Lo fissai senza dire nulla. L'aveva appena detto. Credeva di amarmi. Ma quel "credo" non mi bastava. Avevo bisogno di certezze, di qualcosa che non lasciasse spazio a dubbi o esitazioni.
«È questo il punto: dovresti saperlo, non crederlo. Perché io lo so per certo.» Le parole uscirono spontanee, senza che le potessi fermare.
«Cosa sai?» chiese, avvicinandosi lentamente e prendendomi le mani tra le sue.
Abbassai lo sguardo per un attimo, poi trovai il coraggio di rispondere. «Di amarti.» Sentii una lacrima scendere sul mio viso e la asciugai rapidamente. Non disse nulla. Mi prese il viso tra le mani e unì le sue labbra alle mie in un bacio disperato, intenso, come se entrambi avessimo bisogno di quel contatto per non crollare. Ma mi staccai da lui, nonostante tutto il mio cuore mi urlasse di restare.
«Quando avrai la certezza, sai dove trovarmi.» mormorai con voce tremante, poi mi avvicinai alla porta.
«Tutto questo è sbagliato, lo capisci?» disse, e la sua voce si incrinò. «Tra due settimane diventerai mia sorella a tutti gli effetti. Questo amore non dovrebbe esistere.» Quelle parole mi spezzarono e sentii i miei occhi riempirsi di lacrime. «Hai ragione. Ma questo lo sapevo già, dal momento in cui ho incontrato i tuoi occhi.» Uscii dalla cucina con il cuore a pezzi, presi la mia borsa e mi diressi verso l'uscita.
«Sofia, dove vai? Adesso arrivano le pizze.» disse Manuel, guardandomi confuso.
«Scusatemi, non mi sento bene.» risposi, cercando di trattenere le lacrime. Ma non ci riuscii. Ogni passo verso l'uscita era accompagnato da una stretta al petto che non avevo mai provato prima. Ed era per questo che avevo paura di innamorarmi di lui. Perché già sapevo che avrei sofferto così tanto.
Chiamai un taxi e uscii in giardino ad aspettare. L'aria fresca della sera mi fece rabbrividire, finché non sentii una giacca appoggiarsi delicatamente sulle mie spalle. Mi girai, ed era lui. Gabriel.
«Non ho mai provato nulla del genere per nessuna.» disse, fissandomi intensamente. «Io non so cosa sia, ma è un sentimento forte, qualcosa che non riesco a ignorare.»
«Se entrambi proviamo qualcosa, allora perché non possiamo?» chiesi, con voce rotta , mentre mi avvicinavo a lui.
«Perché è sbagliato, Sofia. È tutto sbagliato.» Mi accarezzò la nuca con una delicatezza disarmante. Feci scorrere le dita sul suo polso e sussurrai: «E se io volessi continuare a sbagliare?»
Posò la sua fronte sulla mia. «Non possiamo...» disse, ma nonostante le sue parole, unì di nuovo le sue labbra alle mie in un bacio lento e delicato.Sentii il rumore di un'auto e mi staccai bruscamente. Il taxi era arrivato. Senza dire altro, entrai in macchina e cercai di trattenere le lacrime mentre il taxi partiva. Dal finestrino lo guardai, fermo, con la giacca ancora sulle spalle e gli occhi puntati su di me. Non distolsi lo sguardo fino a quando l'auto non svoltò l'angolo, e lui sparì dalla mia vista.Arrivata davanti casa, mi asciugai le lacrime in fretta e pagai il tassista. Non volevo che nessuno si accorgesse di quanto stessi male. Mi avvicinai alla porta d'ingresso, cercando di apparire composta il più possibile, ed entrai con le mie chiavi.
«Gabriel?!» esclamò Marlene speranzosa dalla cucina.
«No, sono io.» risposi chiudendo la porta alle mie spalle.
La trovai seduta al tavolo, notai dei segni violacei sotto gli occhi , segni evidenti di una notte insonne. Mi avvicinai e mi sedetti accanto a lei.
«Rafael se n'è andato?» domandai con un filo di voce.
«Sì.» rispose con un sospiro pesante. «Voleva parlare con Gabriel.» L'aria malinconica con cui pronunciò quelle parole mi fece stringere il cuore. Le sue mani tremavano lievemente mentre giocherellava con un tovagliolo di carta.
«Marlene, dimmi la verità.» iniziai dopo qualche istante di silenzio. «Tu volevi davvero questo divorzio? O è stato Rafael a deciderlo?» Abbassò lo sguardo, incapace di sostenere il mio. «Ho scoperto delle chat nel suo telefono.» disse infine, con voce rotta.
