Camilla stava percorrendo la strada con la sua bicicletta. Pedalava, adorava sentire l'aria nei capelli.
Presto la strada di cemento divenne più sabbiosa, e prese una stradina secondaria, dove il cemento aveva dato spazio all' erbetta e la sabbia.
Camilla appoggiò la sua bici su un palo della luce, e percorse un piccolo tratto a piedi, su una stradina di ciottoli, che portava sul lungo mare.
Si tolse le infradito, e percorse svariati metri, se non chilometri, sul bagnasciuga.
L' acqua che le sfiorava i piedi era ancora tiepida.
Raggiunse una torretta, e si sedette sugli scalini, ad osservare l'immensità del mare.
L' aria si stava facendo fresca, e il sole stava calando.
Stava pensando.
Pensando che quella sarebbe stata l' ultima estate che avrebbe passato lì a Jesolo.
Andava li ogni estate, e non riusciva a immaginare che il prossimo anno non avrebbe più visto quella incantevole città, tra spiaggia, sale giochi, bar, mercatini, passeggiate, biciclette, e l' aria fresca della notte.
Non sapeva, però, che quella sarebbe stata l'ultima estate della sua vita.
Ora il vento soffiava più forte, così decise di tornare a casa da sua madre e dalla sua sorellina.
Tornò dove aveva lasciato la bicicletta, ma non c'era più: era sparita. I pensieri di Camilla andarono subito ai ragazzi del paese, delinquenti che non avevano altro da fare se non dare fastidio alla gente. Però doveva anche ammettere che se l'era rischiata, lasciandola lì i custodita.
«Maledetti quei brutti...»
Sì girò di scatto, senza riuscire a finire la frase. Un rumore simile ad un bastone che si spezza catturò la sua attenzione. Andò a controllare fra i pini marittimi, pensando che i ragazzi che le avevano rubato la bici fossero lì, ma nulla. Sarà stato un animale, un gabbiano forse... pensò per tranquillizzarsi, l'atmosfera si stava facendo inquietante.
Decise di tornare a casa a piedi e che alla bicicletta ci avrebbe pensato in un secondo momento.
Dopo circa dieci minuti buoni di camminata, arrivò finalmente a casa, la sua piccola, ma confortevole, casa sul mare. Cosa si poteva desiderare di più? Certo, non ci sarebbe più tornata, ma stava cercando di godersi al meglio ogni ultimo istante.
L'avevano comprata ancora quando il suo patrigno era vivo, prima che morisse da un incidente in montagna. Era caduto rovinosamente da un burrone. Il suo cadavere era pieno di tagli e graffi, aveva schegge perfino negli occhi. Soprattutto negli occhi. Lei lo sapeva, lo aveva visto. Non avrebbe potuto, ma lei aveva disubbidito, quando i medici del pronto soccorso erano impegnati. Aveva solo undici anni. L'aveva sempre odiato, ma la cosa era reciproca per entrambi. Non che fosse felice della sua morte, sarebbe stato crudele. Forse.
Fece per aprire la porta, ma si rivelò chiusa. Bussò un paio di volte chiamando sua madre e sua sorella.
«Ma'! Ma'! Gioia! Ehi sono io! Aprite!»
Ma l'unica risposta che ricevette fu lo starnazzare di un gabbiano.
Il panico cresceva lentamente, come una malattia che infetta ogni secondo di più. No si disse Staranno guardando la tv con il volume alto, niente di che.
Decise di tentare di entrare dalla finestra, che di solito lasciavano aperta per far arieggiare. Con sua fortuna, essa era aperta, così scavalcò ed atterrò sul pavimento della cucina.