Capitolo IV: Masamune

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Parte dell'esercito giapponese era sotto il suo controllo, marciando dal lato est tra la fitta boscaglia si preparava a spingere l'esercito cinese dal lato ovest.
I tamburi risuonavano come tuoni e un lieve venticello alzava polvere dalla terra arida sotto i piedi dei 13.000 soldati pronti a liberare Sakai e le zone circostanti dagli stranieri.
Sarebbe bastato un unico cenno e la battaglia avrebbe avuto inizio.

Sullo stallone bianco sfoggiava la sua Nodachi, accuratamente affilata durante l'ultima sosta, risultava lucida e brillante sotto i raggi del cocente sole rosso.
Dietro di sé la turchina si stringeva alla sua schiena premendo la guancia contro l'armatura fredda e dura, osservava per pochi attimi prima di richiudere le palpebre con forza, spaventata ma completamente fiduciosa che sarebbe bastato poco e tutto quel trambusto sarebbe terminato riportandola alla quiete.
Prima di avventurarsi sul campo Sadama – uji l’aveva avvertita, scongiurata di rimanere in tenda, di non seguirlo perché avrebbe messo in pericolo anche la sua di vita e se, in un primo momento, quel pensiero l’aveva fatta cedere subito dopo si era imposta nuovamente rassicurandolo che non sarebbe stata di intralcio ma che avrebbe preferito stare al suo fianco perché ormai era in suo possesso e lasciare qualcosa di così prezioso, come una maiko pagata fior di quattrini, sola in un luogo pieno di uomini, non era una grande idea.

Ed ora eccoli lì, nell’inferno in terra.

Per averla, Sadama – uji, aveva implorato la padrona della casa del tè cedendo infine alla sua offerta: un finanziamento per la costruzione di altre case da tè nei suoi feudi, inoltre lui gli doveva protezione perché, a quanto la donna aveva lasciato intuire dai suoi strani modi, la maiko, valeva più di qualche quattrino.
Il suo prezzo, a suo dire, non era neanche lontanamente vicino a quello che lui le avrebbe offerto in cambio.
Rimase, dunque, nell’astuta testa di Sadama Satsuma uno strano timore, un dubbio sulla sua incoscienza nell’accettare tale patto.
Una protezione dovuta, ma da chi?
E perché tanta ansia e preoccupazione per la vendita di una singola maiko?

Gli urli della battaglia rimbombavano nella pesante aria prima della sera, i primi schizzi di sangue si infransero contro il viso temerario del guerriero, la grande e lunga arma impugnata a due mani tranciava i corpi dei nemici, piena d'odio per ciò che avevano osato fare al suo popolo.
L’altra gli rimaneva ben infilata al lato della vita picchiettando, di tanto in tanto, la sella e la pelle dell’animale in un ritmo cadenzato, così regolare da sembrare una innaturale melodia.
Quel sentimento impuro ribolliva nelle sue vene modificando il suo viso, che seppur duro nei lineamenti mai era stato tanto spaventoso; i denti digrignavano con forza, le sopracciglia si arcuavano e lasciava liberare dai suoi polmoni grida simili a ringhi di una belva spaventosa che con i suoi artigli squarciava corpi che disarmati crollavano al suolo schiacciati dai possenti zoccoli del destriero adornato nella sua criniera da trecce rosse e perle nere.
Le braccia della più piccola lo stringevano con sgomento, sentiva i suoi singhiozzi mentre con rabbia e rancore faceva strage in onore della sua gente.

- Per Sakai! -

Urlò seguito dai suoi combattenti, il suo flagello alzato in segno di gloria.
Più veloce proseguiva per il suo cammino parando a non finire i colpi delle umili spade dei cinesi, tagliandole e facendole a pezzi insieme ai loro padroni.
Niente e nessuno poteva contro la sua Nodachi e consapevole ed orgoglioso com’era, al pari di un Dio della Guerra, Sadama non si fermava.

Sentì piagnucolare seguito da un singhiozzo più forte dei precedenti, eppure era ovattato, quasi lontano, un suono che parve non provenire dalle sue spalle ma più in profondità, in un luogo lontano della sua mente.
Rinsavì, consapevole che in quei minuti di perversione la ragazza dietro di sé non aveva mai visto da vicino così tante vite spezzate e il sangue caldo sulle vesti pregiate era solo un insulto alla sua bellezza e purezza.
Fece voltare il suo cavallo davanti all'esercito cinese ammirando ciò che con la sua arma aveva compiuto.

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