Duri a morire - Come uccelli sopra il filo elettrico-

1. I used to float

Gretel:

Non puoi guarire un'anima avvelenata.

Quella frase mi rimbomba nella testa da quando ne sono memore. Accompagna ogni mio passo, respiro ed esclamazione.

Lancia fitte dolorose ad ogni mossa che il mio esile corpo osa compiere. E per quelli come me, la cura non merita di essere trovata.

Mia madre tiene lo sguardo dritto sulla strada mal asfaltata, ancora indecisa se lasciarmi andare via di casa, sia veramente il passo giusto da fare.

I pini secolari di Oxvalley si susseguono monotoni, tutti sempreverdi nonostante la furia dell'autunno in prossimitá, che secca ogni cosa al proprio arrivo.

Ho pregato a lungo lei e papá perchè mi lasciassero andare, come un cardellino che vola via dal proprio nido. Eppure io sono più un corvo, dalla voce priva di grazia e il corpo scarno.

Mi hanno chiesto molte volte perchè volessi frequentare il corso di psicomedicina e la mia risposta non è mai cambiata.

Per giustizia. Per aiutare chi come me, ha il veleno dentro. Per andare contro a tutti i medici che sostengono il fatto che non ci sia una cura. Nonostante ciò io sono convinta che siano tutte bugie servite a rassicurare la societá.

Il cielo del tramonto pensa di rassicurarmi con i suoi toni aranciati, ma in realtá non fa che mettermi ancora più inquietudine. Il frinire perpetuo dei grilli mi fa annodare lo stomaco e il cuore prende a battere più velocemente mentre osservo gli alberi tingersi di una tonalità che non gli appartiene.

Nascondo le mani tremolanti serrate in due pugni sotto la valigia di cuoio fin troppo pesante.

<Non è rilassante?>Domanda la mamma incerta su quel che dire.
Mugolo in senso di approvazione nel tentare di nascondere la mia ansia bollente.

Il luogo sembra totalmente disabitato e non fatico a capire le motivazioni. Sotto quel monte imponente che tiene al sicuro la Liberty University, una grossa boscaglia si espande su tutto il terreno pianeggiante e probabilmente l'uomo è troppo pigro per rivelare questo luogo al mondo.

Una buca mi fa sobbalzare e mi distrae dai miei pensieri alquanto penosi. La vecchia macchina emette un rumore preoccupante che ricorda quello di una metropolitana e non riesco a capire se accusare il terreno o il veicolo.

La mamma accende la radio, forse per trovare un po' della tranquillità che le ho negato in tutti gli anni passati. Ma anche il segnale radio va a tratti, la giornalista riesce a pronunciare sì e no una parola che un suono fastidioso torna ad invadermi i timpani.

Tutto in quel viaggio mi sta urlando di stare lontana da quel posto. Voci mi sussurrano che quel destino non appartiene alla mia fiaba, che dopotutto è quella in cui mi hanno catapultato i miei genitori chiamandomi Gretel.

Gretel come la bambina indipendente che aveva incenerito la strega golosa nella stufa per salvare ciò di più caro a lei, il suo fratellino. Molti dicono che i due bimbi tornarono a casa, ma non era proprio la morale della favola tenere gli occhi sempre bene aperti poichè il pericolo si nasconde anche dietro i più dolci sguardi?

Dopo aver svoltato l'ultima curva, un' imponente torre compare come per magia dalle nuvole. Osservandola meglio capisco che si tratta della famosa guglia contenente l'osservatorio caratterizzata da un tetto di vetro intagliato.

Piano piano tutto l'enorme castello gotico inizia a prendere forma sotto i miei occhi lasciandomi a bocca aperta. L'inferriata che vi si pone davanti ha una scritta sull'apice, la quale cita proprio il nome della scuola.

Il colore grigio tendente al viola scuro che hanno assunto i muri nel tempo le conferisce un aspetto austero e minaccioso. I grandi archi ogivali danno vita ad un piccolo corridoio sottostante la struttura dove probabilmente si svolge il corso di erboristeria, a giudicare dallo splendido giardino che vi risiede.