Pagine Due-Tre

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16 Dicembre 2021

Nella mia vita, ho esplorato a lungo le vie della mente - ma non così a lungo da ritenermi un esperto. Tuttavia, c'è stato un periodo molto turbolento del mio passato in cui ho meditato ogni giorno per mesi, imparando così varie tecniche conosciute ai più che mi hanno permesso di acquisire parecchie conoscenze.

Ho imparato a raggiungere il silenzio, a conoscere il peso del mio corpo, i suoi confini, e a come respirare per espanderli fino alla stanza in cui mi trovavo, all'intero edificio del mio appartamento, alla città, alla vegetazione nella città, agli esseri umani e alle altre creature in essa.

Ho appreso come visualizzare me stesso come uno dei primi strati della realtà: tanti ve ne sono all'interno, quanti ve ne sono all'esterno, ed essi - seppur distanti - in fin dei conti comunicano e sono interconnessi, ed io con loro.

Ho imparato che certe volte i pensieri intrusivi possono in realtà celare visioni: alcune estremamente nitide, altre più simboliche e misteriose - e che non sempre si deve cercare il silenzio... altre volte si devono inseguire le immagini.

So che i sentimenti possono trovarsi all'interno del corpo, e nel mio caso so che la rabbia è nello stomaco, l'ansia è al centro del petto, la paura nelle viscere, la tristezza e la gioia sono all'altezza del cuore, e la serenità è al centro della fronte.

Ho imparato a guardarmi nello specchio e a trovarvi le ombre, a distruggere i confini materiali di una penna tenendovi fisso lo sguardo e l'attenzione abbastanza a lungo, e ho percepito la sensazione impellente di dover uscire dal mio corpo, liberandomi dal suo peso.

Ho vissuto tutte queste esperienze, e fra queste ho anche esplorato la perdita di senso che raggiunge la mente quando si comprende che la suddivisione di ciò che guardiamo in oggetti, categorie e concetti è una mera illusione, così come le numerose sovrastrutture che questa manifestazione di noi stessi ha dovuto assumere nel compromesso dell'esistenza.

Verso la metà del mio solitario apprendistato, quasi senza darvi particolare importanza, ho scoperto la tecnica che richiede la distensione del pensiero, della mente, e delle tensioni del corpo, concentrandosi sull'orizzonte lontano dello spazio sconfinato che appare dietro le proprie palpebre quando si chiudono gli occhi.

Pochi giorni fa, mentre richiamavo alla memoria questa tecnica e la mettevo in pratica durante una meditazione, ho avuto la sensazione che lo spazio sconfinato che stavo osservando non includesse affatto solo il retro delle mie palpebre. Ma che, effettivamente, ci fosse qualcosa - che dico, un intero, immenso regno in attesa di essere esplorato, accessibile attraverso questo sguardo.

Dopo alcuni minuti in cui ero immerso in questa realizzazione, ecco che una seconda intuizione mi ha raggiunto. Un pensiero intrusivo, prodotto da chissà quale meandro del mio subconscio, ha espresso un semplice concetto, proponendolo come una reale possibilità: scendere delle scale. Delle scale che non ho davvero visto, ma della cui esistenza in quello spazio sconfinato sono stato improvvisamente consapevole.

H.H.

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