Capitolo 3

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Minho, sempre a casa immerso nel suo lavoro virtuale, non era il semplice impiegato che fingeva di essere

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Minho, sempre a casa immerso nel suo lavoro virtuale, non era il semplice impiegato che fingeva di essere. Lo stress che lo attanagliava, l'irritabilità che spesso esplodeva, l'abuso di alcol... erano tutti segnali di una realtà ben più torbida.

Le sue lamentele sulla scarsità di denaro, le sue pressioni affinché io continuassi a lavorare come stripper nonostante la sua violenza e gelosia incontrollate... ora assumevano un significato agghiacciante. Non era per il mio bene che lo faceva, ma per nascondere i suoi debiti, i suoi loschi affari, la sua vita segreta.

Mi sentii travolta da un'ondata di rabbia e delusione. Come avevo potuto essere così ingenua? Come non avevo notato i segnali, le contraddizioni, le bugie? Mi era sembrato amorevole, premuroso, bisognoso del mio aiuto... e invece era solo un abile manipolatore, un bugiardo incallito che mi aveva usata per i suoi sporchi scopi. 

E al primo problema, come se non bastasse il dolore già provato, mi ha tradita nel modo più vile. Mi ha venduta, come una merce da scambiare, per un terzo del suo debito, condannandomi a una vita di infamia e sfruttamento per ripagare il restante.

 Lo schermo del cellulare mi viene strappato dalle mani come se fosse carta velina. Un ghigno beffardo si disegna sul volto dell'uomo di fronte a me, mentre la sua voce sibilante risuona come un serpente: "Penso che tu abbia visto abbastanza, piccola."

Un brivido di terrore mi percorre la schiena. Un secondo uomo mi afferra per le spalle, le sue dita di ferro mi stringono come una morsa. Cerco di divincolarmi, scalciando l'aria con tutte le mie forze, ma i loro sorrisi sadici mi raggelano il sangue.

"Ora consegna te stessa e i tuoi soldi pacificamente," ordina il primo uomo, la sua voce gocciolante di minaccia. "O sappiamo bene come prendere le ragazzine come te."

Mi sento come una bambola di stoffa nelle loro mani, sollevata da terra come se non avessi peso. Il bassino dei due, con un ghigno sprezzante, mi guarda dall'alto in basso. "È ora di mettersi a lavoro, gattina," dice con voce melliflua che nasconde una ferocia bestiale.

La disperazione mi attanaglia il cuore. Sono impotente, in balia di questi mostri. Le lacrime mi rigano le guance, ma le deglutisco con rabbia.

"Mettetemi giù! Dio Cristo!" urlo con tutta la forza dei miei polmoni, dimenandomi come una forsennata nella loro morsa. La rabbia ribolle dentro di me, minacciando di esplodere. "Non siamo nel Medioevo, che diamine! Non potete comparare le ragazze dai loro fidanzati!" sputo in faccia al primo uomo, cercando con ogni fibra del mio essere di liberarmi dalla loro presa soffocante.

Un calcio violento all'aria, un tentativo vano di colpire il bassino che mi tiene stretta per i capelli. "È fottutamente ridicolo!" urlo di nuovo, la voce graffiante dalla rabbia e dalla frustrazione. Con una spinta poderosa, riesco finalmente a liberarmi dalla sua presa. Ma la mia vittoria è effimera.

In un gesto brutale, il primo uomo mi afferra di nuovo, questa volta per il braccio. Un dolore lancinante mi attraversa mentre mi solleva da terra per le spalle nuovamente

His Captive - Jungkook x readerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora