30- Famiglia insieme

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LAVINIA

Il viaggio è stato tranquillo e soprattutto silenzioso.
Alla fine io e Monica abbiamo preso un treno per andare a un paio d'ore di distanza dove, in pratica, ho vissuto per tutta la vita fino alla morte di mamma e papà.

All'inizio ammetto di essere stata parecchio nervosa, ma una volta salite Monica si è fatta i fatti suoi e i momenti in cui ci siamo rivolte la parola si possono contare sulle dita di una mano.

Non che mi sia dispiaciuto, anzi, non sono proprio brava a intavolare o intrattenere le conversazioni.

Ho avuto comunque modo di osservarla.
Penso che il suo silenzio sia dovuto a una forma di ansia mista a nervosismo.

Tutt'ora non comprendo appieno i motivi che l'hanno spinta ad andare trovare papà, ma forse è difficile per chiunque comprendere, per chiunque non abbia vissuto quello che ha vissuto lei.

A un certo punto ho acceso le cuffie e fatto partire la musica, rispettando il suo silenzio e lei il mio.

Ma ora siamo arrivate ed è proprio Monica a interrompere il gioco del silenzio.

«Che si fa? Dove dobbiamo andare?»

La guardo mordersi le pellicine delle dita della mano sinistra e il suo nervosismo mi arriva in maniera piuttosto chiara.

«Da questa fermata ci vogliono una ventina di minuti a piedi. Se te la senti possiamo...»
«Me la sento.» afferma decisa.
«Ok, allora direi che possiamo andare.»

Mi avvio per prima subito affiancata da lei.

«Sembra carino qui. Non ci sono grandi palazzoni.»
«Sì, è vero, è molto più piccolo rispetto a dove viviamo ora.» prendo un lungo respiro prima di confessarle che «A papà non è mai piaciuta la confusione. Ha trovato lavoro qui prima ancora che nascessi e si è trasferito con la mamma. Non si è mai mosso se non per andare a trovare la nonna.»

La guardo con la coda dell'occhio e mi sembra quasi di sentire il flusso dei suoi pensieri.
Starà pensando che io non ero ancora nata...ma lei c'era già.

«Tu sei cresciuta da un'altra parte vero? Giulio mi ha detto di averti incontrata...»
«Sì, mi hanno affidato a una casa famiglia parecchio distante. E anche i miei genitori affidatari erano di quelle parti.»

Annuisco ascoltando senza interromperla ma non riesco a non chiederle: «Hai dei bei ricordi della casa famiglia o...?»

Monica scrolla le spalle. Non ricambia mai il mio sguardo; i suoi occhi sono fissi sulla strada.

«Non sono mai stata maltrattata, se è questo che intendi, ma nemmeno inondata d'amore, Lavinia. Eravamo davvero tanti bambini.»

Siamo cresciute in maniera così diversa...

«E non hai rincontrato nessuno di loro in questi anni?»

Scuote la testa piano prima di rispondere.

«Mah, sai posso solo parlare a nome mio, ma non è che morissi dalla voglia di rivedere qualcuno in particolare. Non sono mai stata in grado di stringere alcun legame vero. Un'amicizia profonda, di quelle che restano per la vita. Nonostante a unirci ci fosse un passato di merda, chi più chi meno, ciascuno di loro mi avrebbe ricordato uno squarcio di vita, lunghissimo eh, che io volevo solo accantonare.»

Camminiamo per un altro po' in silenzio poi sono sempre io a spezzarlo chiedendole: «Perchè hai scelto di trasferirti da noi? Perché hai lasciato casa di Giulio?»

Un lampo di tristezza passa dai suoi occhi e io riesco ad afferrarlo.

«Avrebbe avuto senso rimanere? Se sono ritornata era solo perché credevo in qualcosa. Credevo in noi, in lui. Giulio è l'unica persona al mondo ad avermi trattata diversamente. L'unico a cui mi sia mai sentita veramente legata. Ma sai, Lavinia, io ho il brutto vizio di distruggere ogni cosa bella che tocco.»

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