capitolo 2

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Cercavo di muovermi il meno possibile. Cercavo di vestirmi in modo assolutamente anonimo.
Cercavo di parlare poco.
Cercavo di passare inosservata.
Se nessuno si fosse accorto della mia presenza, forse mi avrebbero lasciata in pace, almeno oggi.
Questo era lo stato d'animo con il quale andavo a scuola ogni giorno.

L'ora che più di tutte odiavo era quella di educazione fisica.
Non riuscivo proprio a vestirmi come le altre ragazze, io dovevo passare inosservata, quindi maglioni larghi e lunghi.
Puntualmente, arrivati nel piazzale della scuola la professoressa annunciava i nomi di due compagni (che non era mai il mio) e diceva loro: "voi due siete i capitani, uno alla volta, a turno formate la vostra squadra chiamando i vostri compagni."
E ripartiva l'umiliazione, quella più eclatante, quella gridata ad alta voce, perché io rimanevo sempre ultima, e se eravamo dispari allora potevo anche non giocare e rimanevo seduta un'ora intera sui gradini della scuola a guardare gli altri giocare, ma se invece eravamo pari, e quindi io per ovvie ragioni entravo in una squadra(sempre per ultima si intende), allora forse la scena era anche peggiore, perché sfiderei chiunque a non sentirsi umiliata nell'udire: "Nooo, lei con noi no".
Entrare nel campo di gioco di pallavolo a testa bassa, sapendo già che per un'ora nessuno mi avrebbe passato la palla.

Non so spiegare il mio stato d'animo, non volevo far vedere a nessuno come stessi in realtà, e forse in quel periodo non capivo, non mi accorgevo di quanto tutto questo mi stesse ferendo così nel profondo, tanto da sentirne il bruciore anche dopo venticinque anni.

Un giorno, in classe tutti parlavano tra di loro erano eccitati e sorridenti, la mia amica allora domandò ad una ragazzina di fianco a lei di cosa stessero parlando, e così scoprimmo che quella sera si  erano organizzati per vedersi e mangiare una pizza, ma noi non eravamo state invitate, e l'unica colpa della mia amica era che aveva me come amica.
Così capii di essere completamente esclusa, questa cosa bruciò tanto, forse più di tutto quello successo finora, fu il momento in cui capii che sarei stata sempre esclusa, che non mi sarei mai integrata, che dovevano passare in fretta questi anni in questa scuola. Ma più di tutto iniziai a essere consapevole che in me qualcosa non andava, e per quanto ci provassi non lo capivo.

Non era tutta la classe ad essere meschina, ma ricordo due persone che trscinavano il resto dei compagni in questo gioco orrendo, un ragazzino ed una ragazzina. E neanche adesso capisco come sia possibile che una ragazzina, una persona del mio stesso sesso che avrebbe dovuto essere dalla mia parte, non abbia avuto un minimo di compassione per una sua compagna, ma restava ferma sulla sua linea di guerra con l'aria di superiorità che la distingueva.

A quel tempo non ci pensavo, mi ci trovavo dentro e non riuscivo a vedere le cose come invece faccio adesso. Ero in questa routine dove la mattina mi svegliavo, andavo a scuola e non vedevo l'ora che finisse, le lame che mi stavano lacerando dentro non le sentivo, ma è stato dopo, con il tempo le ho trovate ben conficcate.
La mia idea era sempre la stessa ogni giorno -passare inosservata- , ci speravo.

Ma il destino aveva altri ostacoli per me, non aveva finito con una ragazzina di appena dodici anni.



Ciao a tutteee. Come promesso eccomi ancora qui, un altro capitolo pronto per voi, ma tranquille, oggi non ho ancora finito di scrivere, non so se riuscirò a pubblicare in giornata,  ma di sicuro domani lo farò.
Spero come già detto, che questa storia possa aiutare altre persone ad aprirsi e liberarsi, qualsiasi sia il problema bisogna sempre parlarne... Se volete lasciate tante ⭐️⭐️⭐️. Baci baci...

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