TALK ME DOWN.

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Mi disse che suo padre era stato portato d'urgenza in ospedale per un arresto cardiaco. L'età fra i 40 ed i 65 è fatale per noi uomini, morti per maggior causa di cuore. La sera, nella camera di Jeongguk, non c'erano altro che libri sparsi: studiava matematica tutto il giorno, la sera ripassava filosofia dai miei schemi. Si lasciava da parte tutto ciò che lo affaticasse per il dopo cena: "Devo nutrire il cervello prima di fare quelle materie che riescono solo a te, Taehyung." Il pomeriggio, invece, si dedicava a quelle sue preferite, perché gli premeva di far bene, di raggiungere buoni voti e una certa media per l'università.

Alle otto di sera mi chiamò al cellulare. Stavo cenando, il suo problema principale era che non riuscisse a concentrarsi perché nella sua testa c'era altro. Fissava da ore il foglio di appunti che gli avevo passato sottobanco tre giorni prima per l'interrogazione; Jeongguk divagava sul da farsi, mentre tentava di capirci qualcosa. Me lo disse, mi disse che nemmeno sua madre era riuscita ad entrare in ospedale. "Dovrei venire a casa tua?" No, no e no, mentre mi telefonava m'immaginavo scuotesse la testa, muovesse i suoi capelli appuntiti con lo sguardo verso terra e facesse ancora cenno di negazione mentre lo convincevo con una proposta contraria. "Jeongguk, parlami sinceramente. È grave?" sua madre gli aveva detto di restarsene chiuso in casa mentre lei correva dietro all'ambulanza. Era maggio, la scuola stava per finire ed io e Jeongguk a breve ci saremo diplomati. Ancora indeciso sul da farsi, l'anno sabbatico non suonava come la peggiore delle ipotesi "Sì, mamma, lo prometto. Mi prendo un po' di tempo libero e decido cosa farò da grande." La domanda di Jeongguk era rimasta sospesa fino alla fine degli studi obbligatori, di quello stesso Jeongguk fermo alle sue stesse scelte di due anni prima: in terza liceo era convinto di fare l'ingegnere, in quinta continuava irremovibile sulle sue posizioni. La domanda di quello stesso Jeongguk che nel maggio del 2017 mi stava pregando in ogni modo possibile di spiegargli i macro-concetti dei miei appunti per l'interrogazione del giorno dopo. "No, Taehyung, non lo so! Per favore, aiutami. Domani interroga e non so un cazzo!"

Gli agganciai il telefono in faccia. Degli altri e bassi, quello fu certo un inciampo: mi mangiai le unghie delle mani, nervoso stringevo il telefono con le dita. "Taehyung, tutto bene?" mia madre mi chiamava, senza sospettare niente di grave, "Era Jeongguk al telefono?" piuttosto un litigio. Ricordo ogni singolo momento del 25 di maggio – quello stesso anno –, ricordo di mia madre che mi chiede cosa fosse successo, io che presi una bicicletta scassata dal patio e corsi fin verso casa di Jeongguk. La nostra memoria si divide fra la coscienza vigile e l'inconscio, la parte fattuale che ricordiamo e fissiamo nella narrazione di noi, e quella a cui il rimosso non ci permette di accedere. Fra i ricordi impossibili di questa, vivono increspati negli anemoni dell'oblio una serie di costruzioni rarefatte di ciò che ci è accaduto: noi ricordiamo quel che ci succede e quello che pensiamo ci accada. Ricordiamo tutto e tutto intramiamo, insieme a fatti oggettivi, con la valenza che questi hanno avuto per noi. La mia memoria deve averne alterato i fatti: l'epopea di Jeongguk fu tanto dirompente quanto traumatizzante, che nella mia testa è oltremodo esagerata, rispetto a quel che lui si ricorda. Non esiste il fatto, esiste solo come noi lo ricordiamo, e, perché il mio piacere ed orgoglio più grande era essere vittima o eroe, mi piacque pensare che riattacai il telefono in faccia a Jeongguk non tanto per paura, quanto per il coraggio di andarlo a salvare.

Percorsi tutta la costa, era il tramonto: il sole si inzuppava lentamente nel mare e non ancora arrivava la brezzettina di primavera a bagnare i corpi d'umido. È vivida l'anatomia dell'istante in cui poggiai un piede a terra dalla bicicletta, guardai ad est e fissai gli occhi dentro il sole per accecarmi. Che fosse la luce del divino o cos'altro io non sappia definire, scossi la testa e mi decisi a dare una meta: avevo riattaccato il telefono in faccia a Jeongguk, e lui aveva bisogno di una mano per l'interrogazione del giorno dopo. Di suo padre, nemmeno l'ombra: un picchiatore in meno, un problema in meno.

the Blue Neighborhood | VKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora