Mi sento soffocare da mesi; da quando sono arrivata alla Blackthorn.
Non distinguo più i giorni. Il tempo si dilata, le ore mi pesano come una condanna che non riuscirò mai a scontare.
La psichiatra della scuola mi ha aumentato la dose degli ansiolitici, ma il mio corpo, ormai assuefatto, non reagisce più. La testa vince su tutto, lo controlla, mi controlla e mi manda in tilt. Come sta succedendo adesso. È bastata una stupida scintilla, una cazzata detta da Sarah, senza pensarci troppo, che i pensieri, quelli peggiori, sono saliti ad annebbiarmi la mente.
L'immagine di Benny, così vivida e vera, si è infilata di prepotenza tra parole e ricordi che non avrei dovuto ascoltare. Il suo modo di sorridere, la sua voce di bambino che mi chiama, il suo essere vivo sono un colpo allo stomaco che mi attorciglia le viscere bloccandomi l'aria.
Sono uscita di corsa dalla sala mensa, senza sentire la voce preoccupata di Sarah alle mie spalle, annichilendo ogni rumore. Un solo desiderio: spegnermi.
Lo stesso bruciante bisogno che non avvertivo da mesi è tornato, ora, mentre scappo senza una meta, da una me stessa che speravo di non incrociare più.
Il corridoio è muto. Avverto solo l'eco irregolare dei miei passi, specchio dello stordimento che mi attraversa dentro.
Ho bisogno di lui. Non so spiegarmelo, ma ho bisogno di Caleb per allontanare dalla mente quel terribile desiderio che è tornato a pulsare.
Dal primo sguardo che ci siamo scambiati nel cortile, tra la neve, il primo giorno che sono arrivata qui, tra noi è iniziato qualcosa.
Un filo invisibile, di dolore e frustrazione, ci ha legati in questi mesi. I nostri incontri, fatti per lo più di silenzi densi di significati non detti, hanno instaurato una muta e reciproca comprensione.
Un sentimento che non avevo mai provato prima. L'essere accettata, con il mio dolore, senza venire giudicata. Qualcosa che mi ha fatto sentire di nuovo un po' meglio.
So dove trovarlo. La biblioteca arroccata nella torre est è più piccola rispetto alle altre. Per Caleb è la più bella, ricca di volumi centenari che non verranno mai studiati da nessun altro lì dentro, eccetto lui.
La sua passione per i libri antichi mi ha colpita fin da subito. Il modo che ha di accarezzare quelle pagine ricche di storia, il respirarne il profumo, la delicatezza con cui gli ho visto sfogliare quei volumi che hanno vissuto per secoli protetti da quelle mura.
Fatico a salire la stretta scala a chiocciola. Il pensiero di lui che mi attende in cima mi aiuta a riempire i polmoni. Le mani fanno leva lungo le pareti ruvide, illuminate da una costellazione di candele. La mia ascensione si conclude davanti alla piccola porta in legno consunto, che emette un lungo stridio al mio gesto di aprirla.
Lui è lì. Appena mi vede chiude di colpo il volume che tiene tra le mani, venendo meno a quella delicatezza che gli ho sempre visto riservare a quelle pagine preziose.
Scatta in piedi dalla poltrona damascata su cui era seduto. Mi guarda, lo guardo. Il mio petto ansima, per la corsa, per il panico, per la paura di me stessa. Occhi negli occhi, senza dire nulla.
Caleb capisce. Sa quello che sto provando. Gliene ho parlato, fino a dove ho potuto. Lui ha intravisto il nero che mi devasta l'animo e lo ha accettato.
So che mi sente. Lo sento, lo leggo dentro il suo sguardo. Non c'è preoccupazione, solo comprensione. Come se sapesse che sarebbe arrivato questo momento. Ho bisogno di lui. Non riesco a spiegarmi come, ma sento di volerlo più vicino, ora, adesso.
Trovo la forza di spingermi in avanti, solo pochi centimetri ci dividono, adesso. Lui abbassa il viso verso di me, che gli arrivo a malapena al petto.
In questi mesi non ci siamo mai sfiorati, non ne avevamo sentito il bisogno o forse, non ci eravamo ancora resi conto di quello che in questo momento stiamo provando.
Il palmo grande della sua mano accoglie la mia guancia. Chiudo gli occhi per un istante, abbandonandomi a quel calore. Il suo pollice scivola verso le mie labbra, le accarezza, con delicatezza le schiude.
I miei occhi si piantano nei suoi e non riescono più a farne a meno. Il modo in cui mi guarda, riflesso dell'impossibilità di continuare a resistere.
Mi sollevo di colpo sulle punte dei piedi, con le mani mi aggrappo alla sua maglia. Mi asseconda subito, piegandosi, fino a trovare la congiunzione perfetta delle nostre labbra.
Ossigeno.
Il cervello smette di pensare. Le immagini svaniscono. In quell'istante, solo Caleb.
Di colpo mi prende per la vita, mi solleva, senza interrompersi. Le sue mani scivolano sul mio sedere; io salda, con le gambe attorno al suo bacino.
Assaporo ogni millimetro delle sua labbra piene, incrociando più volte il gusto della sua lingua. Le mie mani finalmente affondano nei suoi capelli, afferrano quelle ciocche brune.
A fatica ci freniamo. L'irrazionalità di quanto stiamo facendo prende improvvisa il sopravvento. Lui è più grande di me, io sono una studentessa della Blackthorn.
Sento le sue mani scivolare via dalle mie natiche e risalirmi lungo la schiena. Torno con i piedi per terra. Le mie mani restano sul suo petto. Il suo cuore batte a un ritmo accelerato, esattamente come il mio. Indugio sul richiamo delle sue labbra per poi riprendere il contatto con le sue iridi verde scuro.
Il suo sguardo è severo e deciso. Sente quello che sento io: il cuore che pompa vita. Impossibile ignorarlo.
Mi solleva di peso. Ruotando su sé stesso, mi accompagna a sedere sulla poltrona che occupava poco prima.
Lo assecondo, scoprendo che è da tempo che bramavo di farlo.
Si inginocchia di fronte a me, portandomi ad allargare le gambe con un movimento lento ma sicuro delle mani. Di riflesso mi abbandono allo schienale, senza interrompere la nostra connessione. Posa l'indice destro sulle mie labbra e io d'istinto lo lascio entrare nella mia bocca. Con la lingua lo assaporo; maliziosa mi compiaccio nel sentire un suo gemito di rimando.
A fatica lo porta poi a scorrere lungo il mio collo, tra i seni, fin oltre l'ombelico. Fino a quando non ci basta più. Si sporge verso di me, il suo respiro dentro il mio, le labbra che si sfiorano, le lingue che si stuzzicano fino a quando le sento: le sue mani forti che risalgono lungo le mie cosce, infilandosi sotto la gonna, con una lentezza devastante. Stringono la pelle, mi palpano di nervoso desiderio. Le dita sfiorano il contorno del mio intimo. Un brivido, che non provavo da tempo, mi corre lungo la schiena, a confluire in quel centro di piacere che non sentivo vivo da troppo.
Caleb mi divora le labbra mentre, senza indugio, affonda un dito nella mia fessura.
Inarco la schiena di rimando, la testa mi cade all'indietro. Il suo gesto secco mi travolge, senza lasciarmi tempo di realizzare.
Si allontana quel tanto che basta per posizionarsi l'incavo delle mie ginocchia sulle spalle. Finisco sdraiata sulla seduta della poltrona, ancora intontita da quella penetrazione agognata.
Lo avverto armeggiare con la mia biancheria, intuisco troppo tardi per avere il tempo di preparami. La sua lingua mi penetra, una, due, tre volte, perdo il conto. Il piacere mi devasta. Stringo le dita tra i suoi capelli, costringendo la sua testa a non abbandonare quella posizione. Lo voglio lì, tra le mie cosce. Non voglio che smetta di farmi provare quello che sto provando. Niente più dolore, solo godimento, un piacere acuto che dal ventre scende a rendermi infinitamente sensibile. Voglio esplodere, liberarmi di tutto. Ansimo, sempre più forte. Il corpo si contorce mentre il petto è scosso da un cuore che credevo non avrei più avvertito battere.
L'orgasmo mi devasta. Urlo per dare maggiore sfogo, mentre un brivido mi porta a piegarmi su me stessa.
Caleb riemerge, avverto a malapena le sue dita sistemare l'intimo sotto la mia gonna. Mi bacia il ventre, da sopra il vestito. Poi il collo, tornando alle labbra, dove si sofferma leggero, quasi casto.
D'impulso gli getto le braccia al collo. Lui mi stringe di rimando. Scoppio in lacrime. Sono viva.