--Tokyo--

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Dopo 14 ore di viaggio arrivai finalmente in Giappone. Trascinai la mia valigia lungo il pavimento lucido e bianco dell'aeroporto di Tokyo. C'erano molte persone che venivano e andavano con passo svelto e qualche persona che chiedeva informazioni alle guardie dell'aeroporto.

Tutti erano di corsa, il Giappone è sempre stato così, anche quando ero bambina la gente seguiva un ritmo di vita frenetico. Appena uscii da quel luogo a dir poco caotico l'aria fresca mi rinfrescò le guance. Un taxi si fermò proprio davanti a me e subito un signore con l'aria simpatica uscì e parlò in giapponese «Buon pomeriggio signorina, la posso aiutare?» Anche se avevo passato 9 anni in America, non avevo mai smesso di parlare il giapponese, tranne con Michelle ed Edward. Perciò non faticai molto a rispondere «Buon pomeriggio. Si, grazie. Potrebbe portarmi…» tirai fuori il bigliettino con su scritto l'indirizzo della casa dei nonni e glielo mostrai.

«Certamente, salga pure. Ci penso io alle sue valigie.» Lo ringraziai ed entrai nell'auto. Come c'era da aspettarsi la macchina era tirata a lucido. 

Sedili completamente puliti, portiere come nuove e i vetri dei finestrini erano brillanti. Il tutto con un buon odore di pulito, faceva quasi pensare che quel taxi fosse nuovo di zecca e che non fosse già stato usato da centinaia di persone.

 Il taxista salì è subito partimmo. Dopo qualche chilometro arrivammo alla casa dei nonni. Pagai il taxista è presi le valigie dal bagagliaio. La casa dei nonni era rimasta come anni prima solo più… Abbandonata. 

L'erba era cresciuta a dismisura e le ante in legno delle finestre erano mezze staccate. Almeno la casa in sé era ancora in piedi, solo un pó più ‘’vecchia’’. 

Sospirai e entrai nel giardino. Avrei dovuto lavorare molto per riportare il giardino al suo stato originale. A quanto riguardava le ante, anche se mi faceva male solo a pensarlo, le avrei tolte completamente e avrei lasciato che la luce naturale entrasse. 

Se all'esterno la casa sembrava abbandonata, all'interno lo sembrava di più.

 La polvere regnava nelle stanze e sui mobili. Sbuffai, ci sarebbero state molte cose da fare. 

Misi le valigie in un angolo e cominciai subito a pulire la casa, avrei dovuto dormirci la sera stessa e non volevo dormire con la polvere tutto attorno. Passai tutta la mattina e metà pomeriggio a pulire casa ma riuscì a pulire tutte le stanze e a aprire le finestre per fare uscire la puzza di chiuso. 

Il lato positivo era che l'acqua c'era ancora, perciò potei farmi una doccia. 

Si erano fatte già le 15:40PM. Quando ebbi finito di pulire la casa ma, siccome non mangiavo dalla sera prima, decisi di uscire e andare in uno dei tanti “convenience store’’ per fare spesa e, magari, per pranzare. 


I miei piani, però, furono cancellati quando passando di fianco a un vicolo sentii un lamento, non di quelli che facevano gli animali feriti ma di quelli che facevano gli umani. Mi bloccai davanti al vicolo, il mio lato paranoico e fifone diceva di non dare retta a quel lamento –probabilmente causato dalla mia immaginazione e dalla stanchezza dovuta al viaggio– e continuare a camminare ma, il mio lato da persona che aveva lavorato part time nella Croce Rossa diceva di andare a controllare. Entrai cautamente nel vicolo, anche se era giorno e il sole era alto il vicolo era scuro. Mi avvicinai alla fonte dei lamenti. Una volta arrivata alla cosa o meglio a chi faceva quei lamenti mi bloccai. Non era la vista del sangue che usciva dalla sua spalla che mi fece bloccare ma era quell'uomo. Seduto a terra con la testa china, provando a bloccare i lamenti che a volte gli scappavano dalle labbra, dei ciuffi castani di capelli gli ricadevano sulla fronte. Si teneva il punto ferito con la mano che ormai era diventata cremisi. Ingoiai un groppo e, finalmente parlai abbasandomi alla sua altezza «Che ti è successo? Posso aiutarti se per te va be–» non finii la frase che il sconosciuto alzò il viso e  puntò gli suoi occhi nei miei. Non era giapponese ma Americano e si notava notevolmente dai suoi occhi, erano semplici occhi marroni ma quella luce di dolore o forse di pericolo mi bastò per puntare il mio sguardo da un'altra parte. 

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