Capitolo 23

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JOSEPH

Questa giornata sembra interminabile. Quando saluto Vincenzo, il mio ultimo paziente di oggi, mi butto sulla poltrona del mio studio, sfinito. Uno stanzone pieno di giochi, fogli, colori. Una scrivania con una poltrona e due sedie di fronte. Un altro tavolo, con qualche altra sedia, per le esigenze dei bambini. Qualche libro sparso qua e là, un computer che accendo poco e due fotografie, entrambe di me e Sarah: una di quando eravamo poco più che adolescenti e una più recente, scattata la notte di Natale.

Prima di tornare con Sarah, questa stanza era spoglia, asettica, senza anima. Non ho mai nemmeno pensato di metterci una foto mia e di Viviana, dentro. Era solo il mio studio. Una stanza di un appartamento più grande, che un ortopedico mi ha affittato ormai anni fa, quando volevo avviare la mia attività. Ci siamo io, l'ortopedico, un urologo e un dermatologo. E, all'ingresso, una segretaria, Marina, che avrà l'età di mia madre ed è capace di risolvere ogni nostro problema. Qualche volta accenna alla pensione e un po' mi paralizzo. Questo studio non reggerebbe, senza di lei.

Quando qualcuno bussa alla mia porta, borbotto un "avanti" distratto, mentre finisco di leggere le e-mail. Niente di troppo importante, quasi tutta pubblicità.

«Credo che gli auguri siano d'obbligo», mi distrae. La guardo, alzo le spalle e sospiro.

«Vivi! Non eri partita?» chiedo, senza impegnarmi troppo a fingere interesse. Lei si avvicina, come un leone alla sua preda, con un passo sinuoso che mi diverte. È sempre stato così palese, come ho fatto a non accorgermene? Ci ha sempre provato, in un modo anche abbastanza goffo e imbarazzante.

Prima di sedersi di fronte a me, prende in mano le due foto, stampandosi sul volto un sorrisetto finto e maligno.

«Sono tornata» spiega, ripoggiando le foto al loro posto. Io continuo a guardarla, per capire le sue intenzioni. «Napoli alla lunga manca...» aggiunge. «La città, la famiglia, gli amici...»

«Quali amici? Non ne hai mai avuti» dico sprezzante. Un ghigno è la sua unica risposta. «Ti direi che è un piacere vederti, ma sono sicuro che ci sia un secondo fine alla tua visita, che non sia semplice cortesia, e non ho né tempo né voglia quindi, per favore, vieni in fretta al punto» dico duro.

Di norma, non sono un maleducato e non mi piace esserlo, ma lei non fa mai niente per niente. È un serpente velenoso, pronto ad attaccare al primo passo falso.

«Joseph, Joseph... da quando sei così impaziente? Non potrebbe essere solo una rimpatriata tra vecchi amici?» mugola, fintamente innocente, mentre si sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Poi accavalla le gambe, in un modo così provocante che quasi mi fa pena.

È sempre stata così, non la vedo diversa dal solito ma, forse, per la prima volta la vedo davvero. Ho sempre ignorato questi suoi gesti, questo suo modo di fare, perché non ne ero minimamente interessato.

Ora la vedo davanti a me, stretta in un tubino di almeno due taglie più piccolo della sua, con una scollatura talmente profonda, che non so davvero come il seno non le esca fuori e mi viene da ridere, tanto è disperata.

«Non siamo mai stati amici» esclamo, freddo. Lei continua a ridere.

«Hai ragione», accorda. «Prima volevo portarti a letto, ma tu stavi con Sarah. Poi mi hai portata a letto tu per dimenticare Sarah, inutilmente, a quanto pare. Certamente, non siamo mai stati amici»

«Vuoi farmi sentire in colpa?» chiedo, incrociando le braccia al petto mentre aspetto questi suoi tempi snervanti. Lei sbuffa l'ennesima risata finta e malefica. Un po' come la cattiva di un film Disney. Una di quelle risate che mettono i brividi.

«In colpa? No, figurati. Perché, ti ci sei mai sentito, mentre mi tradivi?» mi provoca. Alzo appena gli occhi al cielo, mordicchiandomi un po' il labbro inferiore.

«No, in realtà» ammetto. Lo sapeva già, comunque. «Era questo, a volte, non spesso, a farmi sentire in colpa: il fatto di non sentirmici»

«Sì, beh... la tua mente contorta non mi interessa. Sono qui per aiutarti, in realtà. Per darti un consiglio»

«Un consiglio? Tu? E cosa vuoi consigliarmi? Un metodo veloce per suicidarmi?»

«Mi fai così meschina? Io ti voglio bene, Joseph. Nonostante tutto, tengo a te e non voglio che tu faccia qualcosa di cui potresti pentirti» prova a compiacermi con finta innocenza.

«Non credo di volere alcun consiglio da te» e mentre lo dico, mi alzo dalla poltrona e mi avvicino alla porta della stanza che lei si era chiusa alle spalle.

«Non mi interessa. Credo che due minuti per ascoltarmi tu me li debba» esclama, senza muoversi dalla sedia. Annuisco, esasperato, e mi avvicino di nuovo alla scrivania, per guardarla.

«Allora?» la incito.

«Hai deciso di sposare Sarah... la ami e si vede. Ma come fai ad essere sicuro che lei ti ami davvero? Ti ha lasciato così tante volte...» Lascia la frase in sospeso, come se volesse sottintendere qualcosa che ancora non dice. Come se volesse mettermi un tarlo nella testa che non le permetto di mettermi.

«Non sai di che parli» dico, categorico. «Non conosci la nostra relazione, non sai come entrambi siamo cambiati, come lei è cambiata»

«Le persone non cambia, Jo. Magari maturano, ma non cambiano, e io conosco Sarah... è buona, gentile, spiritosa, divertente, intelligente, ma...»

«La conosco meglio di te» la blocco, tornando verso la porta e, questa volta, aprendola. Lei mi imita e si ferma a due millimetri da me. Sento il suo respiro addosso e il suo profumo nauseante nelle narici.

«Ma» continua, come se non le importasse affatto del mio volere, «è anche vendicativa. L'ho appena incontrata, giusto qualche ora fa. Sai l'unica cosa che ha saputo dirmi? Che me lo aveva detto, che mi aveva avvertita, che ti avrebbe ripreso appena avrebbe voluto. Ed è vero, anni fa mi aveva detto di godermela finché potevo. Alla fine ci è riuscita, ora stai con lei, la stai per sposare. Non ti senti un giocattolo? Un premio? Sai, Jo... i bambini si stancano sempre dei giocattoli, anche di quelli che preferiscono. E i premi, beh... finiscono a impolverarsi sullo scaffale più alto di qualche libreria. Ne vale la pena?»

Non rispondo. Non so che dirle e, comunque, non la vuole nemmeno una mia risposta. Mi lascia un bacio volgare e prolungato sulla guancia e, in fretta, sparisce.

L'ultima volta (fino a domani) // HoldarahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora