Ero solo un bambino

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A scuola mi hanno sempre insegnato che la mano è un organo importante del corpo. Una parte di noi che rileva il senso tattile della materia; che consente di comunicare con ogni genere di linguaggio; che trasmette emozioni; che garantisce un aiuto morale quando viene tesa; che dona carezze; che sfoglia le pagine della cultura; che risolve anche i problemi fisici e spesso si posa sopra un'altra mano per garantire sicurezza. Ripeto: a scuola ... me lo hanno insegnato.

Quella che fino a dodici anni ho avuto davanti a me, però, è sempre stata una mano che di carezze non sapeva darne; che ciò che trasmetteva erano solo le botte che la mia schiena riceveva quando stringeva una cintura di cuoio oppure marchiarmi la faccia quando gli assillava il capriccio di arrossarla con le sue cinque dita.

Era la stessa mano che in un giorno bastardo fra tanti accartocciò un foglio di carta, stringendolo con forza dentro un pugno risentito. Lo vedo ancora quel pugno per nulla evanescente tra i ricordi di un bambino che fingeva di essere coraggioso, seppur la paura lo paralizzasse sempre davanti a quella mano.

Il suono della carta è come una moina del mare: lo odi; lo carezzi anche; lo annusi. Trasmette sensazione. Quando viene frantumata con irriverenza, invece, il suo rumore riversa la turbe del fastidio.

Quel giorno non staccai gli occhi da quel pugno. Dentro di esso c'era una poesia. Una poesia che tenevo nascosta per il giorno in cui avrei rivisto la donna che aveva pensato bene di fuggire, lasciandomi tra le zanne del lupo. Mi era caduta dalle pagine di un libro e lui l'aveva raccolta. Come aveva finito di leggerla mi aveva guardato disgustato e il suo palmo aveva iniziato a contrarsi, lentamente come gli artigli di un falco, attorno a quel foglio fragile e innocente.

Ero rimasto rigido nelle spalle dinanzi a quel pugno, mentre udivo lo stropiccio della carta. Gli occhi pizzicavano lucidi e trattenuti nell'algidità che cercavo di impormi per non essere oltraggiato dall'ennesima umiliazione.

"È questo che ti insegnano a scuola?"

Quella domanda si univa all'eco distorto dei miei compagni di classe, i quali a ogni lettura di brano mi ridevano contro; mi spintonavano.

"Il nostro Braël è una donnetta sdolcinata!" mi ridevano in faccia. Dietro le spalle dell'insegnante, qualcuno prendeva i miei fogli e con raffinata diligenza me li faceva trovare tra l'urina nei cessi della scuola.

Loro non erano niente, però, in confronto alla voce ruvida dell'uomo che torreggiava su di me, facendomi tremare l'anima. Il mio viso andava sempre più arrossandosi di collera e paura insieme. Mio padre puzzava di alcool e io riuscivo soltanto a sentire il rumore della carta distrutta dentro quella cazzo di mano.

Se fossi stato un po' più grande, pensavo sempre. Se fossi stato un po' più coraggioso. Se avessi avuto i coglioni di sputargli in faccia. Che cazzo! Ero solo un bambino!

"È ... è solo una p...poesia!" avevo risposto come un bastardello impaurito. Adesso, rido come un idiota. A pensarci bene, rivedendomi dopo anni, avrei fatto come fece mio padre. Mi sarei preso a sberle da solo. Sembravo davvero una femminuccia. Il ricordo mi scuote angosciante. Era cambiato tutto. Era cambiato il mio modo di vedere le cose. Stavo cambiando io o forse ero già cambiato. Non riesco a smettere di tormentarmi i capelli, mentre ci penso. Ero solo un bambino! Non è la stronzata che di solito si dice in questi casi?

Il manrovescio che era arrivato poco dopo, mi aveva fatto dolere la mascella per una settimana.

Sento ancora lo sfregare della cintura che lui si sfilò dai pantaloni; una sedia che strisciava sul pavimento e i miei passi che indietreggiavano a ritmo con i suoi che avanzavano. Fu l'ultima volta che mi picchiò e mi lasciò pure il segno quel figlio di puttana! Una cicatrice procurata dalla forza che impiegò nel frustarmi. La fibbia di metallo si abbatté più volte sulle mie scapole. Era una fibbia robusta, che spezzò i tendini della mia spalla sinistra. Da allora, i dolori mi tormentano anche di notte e ho difficoltà a compiere certi movimenti.

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