aveva preso lui.
Sbattè le palpebre più volte, come se potesse servire a scrollare quella squallida scena dai suoi occhi.
Perchè in quella mattina di primavera c'era il sole, ma Agnese avrebbe voluto che piovesse.
Piovesse forte per poter piangere.
Tanto, davanti a tutti, in mezzo alla gente e, ancora una volta, senza che nessuno se ne accorgesse.

Il Dicembre degli AranciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora