Whitby, 24 luglio. Lucy, venuta a prendermi alla stazione, era più carina e
tenera che mai, e siamo andate alla casa sul Crescent dove abitano. È un
posto
delizioso. Il fiumiciattolo che ha nome Esk scorre in una profonda vallata che
s'allarga ad accogliere il porto. L'attraversa un grande viadotto su alti pilastri,
e
a vederlo attraverso questi il panorama sembra più vasto di quanto non sia in
realtà. La vallata è tutta meravigliosamente verde, ed è così incassata che,
quando si è su un versante, si scorge direttamente l'altro, a meno di non
spingersi proprio all'orlo e spingere lo sguardo in basso. Le case della città
vecchia - che si stende sulla riva opposta - hanno tutte i tetti rossi e sembrano
accatastate l'una sull'altra, proprio come in certe stampe di Norimberga. Sulla
città, a dominarla, si levano le rovine dell'abbazia di Whitby che è stata
saccheggiata dai danesi, e in essa si svolgono alcune scene del "Marmion",
quelle in cui la ragazza viene murata viva. È una nobilissima rovina, di
immani
dimensioni, piena di scorci belli e romantici; una leggenda vuole che a una
delle finestre si scorga una dama bianca. Tra essa e la città, un'altra chiesa, la
parrocchiale, a pianta rotonda con un gran cimitero fitto di lastre tombali. È,
a
mio giudizio, il più bel sito di Whitby, posto com'è proprio al di sopra della
città, sì che la vista ne spazia su tutto il porto e la baia, donde si protende in
mare il promontorio che ha nome Kettleness. La scarpata scende a picco sul
porto e in parte è crollata, causando la distruzione di alcune tombe. In un
punto,
una parte dei cenotafi sovrasta esattamente il sentiero sabbioso che corre al
di
sotto. Ci sono passeggiate con sedili per tutto il cimitero; e la gente va a
riposarvisi a tutte le ore del giorno, per ammirare il bel panorama e godersi la
brezza. Anch'io ci andrò assai spesso a sedermici, e lavorare. Ci sono anche
adesso, intenta a scrivere con il diario sulle ginocchia, e presto orecchio alle
chiacchiere di tre vecchi seduti accanto a me. Si direbbe che tutto il giorno
non
facciano altro che starsene qui a conversare.
Ai miei piedi si stende il porto, all'altra estremità del quale una lunga
muraglia di granito si protende in mare, curvandosi all'estremità, e a metà di
quest'arco sorge un fanale; è bardata all'esterno da poderosi frangiflutti. Da
questa parte, il molo forma un gomito in senso opposto e anche alla sua
estremità si trova un fanale. Fra le due gettate, un'angusta apertura dà
accesso al
bacino, che s'allarga subito al di qua.
È molto bello con l'alta marea; quando invece è bassa, non restano che
secche, secche a non finire, e non c'è altro che il rivolo dell'Esk che scorre tra
banchi di sabbia qua e là punteggiati di rocce. Fuori dal porto, da questa
parte,
si erge, prolungandosi per circa mezzo miglio, una gran scogliera dall'aguzzo
profilo che s'inizia esattamente al di là del faro meridionale. Davanti alla
punta
della scogliera, una boa con una campana che suona quando il tempo è
cattivo,
spandendo al vento funebri rintocchi. Una leggenda dice che, quando una
nave
naufraga, sul mare si odono campane. Lo chiederò a quel vecchio che sta
venendo alla mia volta.
È un vecchio strano. Deve essere molto, molto avanti con gli anni, perché
ha il volto grinzoso e scavato come la corteccia di un albero.
Mi dice che ha quasi cent'anni e che era marinaio della flotta da pesca di
Groenlandia ai tempi della battaglia di Waterloo. Dev'essere, temo, un tipo
assai scettico, perché quando gli ho domandato delle campane sul mare e
della
Dama Bianca dell'abbazia, ha replicato con tono brusco:
"Io non ci farei molto caso a 'ste storie, signorina. Roba di altri tempi. Sia
chiaro, non dico che non hanno mai state, ma ai miei tempi c'erano mica.
Roba
che va bene per gitanti, turisti e simili, mica per una giovane signora carina
come voi. Quella gente che piove qui da York e da Leeds, e non fanno che
abboffarsi di aringhe affumicate e tè, e vogliono sempre comprare di tutto per
quattro soldi, quelli bevono 'ste balle. E mi domando se neanche vale la pena
di
contargliele, a quelli - non lo fanno neanche i giornali, che ne spacciano, di
fandonie". Ho pensato che fosse una persona dalla quale apprendere cose
interessanti, e gli ho chiesto se non gli dispiaceva parlarmi della caccia alla
balena dei vecchi tempi. Stava accingendosi a farlo, quando l'orologio ha
suonato le sei, e allora si è alzato a fatica dicendo:
"Adesso devo filare a casa, signorina. A mia nipote non gli piace di stare ad
aspettare quando che il tè è pronto, e a me ce ne vuole, per arrivare a casa, il
sentiero mica sono due passi. E poi, cara signorina, a quest'ora io mi sento un
vuoto qui, allo stomaco". E se n'è andato con passo incerto, zampettando più
in
fretta che poteva giù per i gradini. La scalinata è una delle migliori
caratteristiche del luogo, conduce dalla città alla chiesa e ci sono centinaia di
gradini - non so esattamente quanti - che si susseguono in una curva
elegante, e
la pendenza è così lieve, che potrebbe scenderla e salirla senza difficoltà
anche
un cavallo. Penso che in origine la scalinata fosse in qualche modo collegata
con l'abbazia. Bah, me ne andrò a casa anch'io. Lucy è uscita per andare in
visita con la madre, e siccome si trattava soltanto di un atto di cortesia, non
mi
sono unita a loro. Ormai saranno rientrate.
Primo agosto. Sono venuta quassù un'ora fa con Lucy e abbiamo avuto
un'interessantissima conversazione con il mio rugoso amico e i due vecchi
che
sempre s'uniscono a lui. Evidentemente, ai loro occhi è il Signor Oracolo, e
credo che, ai suoi tempi, sia stato un personaggio parecchio autoritario. Non
la
dà mai vinta a nessuno, contraddice sempre tutti. E quando non riesce a
convincerli, taglia corto in malo modo, e scambia il silenzio altrui per
approvazione. Lucy era molto carina nel suo abito bianco da giardino; da
quando è qui, ha un magnifico colorito. Ho notato che i vecchi non hanno
esitato a venire e a sedercisi accanto, non appena siamo arrivate. Lucy è tanto
gentile con le persone anziane, e credo che tutti e tre si siano innamorati di lei
seduta stante. Anche il mio vecchietto si è lasciato sedurre e non l'ha
contraddetta, ma in compenso a me ne è toccata una dose doppia.
L'ho trascinato sul terreno delle leggende, e lui subito ha attaccato con una
specie di sermone. Cerco di trascriverlo come lo ricordo:
"Tutte balle dalla prima all'ultima; ecco cosa sono, e chiuso. Tutte quelle
storie di fantasmi, ombre, spettri e spiriti, e tutto il resto, buone solo per
donnette picchiate in testa. Bolle di sapone, dico io. Altro che brivido, presagi
e
ammonimenti: inventate da parroci e da gente tocca nel cervello, sono, per
mettere paura agli altri e fargli fare cose che altrimenti non si sognerebbero
neanche. Mi gira il berrettino che basta che ci penso. Perché, accidenti, quella
gente, non gli basta di scrivere balle sulla carta e di predicarle dal pulpito, no,
le
va anche a scrivere sulle tombe, loro. Basta girarsi qui intorno: to', to' queste
lapidi, con quell'aria così seria che hanno, cascano a pezzi, in briciole vanno,
sotto il peso delle frottole che ci sono scritte su: "Qui giace il Tale", oppure
"Sacro alla memoria", eccetera eccetera, e pensare che sotto la metà almeno
di
quelle pietre, neanche una salma, c'è più, e del loro ricordo nessuno si cura
neanche così, altro che sacro! Balle, tutte balle, frottole e storie! Bello
spettacolo, porca miseria, dico io, il giorno del Giudizio, quando arriveranno
tutti sudati nei loro sudari, tutti insieme, trascinandosi dietro le loro belle
pietre
tombali per dimostrare quanto che erano bravi e buoni, e qualcuno di loro
non
ce la farà, di sicuro, con quelle mani marce e scivolose che si ritrova a furia di
stare sott'acqua, che non potrà neanche afferrarla, la sua pietra".
Dall'espressione soddisfatta del vecchietto e da come si guardava attorno in
cerca dell'approvazione dei compagni, ho capito che stava recitando la sua
parte, per cui ho gettato lì una parolina giusto per dargli corda:
"Oh, signor Swales, mica parlerà sul serio! Quelle iscrizioni sulle tombe
non possono essere menzognere".
"Stupidaggini! Ce ne saranno forse un paio che non lo sono, quelle che non
dicono troppo bene dei defunti, ma c'è gente che crede che il mare è una tazza
di latte e miele. Macché, macché, tutte frottole. Ma guardatevi attorno, voi
che
siete forestieri e che in questo giardinetto dei morti ci venite in visita!" Ho
annuito, pensando che fosse la cosa migliore da fare, anche se il dialetto che
parlava lo capivo solo a mezzo; comunque, era chiaro che stava parlando
della
chiesa e del cimitero. Ha riattaccato: "E come che vedete, sotto tutte queste
pietre c'è gente che dovrebbe trovarsi qui, con tutte le sue ossicine, no?" Ho
annuito un altra volta. "Bene, è qui che non ci siamo. Ce ne sono dozzine, di
questi letti da salma, che sono vuoti come che è la bettola del vecchio Dun il
venerdì sera dico bene?" E ha dato di gomito a uno dei suoi compagnoni, e
quelli giù a ridere. "E miseria zozza, come potria essere che non è così? Ma
guardate un po' quella, lì, dietro la panca. Ma leggetela!" Sono andata alla
tomba e ho letto:
"Edward Spencelagh, marinaio, assassinato dai pirati al largo della costa di
Andres, aprile 1854, aet. s. 30". Sono tornata dal signor Swales, il quale ha
riattaccato:
"E chi lo ha riportato a casa, mi chiedo, e chi lo ha seppellito là sotto, eh?
Assassinato al largo della costa di Andres! E mi vogliono far credere che la
sua
salma sta là sotto! Ah, ve ne posso nominare una dozzina, che le loro ossa
stanno in fondo al mare di Groenlandia" - e così dicendo ha indicato verso
riord
- "o dove che le correnti li hanno trascinati. Ce ne sono, di pietre, qui attorno.
E voi avete gli occhi buoni, no?, così potete leggere finanche da qui le balle
scritte in caratteri piccoli così. Quel Braithwaite Lourey, per esempio -
conoscevo suo padre, perdutosi col "Lively" al largo della Groenlandia, nel
Venti. Oppure quell'Andrew Woodhouse, annegato in quegli stessi mari nel
1777; o John Paxton, annegato al largo di capo Farewell un anno dopo. E il
vecchio John Rawlings, che suo nonno navigava con me, annegato nel golfo di
Finlandia nel Cinquanta. E voi ci credete che tutti questi uomini corrono
dritti
filati a Whitby, quando che le trombe suonano? Io ho i miei dubbi! Credetemi
se vi dico che, se vogliono venire tutti qui spintonandosi e facendola a
gomitate,
ci è una bella confusione, ci è, su quei ghiacci lassù a nord, e qua saremo tutti
uno sopra l'altro, a tentare di caricarci sul groppino le nostre lapidi alla luce
dell'aurora boreale". Doveva essere una battuta di spirito locale, perché il
vecchio, giù a ridere, e gli altri a fargli eco.
"Ma", gli ho fatto notare, "io credo che non siate proprio nel giusto, perché
partite dal presupposto che tutti quei poveri diavoli, o le loro anime, il giorno
del Giudizio debbano portarsi appresso la pietre tombali. Credete che sia
proprio necessario?"
"Be', e a che altro servono le pietre tombali, sennò? Sentiamo voi,
signorina!
"Per far piacere ai parenti, direi."
"Per far piacere ai parenti!" Il suo tono era di profondo disprezzo.
"E credete che gli faccia tanto piacere, ai parenti, di sapere che sulle lapide
stanno scritte tutte quelle balle, e che tutti quanti qui attorno sanno che sono
frottole?" Ha indicato una pietra ai nostri piedi, proprio sull'orlo del dirupo,
alla
quale s'appoggiava la panchina. "Ma leggetela, leggetele le balle che sono
scritte su quel sasso," ha esortato. Dal punto in cui mi trovavo, la scritta
appariva capovolta, ma Lucy, che sedendo all'altra estremità la vedeva
meglio,
si è chinata e ha letto:
""Sacro alla memoria di George Canon che morì, nella speranza di una
gloriosa resurrezione, addì 29 luglio 1873 cadendo dalle rocce di Kettleness.
Questa sua tomba è stata eretta dalla madre desolata al caro figlio amato. Era
l'unico figlio di sua madre, ed essa è vedova". A dire il vero, signor Swales,
non
ci vedo proprio niente di buffo".
Lucy aveva pronunciato questo suo commento con tono grave, anzi con una
punta di rimprovero.
"Ah, non ci vedete niente di buffo! Buona questa! Ma forse non sapete che
la madre desolata era una vera strega che lo odiava perché lui era storto,
quello
che si dice un gobbo, era, e lui la odiava tanto che si è suicidato per impedirle
di
incassare l'assicurazione che gli aveva fatto sulla vita? Si è fatto volar via la
zucca del cranio, si è fatto, con un vecchio fucile che gli serviva per scacciare i
corvi. Ma mica l'ha usato contro i corvi, eh, no, per cacciarsi nella testa un
pugno di pallini, gli è servito. Ecco come che è caduto dalle rocce.
E, per quel che riguarda la speranza di una gloriosa resurrezione, cara
signorina, l'ho udito con queste mie orecchie ripetere tante di quelle volte che
sperava di finire all'inferno, perché sua madre era talmente bigotta che era
sicura che andava in paradiso, e lui non voleva ritrovarsela tra i piedi. E
allora,
quella pietra tombale" - e così dicendo ha preso a battervi su il bastone "è o
non
è un sacco di balle? E non farà crepar dal ridere Gabriele, quando il vecchio
Georgie se ne arriverà ansimando su per il sentiero, con la lapide in bilico
sulla
gobba, e pretenderà che gliela passino per prova valida?"
Non sapevo che dire, ma Lucy ha cambiato argomento, alzandosi e
dicendo:
"Oh, ma perché ci avete detto tutte queste cose? Questa è la mia panchina
preferita, le sono tanto affezionata, e adesso mi toccherà continuare a sedere
sulla tomba di un suicida!"
"Non vi farà certo male, bella mia; e al povero Georgie gli farà piacere
avere una ragazza così carina che gli sta seduta sulle ginocchia. No, no, a voi
non farà certo male. Ma come io che vengo qua a sedermi da più di venti anni
ormai, e non mi è mai capitato niente.
Non dovete prendervela tanto a cuore per quelli che stanno sotto di voi, e
tanto meno per quelli che non ci stanno mica! Volete che vi dico io, quando
che
sarà il momento di aver paura? Quando che le lapidi le vedrete scappar via di
corsa, e qui resterà vuoto che sembra un campo di stoppie. To', suonano le
sei,
devo andare. I miei ossequi, signore", e via zoppicando.
Lucy e io siamo rimaste ancora un po', ed era così bello lo spettacolo che
avevamo di fronte, che ci siamo prese per mano; e Lucy mi ha raccontato
tutto
da capo, di Arthur e del loro prossimo matrimonio, e questo mi ha reso un
tantino triste, perché ormai è da più di un mese che non ho notizie di
Jonathan.
Lo stesso giorno. Sono venuta quassù da sola perché mi sento molto giù.
Nessuna lettera per me. Spero che a Jonathan non sia accaduto niente di
male.
L'orologio ha suonato or ora le nove. Vedo le luci accese da un capo all'altro
della città, qua allineate, ove ci sono le strade, là sparse; corrono lungo l'Esk e
scompaiono alla curva della vallata. Alla mia sinistra, la veduta è interrotta
dalla sagoma nera del tetto della vecchia casa vicino all'abbazia. Pecore e
agnelli belano nei campi, lontano alle mie spalle, e si odono zoccoli di somaro
salire per la strada lastricata qui in basso. Sul molo, la banda sta suonando un
allegro valzer ritmato con vigore, e più in là, lungo la banchina, all'angolo di
una stradina, c'è un raduno dell'Esercito della Salvezza. I componenti le due
bande non si odono a vicenda, ma di quassù io le sento e le vedo entrambe.
Chissà dov'è Jonathan e se pensa e me. Come vorrei che fosse qui!
DIARIO DEL DOTTOR SEWARD.
5 giugno. Il caso di Renfield si fa più interessante via via che lo sondo. Il
paziente possiede certe caratteristiche molto salienti: egoismo, riservatezza,
determinazione. Mi piacerebbe tanto capire quale sia l'obiettivo di
quest'ultima.
Si direbbe che egli abbia un suo preciso proposito, ma quale, lo ignoro. La
qualità che lo riscatta è l'amore per gli animali, ancorché a volte questo si
manifesti in forme così singolari, da farmi pensare che sia solo
mostruosamente
crudele. I suoi beniamini sono di strane specie. Al momento attuale, il suo
passatempo preferito consiste nel catturare mosche, e ne ha ormai una tale
quantità che sono stato costretto a fargli le mie rimostranze. Con mia grande
sorpresa, non ha avuto un'esplosione d'ira, come mi aspettavo, ma ha preso la
cosa con tranquilla serietà. Ci ha pensato su un istante, e quindi ha chiesto:
"Mi
concedete tre giorni? Le farò sparire tutte". Naturalmente gli ho detto di sì.
Ma
devo tenerlo d'occhio.
18 giugno. Adesso si dedica ai ragni, e in una scatola ne tiene alcuni molto
grossi. Continua a nutrirli con le sue mosche, che diminuiscono
sensibilmente
di numero, anche se metà delle sue razioni alimentari le usa per attrarne altre
nella sua stanza.
Primo luglio. I suoi ragni stanno diventando non meno fastidiosi delle
mosche, e oggi gli ho detto che deve sbarazzarsene. È sembrato molto
rattristato, per cui mi sono affrettato a soggiungere che deve per lo meno
eliminarne alcuni, e lui ha accondisceso tutto lieto; gli ho concesso, per
procedere allo sfoltimento, lo stesso periodo di tempo. Sono rimasto
profondamente disgustato perché, proprio in quella, un moscone schifoso,
gonfio di fetido cibo, è entrato ronzando, e Renfield l'ha catturato, per
qualche
istante l'ha tenuto, tutto esultante, tra indice e pollice e, prima che mi
rendessi
conto delle sue intenzioni se l'è infilato in bocca e l'ha inghiottito. Gli ho dato
una lavata di capo, ma lui ha replicato, con tutta tranquillità, che il moscone
era
buonissimo e assai nutriente; che era vita, vita piena di energia, e che dava
vita
a lui. Questo mi ha suggerito un'idea, o per lo meno un barlume di idea. Devo
vedere come si sbarazza dei ragni. Con ogni evidenza, al fondo della sua
mente
c'è un problema che lo assilla, perché tiene un taccuino in cui di continuo
annota qualcosa. Ci sono pagine e pagine fitte di cifre, per lo più singoli
numeri
sommati a gruppi, i totali a loro volta raccolti a gruppi, come se si trattasse di
quelli che i contabili chiamano riporti.
8 luglio. C'è metodo nella sua follia, e nel mio cervello un'idea rudimentale
prende corpo. Tra poco anzi, sarà un idea bell'e fatta; e poi, inconscia attività
cerebrale, dovrai cedere il posto alla tua conscia sorella. Ho evitato il mio
amico per qualche giorno, in modo da poter notare se si verificano
mutamenti.
Tutto resta come prima, salvo il fatto che si è sbarazzato di alcuni dei suoi
beniamini e ora ne ha uno nuovo. È riuscito a procurarsi un passero, e in
parte
almeno l'ha addomesticato. Per farlo, ricorre a un metodo assai semplice: i
ragni
sono già in diminuzione. Quelli che rimangono, in compenso, sono ben
nutriti,
perché continua a catturare mosche attirandole con il suo cibo.
19 luglio. Facciamo progressi. Il mio amico ha ora a disposizione un'intera
colonia di passeri, e mosche e ragni sono quasi scomparsi. Quando sono
entrato, mi è corso incontro e mi ha detto che aveva da chiedermi un grande
favore - un grandissimo favore, anzi; e parlando, mi scondinzolava attorno
come un cane. Gli ho chiesto di che si trattasse, e lui, con voce ed espressione
rapite:
"Un gattino, un bel gattino, un micino giocherellone, perché possa
baloccarmici, e istruirlo, e dargli da mangiare, mangiare, mangiare!" Non ero
impreparato alla sua richiesta avendo notato come i suoi beniamini crescano
in
dimensioni e voracità, ma non mi piaceva l'idea che quella lieta famiglia di
passerotti addomesticati venisse spazzata via allo stesso modo delle mosche e
dei ragni; ragion per cui gli ho risposto che ci avrei pensato e gli ho chiesto se
non preferiva un gatto adulto a uno cucciolo. L'impazienza lo ha tradito, e la
sua risposta è suonata:
"Oh, sì, mi piacerebbe sì, un gatto! Vi ho chiesto un gattino soltanto perché
temevo che un gatto me lo rifiutaste. E un gattino, nessuno me lo
rifiuterebbe,
vero?" Ho scosso il capo, dicendo che per il momento temo sia impossibile,
ma
che ci avrei pensato. Il volto gli si è incupito, e vi ho letto un'avvisaglia di
pericolo, perché c'è stato un'improvvisa occhiata sbieca, torva, assassina.
Quest'uomo è affetto da mania omicida repressa. Terrò sotto controllo questo
suo nuovo ghiribizzo per seguirne gli sviluppi; così ne saprò di più.
Ore 22. Sono stato di nuovo da lui, e l'ho trovato immusonito in un angolo.
Come mi ha visto, mi si è gettato alle ginocchia, implorandomi di concedergli
un gatto: ne andava della sua salvezza! Ma sono stato irremovibile, e gli ho
detto che era impossibile, e lui allora si è allontanato senza una parola,
morsicandosi le dita e accoccolandosi nell'angolo dove stava prima. Lo
rivedrò
domattina presto.
20 luglio. Ho visitato Renfield molto presto, prima che l'infermiere facesse
il suo giro. L'ho trovato in piedi che canticchiava. Era intento a spargere lo
zucchero che aveva messo da parte sul davanzale della finestra:
evidentemente,
ha ricominciato ad acchiappar mosche, e lo fa tutto allegro, di buona lena. Mi
sono guardato in giro, alla ricerca degli uccelli, e non vedendoli gli ho chiesto
dove fossero. Ha risposto, senza voltarsi, che erano volati via tutti. Qua e là
nella stanza c'erano delle piume e, sul suo cuscino, una goccia di sangue.
Non ho detto nulla, ma sono uscito e ho dato ordine al sorvegliante di
avvertirmi subito se durante il giorno avesse notato qualcosa di strano.
Ore 11. L'infermiere è venuto un momento fa a dirmi che Renfield è stato
malissimo e ha vomitato un mucchio di piume. "Secondo me, dottore", mi ha
detto l'infermiere, "ha mangiato gli uccelli, buttandoli giù crudi, così come
erano."
Ore 23. Questa sera ho somministrato a Renfield un potente sedativo,
sufficiente a farlo dormire della grossa, e mi sono impadronito del suo
taccuino
per esaminarlo. Il pensiero che mi frullava nella mente da un po' di tempo in
qua aveva preso finalmente forma, e la teoria risulta comprovata. Il mio
maniaco omicida è di un tipo particolare.
Dovrò elaborare una nuova classificazione a suo uso e consumo: lo
chiamerò "zoofago", vale a dire mangiatori di esseri vivi; ciò cui aspira, è di
ingurgitare quante più vite gli riesce, e si è proposto di farlo per graduale
accumulo. Ha dato molte mosche a un unico ragno, e molti ragni a un unico
uccello, e poi voleva un gatto perché mangiasse i molti uccelli. E il passo
successivo? Quasi quasi, varrebbe la pena di portare agli estremi limiti
l'esperimento. Lo si potrebbe fare, ci fosse solo un motivo sufficiente. Gli
uomini hanno sempre protestato contro la vivisezione, ma guardiamone oggi
i
risultati! Perché non far progredire la scienza in quello dei suoi campi che è il
più arduo e decisivo: la conoscenza del cervello? Se mai riuscissi a cogliere il
segreto di almeno una mente siffatta - se possedessi la chiave delle fantasie di
almeno un lunatico -, potrei far progredire la branca della scienza che mi è
propria, portandola a un livello rispetto al quale la fisiologia di Burdon-
Sanderson o le conoscenze del cervello di Ferrier sarebbero quisquilie. Ah, ci
fosse un motivo valido! Non devo pensarci troppo, altrimenti potrei
sentirmene
tentato; una causa sufficiente rischierebbe di indurmi al gran passo, perché
come escludere che anch'io sia in potenza dotato di un cervello eccezionale?
Come ragionava bene, quell'uomo! I pazzi sempre lo fanno, nel contesto
che è loro proprio, e mi chiedo quante vite secondo lui valgono un uomo, o se
questo ne vale una sola. Ha compiuto il suo calcolo con la massima
precisione,
e oggi ne ha cominciato uno nuovo. E quanti di noi ogni giorno della nostra
vita
non cominciano un nuovo computo? Mi sembra soltanto ieri che la mia vita
precedente è finita in una con la mia speranza, e ho cominciato un nuovo
computo. E così sarà finché il Grande Calcolatore non avrà tirato le somme
che
mi riguardano, chiudendo il mio conteggio con un bilancio di profitti e
perdite.
Oh, Lucy, Lucy, non posso essere adirato con te, né avercela con il mio amico
la cui felicità è la tua; non mi resta che continuare ad attendere senza
speranza e
lavorare. Lavorare, lavorare!
Se almeno avessi uno scopo valido come quello del mio povero amico
pazzo - un valido motivo altruistico che mi sproni a lavorare: e allora sì che
sarei felice.
DIARIO DI MINA MURRAY.
26 luglio. Sono in ansia e scriverne serve a tranquillizzarmi; è come
sussurrare a se stessi e in pari tempo ascoltare. E poi, nei simboli stenografici
c'è qualcosa che li rende diversi dalla scrittura corrente. Sono in pena per
Lucy
e per Jonathan. È da un pezzo che non ho più notizie di lui, ed ero molto
preoccupata; ma ieri il caro signor Hawkins, che è sempre così gentile, mi ha
mandato una sua lettera. Gli avevo scritto chiedendogli se ne aveva notizie, e
mi ha risposto dicendomi che quella allegata gli era appena giunta. Solo
poche
righe, con l'intestazione Castel Dracula, in cui Jonathan gli comunica che sta
per partirne. Non è da lui. Non riesco a capire, e questo mi fa sentire sulle
spine. E poi, Lucy, benché stia così bene, di recente è ricascata nella vecchia
abitudine del sonnambulismo. Ne ho parlato con sua madre, e abbiamo
deciso
che, la sera, chiuderò a chiave l'uscio della nostra camera. La signora
Westenra
si è fitta in capo che i sonnambuli vadano sempre sui tetti delle case e sull'orlo
di precipizi, e poi si sveglino di colpo e cadano con un grido disperato e
terribile. Poverina, naturalmente è in ansia per Lucy, e m'ha detto che suo
marito, il padre della mia amica, aveva lo stesso vizio: anche lui nottetempo si
alzava, si vestiva e usciva, a meno che non lo fermassero. Lucy si sposerà in
autunno, e già pensa al corredo e a come arrederà casa sua. La capisco,
perché
faccio lo stesso, solo che Jonathan e io cominceremo la vita in comune in
maniera assai modesta, preoccupandoci di arrivare a fine mese. Il signor
Holmwood - si tratta dell'onorevole Arthur Holmwood, figlio unico di Lord
Godalming - sarà qui quanto prima, non appena potrà lasciare la città perché
suo padre sta tutt'altro che bene, e penso che la cara Lucy conti i minuti.
Vuole
portarlo alla panchina sulla punta del cimitero, per mostrargli le bellezze di
Whitby. Probabilmente è l'attesa che la mette sossopra; starà perfettamente
non
appena Arthur sarà qui.
27 luglio. Nessuna notizia di Jonathan. Comincio a essere davvero in ansia,
anche se non so perché; ma desidero tanto che scriva, sia pure due parole.
Lucy
è più sonnambula che mai, e non passa notte senza che mi svegli aggirandosi
per la stanza. Per fortuna fa tanto caldo che non può prendersi un malanno,
ma
comincio a essere provata dalla tensione e dal fatto di venire di continuo
svegliata, e io stessa sto facendomi nervosa e insonne. Grazie a Dio, la salute
di
Lucy non ne risente. Il signor Holmwood è stato chiamato d'urgenza a Ring,
da
suo padre colpito da grave malore. Lucy scalpita per il ritardo frapposto al
suo
arrivo, ma questo non influisce affatto sul suo aspetto; è anzi un pochino più
in
carne, e le guance sono incantevolmente rosate. Ha perduto quell'aspetto
anemico che aveva. Speriamo che duri.
3 agosto. Un'altra settimana trascorsa senza notizie da Jonathan, neppure al
signor Hawkins, da cui le ho avute in precedenza. Oh, spero proprio che non
sia
malato. Non può non avermi scritto. Torno a esaminare la sua ultima lettera,
ma
c'è qualcosa che non mi convince. Non sembra sua, eppure la grafia lo è.
Quanto a questo, impossibile sbagliarsi. Durante l'ultima settimana, Lucy non
ha avuto molte crisi di sonnambulismo, ma sembra stranamente assorta, e
non
la capisco. Anche quando dorme, si direbbe che mi sorvegli. Tenta la porta e,
quando la trova chiusa, si aggira per la stanza alla ricerca della chiave.
6 agosto. Altri tre giorni, e nessuna notizia. Quest'attesa diventa atroce. Se
solo sapessi dove scrivere o dove andare, mi sentirei meglio. Ma non mi resta
che pregare il Signore che mi dia pazienza. Lucy è più nervosa che mai, ma
per
il resto sta bene. La notte scorsa è stata di gran brutto tempo, i pescatori
dicono
che s'avvicina una tempesta. Devo imparare a stare con gli occhi aperti e a
riconoscere le avvisaglie del maltempo. Quest'oggi, giornata grigia, e mentre
scrivo il sole è nascosto dietro grevi nuvole, torreggianti sopra Kettleness.