Le sue parole furono come un colpo. Sentii la sua sofferenza come se fosse la mia. Marlene amava ancora Rafael, era evidente. Eppure, lui l'aveva tradita, spezzando il loro legame. La vidi asciugarsi le lacrime, cercando di farsi forza , senza riuscirci. Non ci riuscii neanche io. «Vieni qui.» le dissi, allungando le braccia verso di lei. La strinsi forte, cercando di offrirle un conforto che io stessa non avevo.
«Grazie.» mormorò tra i singhiozzi. Rimasi lì, in silenzio, con un pensiero fisso nella testa: l'amore faceva davvero schifo.
«Facciamo una cosa.» dissi accennando un sorriso, cercando di tirarla su di morale. «Adesso vado a mettermi il pigiama e ci mangiamo un gelato davanti a un film strappalacrime.» Marlene annuì debolmente senza dire nulla. Mi alzai e mi avviai verso la mia stanza. Una volta lì, mi tolsi la giacca blu di Gabriel e quasi senza rendermene conto, la portai al naso per respirare il suo profumo. Quel gesto mi fece venire un magone allo stomaco, un peso che sembrava insopportabile. Con riluttanza, appesi la giacca nell'appendiabiti, come a voler allontanare quei pensieri, e mi infilai il mio pigiama di seta nera. Chiusi con calma gli ultimi bottoni, cercando di distrarmi, poi mi legai i capelli in una lunga coda, liscia e ordinata.
Tornai al piano di sotto e trovai Marlene sul divano, con due vaschette di gelato già pronte. Mi porse la mia, il gusto che adoravo: limone e cioccolato.
«Grazie.» dissi, prendendola con un leggero sorriso.
Mi sedetti accanto a lei, affondando il cucchiaio nel gelato con una certa frustrazione. Era come se ogni affondo fosse un modo per sfogare tutto quello che avevo dentro.
Mentre mangiavo, cercai di concentrarmi sul film, ma ogni tanto la mia mente tornava a lui. A quel bacio. A quelle parole. E al modo in cui tutto sembrava così sbagliato eppure inevitabile.
«Con chi hai litigato?» mi domandò Marlene improvvisamente, interrompendo il silenzio che ci circondava.
«Con nessuno, perché?» risposi, fingendo indifferenza mentre infilavo un altro cucchiaio di gelato in bocca. Dovevo concentrarmi su altro, qualsiasi cosa pur di non pensare a lui.
«Non lo so ti vedo strana.» mi guardò con un sopracciglio alzato.
«Sono solo ansiosa per quello che succederà tra due settimane, tutto qui.» Mi guardò con un sorriso rassicurante.
«Andrà tutto bene, finalmente diventerai a tutti gli effetti parte della famiglia.» Quelle parole mi fecero stringere lo stomaco. Era proprio quello che non volevo. Per colpa di tutto questo, dell'immagine perfetta della famiglia che cercavano di costruire, io e Gabriel non eravamo liberi di amarci. E questa cosa mi frustrava in una maniera incredibile. Finalmente avevo trovato qualcuno che mi faceva sentire al sicuro nonostante tutto, dopo tutto quello che Alex mi aveva fatto passare, e ora lo stavo perdendo. Perché dovevo innamorarmi proprio di lui? Perché non potevo semplicemente odiarlo per la sua arroganza, per i suoi modi di fare che non mi piacevano per niente? No, il mio cuore aveva deciso di innamorarsi dei suoi occhi, delle sue labbra, della sua voce. Cazzo! Scossi il capo con rabbia, tentando inutilmente di scacciare quei pensieri. Non riuscivo a smettere di pensare a lui e il fatto che fossi così disperata mi faceva sentire ancora peggio.
Improvvisamente il telefono di Marlene squillò, facendomi sussultare leggermente.Rispose con una voce incerta.
«Sì, sono la moglie. Chi parla?» Ci fu una lunga pausa, durante la quale il suo volto si irrigidì. «In ospedale? Cosa è successo? Va bene, arriviamo subito.» Chiuse la chiamata con la mano tremante e si girò verso di me, visibilmente agitata.
«Rafael ha avuto un incidente in auto, è gravemente ferito. Dobbiamo sbrigarci.» Non persi tempo. Salì di corsa in camera mia, afferrai la giacca di Gabriel e infilai le scarpe in fretta. Il cuore mi batteva all'impazzata, non solo per Rafael, ma per il pensiero che Gabriel potesse essere stato coinvolto. Era uscito per parlare con lui. E se fossero stati insieme? L'ansia si insinuò come un veleno nelle mie vene, logorandomi dall'interno. Non potevo permettere che gli succedesse qualcosa. Scesi di corsa al piano di sotto e raggiunsi Marlene, che era già pronta con le chiavi dell'auto in mano. Salimmo in macchina e partimmo verso l'ospedale. Il tragitto sembrò infinito, la mia mente vagava verso gli scenari peggiori.Quando finalmente arrivammo, Marlene parcheggiò in fretta e corremmo verso l'ingresso. Ci indicarono la sala d'attesa e appena entrammo, tornai a respirare. Gabriel era lì. Seduto su una sedia, aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e la testa tra le mani. Era intatto, almeno fisicamente. La tensione mi lasciò quasi un capogiro, ma non osai avvicinarmi subito. Aspettai che fosse sua madre a parlare per prima. Marlene si avvicinò immediatamente a Gabriel, la sua voce tremava. «Gabriel, cosa è successo a tuo padre? Come sta?» Lui alzò lo sguardo lentamente, il volto segnato dalle lacrime. «L'hanno portato in chirurgia. Ha subito un brutto impatto... ma non so altro.»
«Era con te?» chiesi in un sussurro, cercando di mantenere la calma, anche se il cuore mi martellava nel petto.
Gabriel annuì. «Sì, eravamo usciti per parlare, ma poi lui è salito in macchina... Non avrei dovuto lasciarlo andare via da solo.» La sua voce si incrinò, e distolse lo sguardo, stringendo i pugni come se stesse cercando di trattenere qualcosa. Marlene si lasciò cadere su una sedia accanto a lui, le mani tremanti che si portavano al viso. Io rimasi immobile per un istante, osservandoli entrambi. Gabriel sembrava così distrutto, così vulnerabile, ed era una versione di lui che non avevo mai visto.
Mi avvicinai e posai una mano sulla sua spalla. «Non è colpa tua.» dissi piano, anche se non ero sicura che credesse alle mie parole.
Lui alzò gli occhi verso di me, lo sguardo pieno di dolore. «Lo è. Non avrei dovuto lasciarlo andare.» Prima che potessi rispondere, un medico uscì dalla sala operatoria. «La famiglia di Rafael Romero?» Marlene si alzò di scatto, quasi barcollando. «Siamo noi, sono sua moglie. Come sta?» Il medico fece una pausa, e il silenzio che seguì mi fece gelare il sangue nelle vene. «L'operazione è andata bene, ma le sue condizioni restano critiche. Ha riportato gravi lesioni interne e dobbiamo tenerlo sotto osservazione nelle prossime 48 ore. Sono decisive.» Marlene portò una mano alla bocca, cercando di trattenere le lacrime. Io la presi per le spalle per sorreggerla, mentre Gabriel si alzava lentamente, lo sguardo fisso sul medico.
«Possiamo vederlo?» chiese con un filo di voce.
«Sì, ma solo per pochi minuti. È ancora incosciente.»
Seguimmo il medico lungo il corridoio, il cuore che batteva all'impazzata. Entrai nella stanza insieme a Marlene e Gabriel. Rafael era disteso sul letto, coperto da fili e monitor. Sembrava così fragile, così diverso dall'uomo sicuro di sé che avevo visto pochi giorni prima.
Marlene si avvicinò al letto, prendendo la sua mano con delicatezza. «Amore , ti prego, non lasciarci...» sussurrò, la sua voce era rotta dal pianto. Gabriel rimase in disparte, con le mani infilate nelle tasche, la testa china. Io lo osservai per un momento, poi mi avvicinai a lui. «Gabriel...» Lui alzò lo sguardo verso di me, e nei suoi occhi lessi un misto di rabbia, dolore e senso di colpa. «Non doveva finire così.»
«Smettila di darti delle colpe che non hai.Andrà tutto bene.» dissi con decisione, cercando di trasmettergli un po' di forza. «Lui è forte, ce la farà.» rimase in silenzio senza dire una parola, l'unica cosa che fece fu guardarmi con quegli occhi spenti che mi trafissero l'anima.

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𝐄𝐍𝐃𝐋𝐄𝐒𝐒 𝟏
RomansaSofia García è una ragazza di soli 17 anni , stata abbandonata in tenera età davanti alla fondazione "Casa de los Sueños" ha vissuto la sua intera infanzia circondata da persone che la facevano sentire costantemente fuori posto. Fino a quando una fa...