Caffettiere che scoppiano e incantesimi immorali

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Gli inglesi preferivano di gran lunga il tè al caffè, si ricordava di tutte le bustine stipate nella credenza in alto a destra. Decine di sacchetti minuscoli che contenevano esplosioni di sapori. Ce ne erano alle erbe, ai frutti di bosco, allo zenzero. Spesso di nascosto metteva una punta di miele. Nonostante ciò anche l'odore del caffè regnava sulle pareti della cucina. Ricordava a malapena il profumo da caramello che si riversava sul viso. Ogni volta che se lo portava alle labbra era come un dolce appena uscito dal forno. Impossibile resistere all'aspetto succulento e si finiva con lo scottarsi mani e lingua. Almeno il sapore compensava il dolore. Gli piaceva il caffè però odiava prepararlo. Riempire la moka con acqua fredda, macinare i chicchi nel filtro, stare attento al fuoco e mescolare il contenuto con il cucchiaino. Quando si metteva troppa acqua, la caffettiera rischiava di scoppiare. Charles ci andò vicino ben quattro volte. Alla quinta si arrese e aspettava che fosse sua madre a prepararlo. Questo era la stessa situazione che stava accadendo con Edwin. Lo riempiva di preoccupazioni fin quando l'orlo del filtro non traboccasse. Scappava da un momento all'altro buttandosi a capofitto nello specchio, lasciando il povero fantasma solo nell'ufficio. Imprecava quando i suoi fantasmi si perdevano in chiacchiere e non appena sentiva rumori forti distoglieva lo sguardo in uno scatto convulso. I tic erano aumentati e sobbalzava al minimo tocco. Di solito era Edwin quello che non sopportava il frastuono e il tocco. Nonostante la sua nuova repulsione tattile, non riusciva a staccarsi dal suo amico. Lo rassicurava sentirlo, gli ricordava che fosse con lui, al sicuro, lontano da ogni male. Nessun demone ragno a sbranarlo, nessun Re Gatto a importunarlo, nessuna strega rapirlo e nessun corvo a pugnalarlo alle spalle. Gli stringeva la mano, lo abbracciava, si sedeva così vicino fino che le loro ginocchia si sfiorassero. Ogni tanto adagiava la testa sul suo grembo mentre l'altro gli leggeva ad alta voce e giocherellava con i suoi riccioli. Era disperazione. Una disperazione tangibile che portava le mani a formicolare e il prurito non si placava fin quando non percepiva la giacca morbida tra le dita. Voleva anche immergersi tra le ciocche ostinatamente ordinate, tracciare l'arco di cupido, punzecchiargli il collo, perdersi in un bacio. La realizzazione di essere effettivamente attratto dal suo migliore amico portò a sconnessioni dal loro piano terrestre più frequenti. Di conseguenza il cilindro d'acqua aumentava di un centilitro. La nuova abitudine di tenere i guanti per non far vedere le ferite d'artiglio ne aggiunse un altro. L'eritema che divampava tra le membra e lo portava a muoversi come un tarantolato, portò a un incremento esponenziale. Il fatto che avesse delle borse sotto gli occhi anche se era impossibile stancarsi per un fantasma equivaleva a gocce che scendevano persistenti. Ora se si parla di caffettiere il risultato era un fischiare crescente, un tremare sul posto e lo scoppio finale. Edwin emetteva piccoli versi preoccupati e si agitava danneggiando la postura solitamente composta. Fu davanti il tendone volgarmente zebrato di Matthew Sinister che arrivò l'esplosione. "Charles si può sapere che ti prende!?" Gli strappò i fascicoli che stava leggendo dalle mani. Le sopracciglia aggrottate, le labbra strette e gli occhi seri e determinati tipici di un cane che non voleva lasciare l'osso. "Abbiamo risolto casi l'uno dietro l'altro mentre questo era in corso. Di solito amo lo stacanovismo ma così è esagerato. Crystal non si regge in piedi e a quanto pare nemmeno tu!" Anche nelle urla riusciva a controllarsi. Lo invidiava un po' per questo. Non scattava, non aveva un