Ogni
cosa è grigia, eccezion fatta per l'erba verde, che contro il grigio sembra
smeraldo; grige rocce terrose; grige nuvole tinte, ai margini, dal riverbero del
sole gravano sul mare grigio nel quale le lingue di sabbia si protendono come
grige dita. Il mare si sommuove, sopra secche e banchi di sabbia, con un
fragore
attutito dalle brume che s'intrufolano nell'entroterra. L'orizzonte è perso in
una
nebbia grigia. Tutto è vastità; le nubi s'accumulano quasi rocce giganti, e sul
mare si diffonde un'eco cava, bruum, bruum, che sembra un presagio di
sciagura. Qua e là, sulla spiaggia, sono nere figure, di quando in quando
semivelate dalla bruma, e sembrano "più che uomini, alberi vaganti". I
battelli
da pesca rientrano in gran fretta, alzandosi e sprofondando nella risacca
mentre
filano in porto, inclinati fino all'ombrinale. Ecco che arriva il vecchio signor
Swales. Viene diritto verso di me, e m'avvedo, da come si leva il cappello, che
vuole parlarmi...
Sono stata profondamente scossa dal mutamento verificatosi nel povero
vecchio. Non appena mi si è seduto accanto, ha detto con tono gentilissimo:
"Voglio dirvi una cosa, signorina." Vedevo però che era sulle spine, e allora
gli ho preso la vecchia mano grinzosa e l'ho esortato a parlare liberamente. E
lui, lasciando la sua mano tra le mie:
"Cara signorina, ho paura di avervi scandalizzata con quelle brutte robe che
vi ho detto dei morti e di tutto il resto in queste settimane; ma mica parlavo
sul
serio, e desidero che ve lo ricordate quando ne sarò andato. Noi vecchi che
siamo già segnati, che abbiamo già un piede nella fossa, non ci piace, a
noialtri,
pensarci, non vogliamo che ci dia la tremarella, e così io ci scherzo su, perché
mi tira un po' su di morale. Ma chiamo Dio a testimone, cara signorina, io
non
ho paura di crepare, neanche un poco; solo che non mi va di morire se posso
tirare a campare. Ormai la mia ora è vicina, perché sono vecchio e cento anni
sono più di quello che chiunque ha diritto di aspettarsi; e ci sono anzi così
vicino, che la Comare Secca sta già affilando la sua falce. Ma che volete farci,
mica posso perdere di colpo l'abitudine di farci su quattro risate; i
buontemponi
non perdono mai la voglia di scherzare. Uno di questi giorni, l'angelo della
morte suonerà la tromba per me, e zac! Ma non rattristatevi troppo, mia
cara!" -
Perché si era avveduto che stavo piangendo - "Anche se viene questa notte, io
mica mi rifiuto di rispondere alla chiamata. Perché la vita in fondo cos'è? Solo
l'attesa di qualcosa d'altro, no? È la morte l'unica cosa che possiamo essere
sicuri che viene. Ma io sono contento che sta venendo da me, e di corsa,
anche.
Magari arriva che ce ne stiamo qui, a chiederci quando. Magari è quel vento
laggiù sul mare, che porta rovina e distruzione, e tanto dolore e cuori tristi.
Guardate, guardate" ha gridato all'improvviso. "C'è qualcosa, in quel vento e
nel nembo che viene con lui, che sa di morte: l'aria, l'aspetto, la puzza della
morte. È nell'aria; lo sento arrivare. Signore, fa' che io rispondo come si deve
quando che viene la chiamata!" Ha congiunto devotamente le mani,
togliendosi
il cappello. La bocca gli si muoveva come se stesse pregando. Dopo qualche
istante di silenzio, si è alzato, mi ha stretto la mano, mi ha impartito la sua
benedizione, mi ha detto arrivederci e se n'è andato zoppicando. Tutto questo
mi ha commosso e profondamente sconvolto. E sono stata ben lieta quando è
passato di lì la guardia costiera con il suo cannocchiale sotto il braccio. Si è
fermato a chiacchierare con me, come sempre fa, in pari tempo però
continuando a tener d'occhio uno strano battello.
"Non riesco a capire" diceva. "Dev'essere russo, stando all'aspetto; ma
sbanda in modo che più strano non potrebbe essere. Si direbbe che non
sappia
quel che fa, che senta arrivare la tempesta ma non riesca a decidere se
puntare a
nord, verso il largo, o venire qui a ripararsi. Date un'occhiata! È pilotato nella
maniera più stramba, non obbedisce neanche un po' al timone; a ogni alito di
vento, va di qua e di là. Be', ne sapremo di più prima di domattina."
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Dracula
ClassicsTrama Jonathan Harker, in procinto di sposarsi con la fidanzata Mina, si reca in Transilvania dal Conte Dracula per concludere la vendita di una casa a Londra: qui scopre che il Conte è in realtà un vampiro. Dracula parte per l'Inghilterra, lascian...