Capitolo 5: "Forse Dormirai"

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Niccolò's mind

***

"Con te, rinuncerei al mio mondo, e cosa vuoi che sia?
Vorrei, che una parola ti bastasse per comprendere me
Ma se vuoi, ti insegnerò a sognare quando il mondo è fermo
Perché, ho una canzone che sogna e la dedico a te"
canticchiavo mentre preparavo la moka per il caffè. In fondo alla stanza, sulla poltrona c'era Giusy. L'unica ragazza che in quel momento credeva nei miei sogni. L'unica ragazza a cui pensavo quando mi mettevo sul pianoforte e scrivevo fino alla mattina. L'unica ragazza che occupava i miei pensieri quando mi svegliavo la mattina, e mi riaddormentavo la sera. L'unica ragazza a cui tenevo veramente, a cui avrei regalato un mondo da mettere in tasca, così da poter scappare come e quando volesse.
Lei era lì, con lo sguardo perso, ma con la testa piena di pensieri. Dalla perdita di sua madre, Giusy diventò un'altra persona. Neanche io la riconoscevo più: oramai parlava poco e niente e riusciva ad esprimere ciò che sentiva veramente solamente in mia presenza. Ciò mi faceva onore, ma c'era sempre qualcosa che la fermava. La paura di soffrire di nuovo.

Quante volte le ho ripetuto che dal dolore tutto può ricominciare, che da i propri sogni, seppur abbandonati già da tempo, tutto poteva diventerà realtà. Ma lei era sempre lì, con degli occhi che valevano più di mille parole. Non erano occhi blu come il cielo, ma io li ritenevo i più belli del mondo. Nascondevano tanto, esprimevano altrettante emozioni, a cui non potevi dare una spiegazione. Ogni volta ci cascavo, e cercavo di capire cosa ci fosse dietro di essi. Ci camminavo, a volte ci volavo, e guardandoli, solamente ammirando quelle immense sfumature, capivo che Giusy era preziosa.
Lei per me era un'arcobaleno dopo la tempesta, accompagnato da quel sole che ti batteva sul viso, riscaldandoti nelle giornate più gelide. Ma era anche colei che con un solo tocco, poteva farmi cedere. Molte volte ho avuto la paura di perderla, anche solo per un attimo, ma poi, bastava un sorriso e tutto ritornava come prima. Giusy è sempre stata una ragazza piena di vita, anche se la sua non era perfetta. Cercava sempre di mostrarla perfetta agli occhi altrui, ma non sapeva che era lei stessa a renderla tale. Qualcosa però, la continuava a ferire da dentro, infrangendo ogni suo sogno e realtà.
Divenne una ragazza chiusa in se stessa, che si amava, ogni giorno, sempre di meno. Le ripetevo che per me era perfetta così. Lo credevo veramente. Le ripetevo continuamente di amarsi sempre e comunque. Maledetto me che ogni volta che mi avvicinavo a lei, c'era sempre qualcosa che mi fermava. Avevo paura di ferirla, anche solo sfiorandola. Lei era così fragile, il suo cuore era fragile. Nascondeva ogni pezzo di essa nei suoi occhi forti.

Ricordo che ogni giorno lei si avvicinava a me ed una lacrima le scendeva sulla guancia, ma io, ero sempre pronto a raccoglierla ed a portarla nel mio cuore. Solo quando guardavamo le stelle, proprio in quell'esatto momento, la nostra mente si svuotava, lasciando spazio a sogni ed ambizioni, volando altrove.
Ogni tanto di sfuggita la guardavo, e mi chiedevo che cosa io, Niccolò, uno stupido bambino con il bisogno di volare, avessi fatto per meritarmi una persona del genere nella mia vita. Ancora oggi me lo chiedo. Si perchè io ero uno stupido bambino che aveva perennemente bisogno di volare. Avevo il bisogno di immaginare e di sognare cose di una vita futura, anche quelle irrealizzabili.
Ma solo quando parlavo con Giusy di queste cose, diventavano magicamente realtà, oppure diventavano certezze.
Io avevo bisogno di lei, come lei di me. Non potevo fare a meno di starle vicino. "Fanculo tutto e tutti!", mi ripetevo in testa. A me di vivere i miei sogni non mi interessava finché ci fosse stata Giusy al mio fianco.
Lei era la mia compagna di vita. Mi accompagnava in quelle giornate in cui l'unica cosa che volevo fare era passare tutto il tempo rinchiuso in me stesso. "Che hai Nic?", mi chiedeva, ed io, proprio come un bimbo, gli raccontavo i pochi pensieri inutili che mi frullavano nella testa. Ma quel giorno, fui io il primo a chiedere cosa non andasse in lei in quel momento.

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