34.Gabriel

437 35 8
                                        

Non riuscivo a restare in quella stanza. Vederlo così, su quel letto, immobile, mi stava distruggendo. Le mie parole mi rimbombavano nella testa come un'eco incessante. "Non lo sei più. Non per me."

Poche ore fa...

«Cosa sei venuto a fare?» domandai con un tono gelido, fissandolo con disprezzo.
«Sono qui per parlarti, Gabriel. Dobbiamo chiarire.» Cercò di avvicinarsi, ma rimasi immobile, con le braccia incrociate.
«Chiarire? Dopo tutto quello che hai fatto?» Scossi il capo ridendo amaramente.
«Sei venuto qui per giustificarti? Risparmiami il discorso. Voglio solo sapere una cosa: perché vi state separando? Voglio la verità, non una delle tue scuse patetiche.» Il suo volto si incupì, e per un attimo sembrò non sapere cosa dire. Poi, con un filo di voce, ammise:
«Tua madre ha trovato dei messaggi sul mio telefono.» Quelle parole furono come un pugno nello stomaco. Lo fissai, incredulo.
«Hai tradito la mamma.» Non era una domanda, era una condanna. «Come hai potuto? Dopo tutto quello che ha fatto per te, dopo tutto quello che abbiamo perso come famiglia...» Non rispose subito, ma distolse lo sguardo. Quell'atteggiamento mi fece andare fuori di testa.
«Rispondi! Voglio sapere perché! Almeno questo me lo devi!» Finalmente mi guardò.
«L'amore per tua madre è svanito da tempo, Gabriel. Dopo la morte di Jasmine...» Il suo nome. Il suo cazzo di nome. Non avrebbe mai dovuto pronunciarlo.
«Non osare nominarla.» La mia voce tremava per la rabbia. «Non dirmi che è da allora che hai deciso di mandare tutto a puttane.» Il suo silenzio fu la conferma che non volevo. La mascella mi si serrò, e sentii il sangue pulsare nelle tempie.
«Hai perso una figlia e invece di prenderti cura di noi, ti sei fatto un'altra donna? Ti rendi conto di quello che dici? Hai distrutto tutto, tutto quello che rimaneva di questa famiglia!» Poi, in un lampo, sentii uno schiaffo bruciare sulla mia guancia. Rimasi immobile per un secondo, incapace di credere a quello che era appena successo.
«Bada a come parli, sono tuo padre.» Il suo tono era basso, ma carico di rabbia. Lo guardai con disgusto.
«Non lo sei più. Non per me. Ti odio cazzo!» Aprii la porta e me ne andai, sbattendola con tutta la forza che avevo.

Ora...