fuoco in corpo che si alimentava a un minimo soffio di vento, non aveva l'impulso di gridare o spaccare qualcosa, di fare del male. Ma Edwin era perfetto e lui un essere troppo frantumato che non riusciva a fare a meno di ammirarlo. Aveva notato che le apparizioni diminuivano durante i casi e quindi aveva approfittato di concludere il maggior numero possibile. Si sedeva sulla scrivania e accettava fascicoli a raffica. Per concludere il caso del braccio morto dovevano aspettare la data di quello spettacolo e quindi avevano posto la loro attenzione altrove pur continuando le ricerche per recuperare l'arto. Inoltre nessuno dei convolti sembrava aver l'intenzione di passare nell'Aldilà e non volevano una nuova strigliata dall'Infermiera Notturna. Aveva preso il caso di due gemelli separati che cercavano l'un l'altro, quello di recuperare uno scrigno e consegnarlo alla moglie del defunto, una biblioteca infestata (quello l'aveva scelto soprattutto per Edwin), quello di un'altalena fantasma, uno spettro ubriaco che si aggirava per le strade importunando i passenti. E tanti, tanti, casi di ritrovamento d'oggetti. Scarrozzarsi per tutta Londra con il vento che premeva sulle orecchie lo aiutava a non pensare. Le mani occupate evitavano qualsiasi colpo improvviso. Quel gatto gli aveva detto in poche parole di provare a guarire da solo. Una terapia pessima doveva ammettere ma almeno gli dava qualche suggerimento. Si presentava nel bel mezzo dell'ufficio continuando a fare moine e portare doni a Edwin. Libri, gioielli, cianfrusaglie magiche. Altri gigli. Poi si faceva accompagnare all'uscita da lui solo per vedere come andavano le cose. "Prova a tenerti impegnato, fai un hobby o qualcosa del genere" Gli aveva detto. "Oppure smetti di fare il bambino e gli parli. Non mi piace tenergli dei segreti. Mi chiede di te e io svio l'argomento perché il nostro rapporto richiede sincerità" Lo bacchettava come una maestra con uno scolaro monello. Non voleva dire nulla a Edwin. Inoltre storceva il naso ogni volta che Baffi rimarcava il loro rapporto basato sulla fiducia ora che era un Favorito. Sapeva che ficcare il naso in mezzo alle pile dei documenti fosse un autosabotaggio. In poche parole si stava trasformando in Edwin! Represse un brivido. Non poteva essere la copia della persona che amava più di tutte. Strabuzzò gli occhi. Amava davvero così tanto a Edwin? Il suo amore sarebbe stato abbastanza? A un livello talmente degno? Ma soprattutto il suo amore sarebbe stato un'assicurazione a tenerlo a sicuro oppure avrebbe assunto i lineamenti contorti di quello di suo padre? Uno schioccare davanti agli occhi lo salvò dal tunnel di pensieri. Edwin lo guardava in attesa. Cercò aiuto da parte di Crystal ma lei era di spalle mentre prendeva il biglietto. Deglutì nervoso. "Niente, sto alla grande amico! È che voglio tenere la mente occupata sai dalla città sul mare" Un'altra dose d'acqua era stato il fatto che non riuscisse più a pronunciare il nome Port Townsend. Ogni volta era filo spinato attorno alla gola. Aveva in cambio inventato soprannomi fantasiosi: cittadella dell'occulto, buco di tutti i mali, luogo di gente di merda e il suo preferito, la baia dei gabbiani malvagi. Edwin assottigliò lo sguardo accusatorio. Ora sarebbe passato all'interrogatorio. Roteò gli occhi pronto alla serie di domande a cui avrebbe trovato risposte evasive. "Va bene, Charles" Disse con tono tremante. Quello non era il loro solito copione. Si girò verso di lui. Le labbra tremavano cercando di combattere un pianto imminente. "Se non ti fidi di me, non posso costringerti." Una coltellata alle scapole. "Ho cercato anche di chiedere a Tho... al Re Gatto e mi ha detto che devo aspettarti ma sembra che il momento non arrivi mai, pare che tu non mi ritenga capace di ascoltarti!"

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