1. Kat

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A Benny piaceva la neve. A lui, ma non a me.

Odio l'inverno, la sua lentezza, il finto perbenismo legato al Natale, l'obbligo di stare insieme. Non aspetto la primavera, non bramo nemmeno l'estate. Non aspetto; ho smesso di farlo, quasi un anno fa.

Il rumore monotono e costante del treno sul binario mi riporta al grigiore piatto di una mattina d'inverno. Una uguale a tutte le altre; perché anche l'estate è grigia nel mio spettro dei colori.

Di fronte a me c'è mia madre, immobile nella poltrona dall'altro capo di un tavolino che trovo solo ingombrante. I posti accanto a noi sono vuoti. Sediamo a meno di un metro, eppure mi sento come se a dividerci ci fossero chilometri di distanza.

Siamo partite alle sei e trenta, per un viaggio di quattro ore abbondanti, intervallato da fermate. In auto ci avremmo messo meno, ma mio padre si è rifiutato di accompagnarci; come biasimarlo.

Da quando ho preso posto in questo sedile scomodo, non ho levato gli occhi dal finestrino: fuori è troppo bianco, ma non riesco ancora a reggere lo sguardo di mia madre. La vedo però attraverso il riflesso del vetro pulito in modo imperfetto. Ha la testa abbandonata all'angolo sporgente della seduta, gli occhi sono aperti, ma non fissano niente di particolare. I pensieri l'annegano. Anche se l'immagine non è nitida, so che il viso è segnato da notti insonni e pianti soffocati. Ma non mi sento in colpa, o per lo meno, non come vorrebbe lei.

Stringo tra le mani le cuffie, collegate inutilmente al mio cellulare. La playlist in standby, come la mia voglia di ascoltare musica; come la mia voglia di fare qualsiasi cosa, ormai. Ci gioco tenendole tra le dita, nel mio bisogno di toccare qualcosa di vero ogni tanto, per capire di essere ancora presente. Anche se non è qui che vorrei essere.

Leggo il display, sono le undici. Il vociare meno sommesso degli altri passeggeri riduce di molto la mia tolleranza alla nostra convivenza forzata. Quattro ore in una prigione su ruote sono interminabili, specie se il viaggio non era tra i tuoi programmi.

Ho assecondato la decisione di mia madre. L'ho fatto senza oppormi, complice la sertralina che ho perennemente in circolo. Non do più il mio parere su niente. Prima non serviva, adesso suonerebbe strano.

Ho smesso di frequentare la scuola da mesi, ma per lei adesso è ora di ricominciare. Ci tiene che riprenda da dove ho interrotto; da dove ho provato a interrompermi.

L'idea di vedere i miei compagni di classe mi aveva gettato in un baratro ancora più profondo di quello in cui vivo da tempo. Non avrei retto i commenti alle spalle, le domande insistenti, i tentativi di redenzione inculcata. Resto nel mio abisso, ma l'accontento. Le voglio bene, anche se fatico a sentirlo dentro.

Ha trovato una scuola speciale. Ne ha parlato con un insolito slancio, appena la settimana scorsa, una sera, mentre eravamo a tavola con mio padre. Le ho visto un guizzo di luce negli occhi, dello stesso tipo di quella che ero convinta avesse perso. È durata un battito di ciglia, ma l'ho vista. E mi è bastato per dirle di sì.

Mio padre invece non l'ha presa bene. Da quando è successo, non riesce a perdermi di vista. Se riuscisse, smetterebbe persino di dormire. Mi scrive messaggi ogni quindici minuti, se non siamo insieme e se non rispondo subito, molla tutto e si precipita a casa.

Non voleva che partissi, per lui questo distacco non ha senso. Ha alzato la voce in un debole tentativo di rivalsa, ma ha ceduto subito dopo. Anche lui è stanco.

Il paesaggio scorre rapido nel suo monotono vestito bianco. La neve ha smesso di cadere, ma ovunque c'è n'è abbastanza da aver creato una coltre intensa che soffoca ogni altro colore.

Le montagne che abbracciano le valli sono rese ancora più imponenti da una fitta bruma che ne circonda le pendici. Le case, sotto di essa, vengono inglobate, sparendo al resto del mondo. Ogni tanto spunta il fumo di un camino, un muto cenno di vita a cui nessun altro farà caso.

Blackthorn - Kat -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora