Oltre il Bosco dei Sussurri

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Per anni, Astoria aveva creduto che l’errore più grande in cui fosse mai incappata fosse quello di non averne commessi affatto. Perché rischiare di prendere una decisione sbagliata quando si può avere il lusso di rimandarla? Per la piccola Astoria, erede al trono di Nyxth, questo problema non era mai esistito: aveva addirittura a suo servizio chi si appurava di svegliarla in tempo la mattina, pettinarle i capelli e rifarle il letto.
Quando poi era scoppiata la guerra con il regno rivale e la sua intera famiglia era stata massacrata, si era ritrovata costretta a dover imparare a sopravvivere.

La ragazza sentiva un profondo senso di rimorso mentre attraversava, sola, gli alberi nel Bosco dei Sussurri. Era a conoscenza dell’influenza negativa che questo luogo aveva nella sua mente, eppure procedeva, silenziosa, rigida, intrepida. Non vi era nessun rumore intorno a lei, escludendo lo scricchiolio dei ramoscelli che si spezzavano al suo passaggio. La natura era come cristallizzata: nessun uccellino cantava, nessuno scoiattolo si arrampicava sugli alberi; non si udiva alcun rumore di qualcosa che fosse vivo. Unica sopravvissuta della sua spedizione, vagava spaesata tra le fronde degli alberi, cercando di attraversare il bosco per chiedere aiuto, per combattere un’ultima volta.

Cosa credi di fare? Sei rimasta sola, rimani qui, nessuno ti cercherà.

I suoi pensieri non le davano un momento di pace e, solo per qualche istante, contemplò l’idea di restare lì, di unirsi al paesaggio, per sempre…
Concentrati, si disse poi, riscuotendosi, con la poca forza di volontà che le era rimasta.

Poi, lo sentì. Un brivido percorse la schiena di Astoria, facendola rabbrividire. Fu come un tocco leggero, innocente, una carezza amorevole. Infine, come era arrivata, questa sensazione l’abbandonò, turbandola. “Che cosa sei?” chiese insicura, con voce tremante, a nessuno in particolare. Chi sei, si corresse. Sin da quando aveva messo piede in quel posto, aveva avvertito la presenza pullulante di spiriti, rabbrividendo al solo pensiero.

Liberò poi il fiato che non si era accorta di aver trattenuto, e camminò, e camminò, fino a quando le sue gambe le implorarono di fermarsi. Si appoggiò ad un albero, facendo aderire la schiena alla corteccia. In quel momento, un forte e familiare profumo le raggiunse le narici: un’essenza di cannella mista a zenzero, un ricordo della sua infanzia. “Nonna…” sussurrò tra sé e sé, al ricordo della torta alla cannella e zenzero che era solita a prepararle da piccola. Da dove proviene? si chiese, guardandosi attorno, ricordandosi poi della sua solitudine più totale. Alzò lo sguardo verso le foglie dell’albero, e l'odore si fece sempre più intenso, fino a quando non le riempì completamente i polmoni, inondandola e lasciandola senza fiato.

La ragazza allungò una mano in direzione di queste ma, non appena ne sfiorò una, l’intero albero si dissolse, facendole perdere il sostegno che il fusto le aveva dato fino a quel momento. Barcollò, ma riprese l’equilibrio subito dopo. Si avviò, arrancando, procedendo nel bosco, amareggiata. Giunse ad un altro albero, esattamente uguale al precedente che, questa volta, emanava un forte odore di rose, il profumo caratteristico di sua madre, andato perso con lei quando il castello cadde in rovina.

L'albero sparì a sua volta nella tiepida aria del pomeriggio, lasciando dentro Astoria un sentimento di abbandono e disperazione. Il bosco sta cercando di confondermi.
Un fruscio attirò nuovamente la sua attenzione, riportandola alla realtà. Sembrava provenire da tutte le direzioni, spostandosi ogni volta. Astoria si ritrovò a ruotare su sé stessa: prima a destra, poi a sinistra; chiunque la stesse provocando, ci stava riuscendo. “Esci di lì, chiunque tu sia!” esclamò, presa da un crescente panico che si insinuò nel suo petto come un parassita. In mano agitava la spada di suo padre, fendendo l’aria.

“Astoria, amore mio".
Il mondo sembrò fermarsi agli occhi della principessa, mentre la sua mente vorticava freneticamente. Il modo in cui il suo nome era stato pronunciato era troppo familiare; gliel’aveva detto: nemmeno la morte avrebbe potuto strappare da lei il ricordo della sua voce.
“Hayden?”.
“Da quanto tempo ti aspetto”. La voce dell’amato venne restituita a lei dal vento che frusciava tra le foglie degli arbusti, lasciando Astoria attonita, confusa, impaurita.
“Dove sei? Come puoi essere qui?” chiese la principessa, in tono allarmato, ma non seguì nessuna risposta.
“Hayden? Hayden, parlami, per favore”. Il tono supplicante della ragazza traspariva tutto il suo sconforto. Lo aveva perso di nuovo, o forse non c’era mai stato? Stava impazzendo, o era il bosco a causarle quella sensazione di smarrimento?

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