Uscii da quella stanza, cercando di respirare, ma l'aria sembrava non bastare. Sentii dei passi dietro di me, quando mi voltai, vidi Sofia. Si avvicinò e prese le mie mani, costringendomi a sedermi su una panca.
«Vieni qui.» La sua voce era dolce, piena di comprensione. Mi sedetti accanto a lei, stringendomi le tempie con le mani.
«Starà bene, Gabriel. Si sveglierà. È forte.»
Scossi il capo, incapace di parlare. Poi, con un filo di voce, confessai:
«Gli ho detto che lo odiavo...» Le lacrime iniziarono a scendere, calde e silenziose. Mi sentivo un bambino perso, senza più un punto fermo. Sofia mi accarezzò la nuca, il suo tocco leggero mi calmò leggermente.
«Lui sa che non lo pensi davvero.» La sua voce era ferma, sicura.
«Gli ho detto che non era più mio padre. Come posso tornare indietro dopo aver detto una cosa del genere?» Sofia mi costrinse a guardarla, sollevandomi il mento con delicatezza.
«Hey, ascoltami. Lui sa che eri ferito. Sa che non lo pensavi davvero. Non devi logorarti così. Non cambierà quello che provi, ma ti farai solo del male.»
«Sono una persona orribile.» Scosse il capo, in disaccordo con le mie parole.
«Amore, no che non lo sei. Sei la persona più bella e pura di questo mondo.» Si avvicinò, posando le labbra sulle mie in un bacio dolce e rassicurante. Quando si allontanò, mi sorrise lievemente.
Quelle parole mi colpirono più di tutto il resto.
«Amore?!» dissi con un sorriso malizioso, ma stavolta sincero. Lei arrossì appena, ma mantenne lo sguardo su di me.
«Sì, amore. Non ti piace?» Non risposi. La baciai di nuovo, lasciandomi andare per un momento, fino a quando non sentimmo la porta della stanza di mio padre aprirsi. Ci staccammo immediatamente.
«Ci sono novità?» domandai alzandomi di scatto non appena vidi mia madre uscire dalla stanza.
Scosse il capo, coprendosi la bocca per soffocare i singhiozzi. I suoi occhi erano pieni di dolore, quel silenzio mi strinse lo stomaco in una morsa. Senza pensarci, la presi tra le braccia, cercando di darle conforto, ma sapevo che era inutile. Come potevo consolare qualcuno quando nemmeno io riuscivo a respirare dalla paura?
Le ore passavano lente, opprimenti. Lui non si svegliava e i medici non erano in grado di dirci se avrebbe superato la notte. La mia mente vagava tra mille pensieri, tutti oscuri, ogni istante trascorso in attesa mi consumava.
«Ragazzi, andate a casa.» La voce di mia madre era bassa, tremante, ma decisa. «Per favore, rimango io con lui. Se ci sono novità, vi chiamo immediatamente.» Sofia le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla.
«Ne sei sicura?» domandai, indeciso se lasciarla lì da sola. Mia madre annuì, accarezzando il viso di Sofia con un gesto affettuoso.
«Sì, davvero. Andate a riposare un po'. Vi chiamo io, ve lo prometto.» Non avevo alcuna voglia di andarmene, ma la stanchezza e il suo sguardo determinato mi convinsero. Mi girai verso Sofia, che mi prese per mano, e insieme uscimmo dall'ospedale. Entrati nella mia auto, rimasi immobile per qualche istante. Inserii le chiavi nel quadro, ma non girai subito. Picchiettai nervosamente le dita contro il volante, il respiro ancora irregolare. Con una mano strinsi il volante così forte che le vene sul dorso si gonfiarono, pulsanti. Sentii Sofia posare la sua mano sulla mia, con le sue dita leggere e delicate. Mi accarezzò lentamente, poi intrecciò le sue dita alle mie, stringendomi. Solo lei riusciva a calmarmi, a riportarmi a terra quando sentivo di stare per perdere il controllo.
Mi girai verso di lei, il suo viso era sereno nonostante la tensione. Senza dire una parola, le presi il viso tra le mani e la baciai. Non era un bacio frettoloso o impulsivo, ma un gesto carico di tutto quello che non riuscivo a esprimere a parole. Lei non si tirò indietro, anzi, si avvicinò ancora di più, lasciandomi un briciolo di pace in mezzo al caos che mi divorava dentro. Quando ci staccammo, poggiai la fronte contro la sua e chiusi gli occhi, cercando di ancorarmi a quella sensazione. «Grazie.» sussurrai, sapendo che non servivano altre spiegazioni. Lei mi sorrise leggermente, accarezzandomi la guancia, prima che finalmente accendessi il motore e ci dirigemmo verso casa.

«Stai bene?» mi chiese Sofia mentre parcheggiavo l'auto nel vialetto.
«Sì, sto bene, solo grazie a te.» ammisi, il cuore batteva sempre più forte, ma cercai di non pensarci troppo.
«Dai, andiamo, ti preparo una cioccolata calda.» disse con un sorriso che illuminava il suo viso. Uscimmo dall'auto e ci dirigemmo verso la porta d'ingresso. Appena entrammo, la vidi sfilarsi la giacca che le avevo dato, rivelando il pigiama di seta che le aderiva perfettamente al corpo. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, era davvero stupenda.
Mentre preparava la cioccolata, mi avvicinai e la strinsi da dietro, avvolgendole i fianchi in un abbraccio stretto.
«Che fai?» disse sorridendo, sorpresa dal mio gesto.
«Ti abbraccio, non va bene?» risposi, sentendo il battito del mio cuore accelerare. Mi accarezzò le braccia che l'avvolgevano e baciai il suo collo, un gesto che mi sembrò naturale, come se l'istinto mi avesse guidato.
«Non avevi detto che dovevamo stare lontani?» chiese, con un'espressione confusa ma curiosa.
«Non riesco a stare lontano da te, più ci provo e più il mio cuore fa di testa sua.» Non avrei potuto essere più onesto. Lei si girò verso di me, avvolgendomi il collo con le braccia e iniziando a giocare con i miei capelli.
«Allora cosa vogliamo fare?» disse sorridendo, i suoi occhi pieni di una complicità che mi stava facendo perdere ogni resistenza.
«Voglio viverti.» Non avevo mai parlato con tanta certezza, come se quella frase fosse la risposta a tutto quello che avevo dentro. Non avrei mai pensato di arrivare a un punto in cui sarei stato disposto a rischiare tutto per qualcuno, ma con lei, era diverso. Per lei, avrei sbagliato altre mille volte.

𝐄𝐍𝐃𝐋𝐄𝐒𝐒 || 𝐕𝐎𝐋𝐔𝐌𝐄 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora