Capitolo 2

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Dravall



Rientrai dentro il castello per l'ora della colazione. Gli stendardi cerulei e rossi erano appesi per tutti i corridoi, e si stagliavano tra tutta la folla di cavalieri e domestiche in ansia al solo pensiero di dover servire la colazione in presenza della regina. C'era una cosa che mi attirava delle bandiere azzurre: il logo a forma di cuore. Da bambino mi soffermavo ore ed ore a fissarlo, non capivo la ragione per la quale dovessero tenere sul proprio stemma un organo, quando ne sono privi. Forse è proprio questo a renderli particolari. Sposto il piede verso destra, giro il mio corpo in direzione della porta, che, come al solito, mi viene aperta dalle due guardie.

"Dov'eri?" Mia madre, la regina, che donna! I suoi lunghi capelli ramati sono intrecciati in due trecce, sistemate e acconciate sul capo a formare una corona che termina poco sopra il coppino. Il suo vestito azzurro le giunge fino ai piedi, lasciandole la punta delle scarpe bianche appena visibile. Il collo bianco è addobbato da una collanina di ferro che porta il simbolo della sua casata, i sanguinari.

La piuma è messa in evidenza proprio dal materiale con cui è fatta, perle rosse. I suoi occhi azzurri incorniciano il volto delicato, armonico e angelico. Pur avendo più di due secoli sembra una donna di quarant'anni. "A fare una passeggiata" risposi con nonchalance, in fondo diventerò re, e ciò significa che nessuno mai mi dovrà controllare. La donna mi scruta attentamente: "Sono tua madre, Dravall. Sono la tua regina" si avvicina lentamente, spostandosi dal tavolo pieno di pane, biscotti, e cibi vari "E quando ti domando dove sei stato, esigo una risposta" Non ho mai sentito mia madre urlare, piangere o sgridarmi.

Lei utilizza il silenzio punitivo. Nessuno mai si sofferma a parlare di questo argomento, forse perché non è considerata come una forma di violenza, oppure perché non produce effetti visibili. Esistono tanti tipi di silenzio: imbarazzante, romantico, triste. Il silenzio punitivo è una forma di fuga dalla realtà. Trovo che sia una forma di immaturità mentale ed emotiva. Il soggetto in momenti pieni di rabbia, quando tutti i comuni mortali si sfogano, oppure i pazzi spaccano le cose, lei rimane in silenzio. Sembra quasi impassibile davanti alle catastrofi. L'individuo quando si arrabbia con qualcuno decide di smettergli parlargli, di non rivolgergli più la parola per giorni, e limitarsi a gesti semplici, oppure a cortissime frasi quali:" non lo so" o "No"

Stringo forte i pugni, conficcando le mie unghie corte sul palmo con una violenza da rischiare di lacerarmi la pelle. Forse gli artefici non se ne rendono conto di screditare la persona, di farla sentire inutile e poco importante.
Come al solito le persone non si rendono conto del dolore inflitto, finché non arriva qualcuno a pugnalarlo, forse solo lì realizzano, e diventano le vittime del caso. L'individuo è incapace di affrontare la situazione, e non si tratta del rivelare i propri pensieri negativi, poiché questa è una forma di sfogo.

Alla base c'è un pensiero egoista: tu senza di me non vali. La mia parola è la tua chiave di volta, tu pendi dalle mie labbra. Vogliono gli applausi, ma non applaudiranno per te. Svincolatevi da queste persone. Neanche quando vinsi il mio primo torneo, la vidi sorridere o congratularsi con me.

"Alla Locanda" risposi osservando la sua espressione del viso mutare da uno stato di apparente quiete, a una rabbia cieca e furente. Prima che potesse però aprire bocca, la fermai:" Dov'è mio fratello?"

"Tu non pensi a tua sorella?! Se dovesse scoprire che frequenti locali del genere!" Alzo gli occhi al cielo.

"Ascolta attentamente le mie parole, Vostra altezza reale" indicai con l'indice le mie labbra, che lentamente scandivano ogni sillaba "Non le interessa"
Mia madre incrocia le braccia sul petto, mettendolo in evidenza, come se la scollatura del suo vestito non fosse abbastanza profonda. "Tu non sei il figlio che ho cresciuto!" i suoi occhi trafiggerebbero chiunque, tutti tranne me. "Infatti, sono figlio di tuo marito, prossimo e unico erede al trono" gli sputai in faccia queste parole con cattiveria. "Tu fratello maggiore dovrebbe succedere il re al trono" Sussurra lievemente girandosi dalla parte opposta della stanza, e rivolgendomi le spalle. "Tallen ha l'emofilia, e tu da brava donna forte che sei, lo hai mandato su un campo di battaglia a morire" sorrisi ironicamente, come se non sapessi che lo ha mandato a morire appositamente. Troppa aria di chiuso, incomincio a respirare male. Esco dalla stanza e in lontananza sentì le sue parole "È la sua unica possibilità."

Fermai una guardia, la prima che vidi gironzolare per i corridoi:" Dov'è Tallen?" il signore mi rispose che era nei cortili ad allenarsi, e imprecai. Detesto che la Regina lo nasconda. Nasconde la sua malattia al mondo, la sua esistenza è mascherata da uno scudo rosso di rame che indossa durante i tornei. Sembra quasi vergognarsi di lui. Non vede l'ora di ucciderlo, o che giunga una colomba con un messaggio funebre. Neanche il popolo è a conoscenza della sua "situazione", per utilizzare un termine pregno e da Regina Olimpia, mia madre.

Giunsi nei cortili praticamente volando, trasportandomi lì con una velocità che non sapevo di possedere. Fisicamente Tallen aveva un potenziale per diventare un guerriero degno di nota: spalle larghe, petto maestoso e due gambe alte, snelle e veloci. Non assomigliava minimante a me, era un sanguinario perfetto: occhi ghiaccio azzurri, capelli ramati corti, e connotati praticamente identici a quelli di mia madre.

Mi appoggiai con le spalle alla colonna di granito, che sosteneva il porticato, e lo osservai. A guardarlo dall'esterno era perfetto: movimenti fluidi ed eleganti, sembrava danzare con la sua spada come un ballerino farebbe con la sua compagna. Eppure, era malato, e tale consapevolezza lo portava a porre maggior riguardo anche al minimo movimento dell'arma avversaria. "Bravo, Mio principe" la guardia con cui si stava allenando era una tra le sue personali, e a colpo d'occhio notavo come lo schivasse, ed evitasse di toccarlo anche solo con lo sguardo. Tallen sorrise al complimento, continuando ad esibirsi in mosse da cavaliere reale.
Un leggero fruscio di pagine di carta, una leggera cantilena. Dietro gli alberi c'era Zonta, capelli ramati lasciati sciolti e guidati dal leggero venticello, che inonda la capitale accompagnato da quello strano odore piacevole di fresco.
Occhi azzurri focalizzati sul libro che stringeva tra le candide e soffici mani, che tanto amavo accarezzare per darle conforto . "Non è quello ciò che abbiamo scelto, ci è stato imposto" Ricordo questa frase il giorno in cui la regina ci comunicò la data del nostro matrimonio. Non penso che Zonta sarebbe in grado di governare un popolo, a quindici anni il tuo problema più grosso è il vestito che indosserai il giorno dopo, o le lady con cui spettegolerai in giro.

"Dravall!" Tallen sorrideva con tutta la bocca aperta, mostrandomi i suoi perfettissimi denti bianchi, le braccia erano aperte e lentamente si avvicinava alla colonna. "Che mi racconti di bello. Ti do lo spunto: Cosa hai fatto ieri sera? Non era venerdì" è cosa risaputa che il venerdì mi trovano tutti alla Locanda.

"Ho fatto qualcosa che a Olimpia non andrà bene" affermai con una smorfia sulle labbra, una di quelle simpatiche e buffe. Il ramato rise: "Hai ucciso qualcuno?" si affiancò a me. Era l'ora in cui dovevamo assistere all'udienza pubblica: il re ascolta le domande e le richieste del popolo, e prende una decisione in merito, in sostanza: una noia mortale. "Già fatto. Ritenta" risposi, camminavamo in simbiosi, muovevano gli stessi identici passi sul pavimento di pietra. "Hai partecipato a una seduta spiritica" Mi fermai, e lui fece lo stesso.

"Ma per chi mi hai preso?" lo squadrai due volte dalla testa ai piedi. "Ho fatto molto meglio, ho invitato una prostituta ad unirsi al corteo che c'è qui" Tallen mi affermò l'omero, stringendomi bene il muscolo. Sul suo volto si rifletteva una sensazione di sollievo: occhi leggermente spalancati dallo stupore, sopracciglia sollevate e bocca aperta. "Finalmente, cazzo! Era da anni che te lo dicevo." Il ramato aveva due anni in meno di me, aveva frequentato per pochissimo la Locanda, conosceva Asterope solo di vista. Non li ho mai fatti presentare per scelta. Tallen non può mai uscire dal castello senza scorta. Una volta lo beccai fuori dal castello senza alcun soldato accanto, pestai a sangue tutti i cavalieri che quella notte si erano addormentati. "Quella locanda è una topaia, l'hai salvata infondo" mi diete una pacca sulla spalla, e gli sorrisi di rimando con il cuore che esplodeva di gioia.

Un rumore di scarpette, di passi che sbattevano felpati sul pavimento mi costrinsero a girarmi verso il corridoio, e a toccare con la mano il fodero della mia spada. "Chi hai salvato?" La voce delicata e zuccherina di Zonta invase le mie orecchie, così come quelle di Tallen. "Perché hai i capelli sciolti?" il ramato non esitò a porre la domanda alla piccola fanciulla. "Perché mi piace tenerli così?" ridacchia alla risposta.
Aveva un senso logico, vero, ma non a corte: i capelli sciolti possono essere tenuti così solo in presenza del marito. "Tu fai impazzire quella povera donna della balia" Tallen alza gli occhi al cielo, mentre si gira in direzione della sala in cui si sarebbe tenuta l'udienza. "Tanto quando sposerò Dravall, tu non ci sarai e lui mi permetterà di fare tutto!" Zonta gli fa una linguaccia prima di girarsi e scappare via. Mi girai verso mio fratello stranito: "In che senso tu non ci sarai?" il ramato fece un gesto con la mano:" Lascia perdere"



Le guardie reali aprono il grande portone d'orato della stanza del trono, Tallen ed io ci affrettiamo a sederci ai lati dell'enorme seduta di rame su cui siede il re. Arrivarci vicino è un gioco da ragazzi, siccome le porte, ne esistono due, sono disposte in maniera tale che il trono si trovi in mezzo. Nostro padre è seduto sul trono tiene il capo basso e i suoi occhi puntano per terra. Il solito odore pungente di incenso mi invade le narici. Appoggiato a i rami degli alberi c'è sempre un cestello pieno di tale aroma.

Si dice che i Mangiacarne vivano all'infinito, poiché privi di un organo che detta loro il funzionamento del corpo, e della sostanza che aziona il funzionamento di tutto il loro apparato. Eppure, mio padre sembra essere in procinto di morire. Sono tre anni che presiedo al suo posto l'udienza, con lui accanto che mi batte l'indice sul palmo della mano, come ad approvare le mie decisioni. Qualcuno sostiene che è stato avvelenato, ma nel cibo non solo non c'è traccia, nessun assaggiatore è mai morto. "Salutate i vostri principi!" la guardia reale di mio padre, Kevin si è personalmente assicurato di rinchiudere chiunque fosse un possibile sospetto.

"Buongiorno mio caro popolo!" urlo a gran voce, mettendomi alla sinistra del trono, e porgendo la mia mano sinistra a mio padre. La sua stretta è debole, quasi come stesse tenendo un macigno stringe delicatamente il mio indice e medio. Tallen mi lancia uno sguardo preoccupato, avrà forse notato il mio sguardo inquieto?

La folla davanti a me è assetata di conoscenza, desidera un responso da parte della corona in merito alle nuove tasse sui capi e sui raccolti. Uomini e poche donne hanno il volto corrucciato, e sporco. "Si faccia avanti il primo" Davanti a me si para un uomo sui quarant'anni circa, magro, riesco a scorgere e a contare le costole presenti nel suo corpo. Capelli sono marroni e arruffati, occhi rossi: un Mangiacarne. Il signore cade sulle sue ginocchia magre, persino il rumore che fanno quando cadono a terra assomiglia a due ossa che si scontrano insieme. Alza le mani in un gesto solenne di preghiera, e punta il suo sguardo nel mio. "Mio principe" la sua voce è soffocante, esattamente come la sua figura trasandata: "Mi chiamo Aggius, sono un contadino. Non ho più cibo. Ho due figli, non riesco a dar loro da mangiare. La prego... la supplico... mi dia qualcosa per sfamare i miei piccoli." I miei occhi pizzicarono leggermente, cercai di concentrarmi su altro: guardai i tronchi attorcigliati degli alberi rossi e azzurri, che costituivano la parete della stanza. "Io..." l'uomo mi fissò speranzoso: "Fa niente se non nutrite me, mia moglie è morta. Io sono l'unica speranza per i miei figli" i suoi occhi erano rossi e gonfi dalle lacrime.

Feci per parlare, ma una lingua troppo lunga proferì parola prima di me:" Le tasse da noi imposte sono giuste. Se è venuto qua per lamentarsi di tale inutilità, vada via" spostai lo sguardo verso Tallen, lo fulminai assottigliando gli occhi: "Le tue nozze vanno pagate. Avanti il prossimo." Mimai con la bocca un: "Dopo." Non può pensare di comportarsi così, utilizzando parole così pesanti nei confronti del mio popolo.

"Salve, Mia Altezza." La mia bocca si seccò al suono così delicato quanto familiare di Asterope. Cosa ci fa qui? I suoi abiti rivelavano chiaramente la sua professione. Indossava una lunga gonna arancione con uno spacco e una sorta di maglietta corta senza maniche, che le lasciava scoperta la pancia tonica. Intercettai i suoi occhi e le lanciai uno sguardo stranito. I suoi capelli marroni erano raccolti in uno chignon disordinato. "Mi chiamo Asterope e lavoro nella Locanda," fece un mezzo inchino. "Lavoravi," corressi la sua affermazione, ricevendo un'occhiataccia da parte Tallen, e da parte di Asterope.

"Sì, mi scusi, lavoravo. Sono qui oggi per chiederle se potesse aumentare i controlli sulla via del Miele," una richiesta non insolita. In tanti lo chiedevano, ma nessun sovrano aveva interesse a garantire la sicurezza di quella via.

"Per quale ragione?" Tallen si intromise di nuovo.

"Una mia collega è stata di recente violentata." Mio fratello rise, passandosi una mano sui capelli ramati: "Non è quello che fate di lavoro? Scopare."

Le mie mani diventarono sudate e provai una furia accecante che per un attimo mi tolse la vista. Un leggero tocco sul mio palmo da parte di mio padre mi fece risvegliare, scacciando via tutte quelle energie negative.

"Sì, mia Altezza, ma lavoriamo a pagamento."

"Basta così" interruppi il tutto alzando una mano. "Se è questo quello che volete, lasceremo la guardia cittadina gironzolare per quelle vie" Vidi negli occhi di Asterope sollievo, e rilassatezza. Lasciai trasparire sul mio volto un sorriso a tutti impercettibile, tranne che a lei. "Il prossimo!" urlai osservando le sue spalle girarsi e andarsene dalla sala.

Un leggero rumore di fischio, seguito da uno schiocco forte, come se qualcosa avesse battuto contro il legno, catturò la mia attenzione. Voltai la testa per cercare di capire cosa fosse successo. Un urlo di una donna, seguito da altre grida, riempì l'aria. La presa sul mio indice e medio svanì. Fu in quel momento che girai la testa verso mio padre: una freccia rossa gli aveva trapassato il cranio. Non realizzai subito, ma Tallen sì. Vidi Kevin che trasportava via mio fratello, facendogli da scudo con il corpo.

Cercai Asterope tra la folla e la trovai nel perfetto centro, fissava con occhi terrorizzati quella freccia di colore rosso. "Il re è morto." Qualcuno urlava, ma quelle voci e quelle grida risultavano ovattate per le mie orecchie. Una guardia cercò di spostarmi con la forza, ma i miei piedi sembravano non volersi muovere dal pavimento. "Sua Altezza, la devo portare via da qui!" Neanche un uragano sarebbe riuscito a muovermi. "Il re è morto!" Guardai di sguincio la folla per l'ultima volta e mi resi conto che quelle non erano grida di dolore, ma di felicità.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 17, 2024 ⏰

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