5. Bugia bianca

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«’n do vai?».

Aggrotto la fronte confuso, indicando l'entrata con ovvietà. «A casa?».

«E ’n me saluti?».

Daniele Tramet è il diavolo. E direi che il sorrisetto da stronzo che si apre sul suo volto dopo la sua – per nulla innocua – richiesta ne è una chiara conferma. «T’ho già salutato. Du volte».

«’n ce sta due senza tre, no? Non l’ho detto mica io, è ’na cosa che se sa»
.
«Se non rientro a mezzanotte in punto mia madre mi fucila».

«Sto a usci’ co’ Andrea Risorio o co’ Cenerentola? Fino a qualche ora fa ero convinto de vede’ er tizio che spaccia, gioca a basket e poi de nascosto se veste da figa, ma se allo schioccare della mezzanotte devi scappa’ me sa che me devo ricrede».

«Be’, Nina m’ha prestato un vestito niente male che le ha regalato sua madre. Potrei davvero sembrare Cenerentola con quello addosso».

«Ah sì? E quanno m’ ’o fai vede’?»

«Stamo a parla’ ancora del vestito, o…?».

«Ma vaffanculo!».

Mi mordo il labbro inferiore, trattenendo penosamente una risatina. «Perché mi mandi a fanculo? Che ho detto?».

«’n ce casco, Risorio. C’avrai pure la faccia da angioletto, ma in ’sti quattro mesi ho imparato a conoscette. Sei il diavolo».

«Addirittura?».

Si avvicina pericolosamente, annullando qualsiasi distanza fra di noi e mandando a fanculo la mia sanità mentale. Ha un profumo così buono, e quegli occhi… Cristo santo, quegli occhi sono la mia rovina.
«’n parli più?». La sua voce è più bassa, un rauco sussurro.

«Dani… devo anda’».

«Ho capito. Vai, no? ’n te sto dicendo niente».

Effettivamente non mi sta trattenendo mica. Ma pur non dicendomi nulla, sta facendo qualcosa. E lo sa. Lo sa benissimo.
«Sei proprio uno stronzo», mi lamento, prima di chiudere le sue guance fra le mani e schiantarmi sulle sue labbra nel terzo bacio di questa serata.

Ci divoriamo fino a sentire le nostre bocche dolere. È un bacio primordiale il nostro, il bisogno di sentirci l’un l’altro, di consumarci fino a perdere la testa. Le mie gambe si muovono, cercando di scavalcare il cambio marce e farmi ancora più vicino, ma il rumore del mio cancello che si apre mi riporta alla realtà.

Quando sollevo lo sguardo verso il disturbatore, vedo mio fratello in piedi, a pochi passi da noi. «Non ho visto niente», si giustifica subito lui.

«Stavo rientrando», mormoro io in un filo di voce, scambiandomi uno sguardo con Daniele.

«Sì… se vede proprio». Marco ridacchia, scuotendo il capo e camminando verso i cassonetti. «Comunque non è per rovinarvi la festa, ma mi sa che ti conviene tornare. Mamma sta davanti all’orologio da più di un’ora, sta cercando solo il giusto pretesto per metterti in punizione e chiuderti in casa almeno fino al mese prossimo».

Alzo gli occhi al cielo, sbattendo la nuca contro il poggiatesta e inspirando bruscamente.
Più passa il tempo, più mi sento un topolino in gabbia.
«Devo andare davvero, stavolta. Ci vediamo domani?».

Ho un po’ paura a fargli quell’ultima domanda. Non voglio che pensi che lo sto soffocando. Allo stesso tempo, però, ora che finalmente le cose fra di noi si sono aggiustate, mi piacerebbe stare con lui più spesso.

«Certo. Mo rientra o va a finire che tu madre esce, me vede, e fucila pure me». Mi fa un sorriso appena accennato, allungandosi poi a lasciarmi un timido bacio sulla guancia e a regalarmi, così, un minuscolo déjà vu di noi due in vetreria. «Buonanotte».

«Buonanotte».

Mentre scendo e rientro in casa con mio fratello, sento il cuore fare le capriole. E non importa come mi guarderà mia madre, né quello che dirà. Il mio sorriso è vivo, è proprio qui, e brilla. Brilla, ricordandomi che non ho nulla di cui temere, non ora che finalmente ho trovato quella pace che ho bramato per tanto tempo.

«Eccomi!». L’orologio del salotto segna che è già mezzanotte da un paio di minuti, e l’espressione di mia madre mi avverte che sta morendo dalla voglia di dirmi che sono in punizione.

«Grazie per avermi aiutato con la spazzatura. Stavo a fa’ un casino per colpa del braccio». La mano di Marco batte sulla mia spalla e la sua voce mi fa venire un nodo alla gola.

Mi sta… coprendo?

«Marco! Ti avevo detto di farla buttare a tuo padre la spazzatura!». Mia madre si dimentica di me, del leggero ritardo, di tutto. Va incontro a mio fratello, assicurandosi che il gesso sia intatto. «Come pensavi di farlo? Hai un braccio fuori uso».

«Appunto… non mi andava di scomodare papà, negli ultimi giorni ha il mal di schiena. Pensavo di farcela – e non è stato così –, ma per fortuna è tornato Andrea e mi ha aiutato lui. Tutto risolto, no?».

Il silenzio padroneggia nella stanza e finalmente le rotelle del mio cervello iniziano a lavorare. Quando torniamo di sopra, infatti, non riesco a fare a meno di esprimere ad alta voce i miei pensieri: «L’hai fatto apposta».

«Ho fatto apposta… cosa?». Marco si siede sul letto, sfilandosi le pantofole e guardando da tutt’altra parte.

«A uscire. Sapevi che avrei fatto tardi come sempre e hai trovato una scusa per coprirmi».

«Papà c’ha mal di schiena, ho solo pensato di-».

«Papà ’n c’ha mal di schiena. Sta mejo de me».

Sospira e con una scrollata di spalle confessa che: «Ho solo pensato che mamma ti sta troppo addosso. Papà coprirà la bugia sul mal di schiena perché la pensa esattamente come me. È una bugia bianca, in fondo. No?».

Il carico sulle spalle sembra diminuire improvvisamente. Di colpo l’accumulo dei mille problemi degli ultimi mesi non è più così insopportabile. Sarà perché dalla mia parte ho delle persone che mi amano davvero e che, soprattutto, mi fanno sentire amato.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 21 ⏰

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