cap 1 ˖⋆࿐໋ Calista

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Sono sempre stata perseguitata dalla solitudine, per tutta la mia vita. Un sentimento di vuoto che riempiva il mio corpo e mi toglieva il respiro, anche se ero circondata da una folla.

Non ho mai odiato stare da sola, peró. Per questo l'estate è la stagione che preferisco. Posso distaccarmi dalla vita di tutti i giorni, creare la mia bolla di pace.

Una flebile luce filtra dalle serrande. I primi fringuelli iniziano a cantare.

Scendo dalle scale, in punta di piedi. Salto l'ultimo gradino — ho imparato anni fa che scricchiola se ci cammini sopra. Apro la porta del retro, facendo attenzione a chiuderla senza far rumore.

Mi dirigo verso la spiaggia. Posso già sentire il profumo di sale, il suono delle onde che si scontrano con gli scogli.

Seduta sulla sabbia, chiudo gli occhi e inspiro l'aria salubre. La calma mi riempie, rilasso i muscoli, il vento sposta i miei capelli.

Questo è uno dei momenti magici che cerco, e mai trovo in città. Riesco a convincermi che essere sola non è così male, alla fine. Nella mia mente non rimbomba quella frase.

("Non hai nessuno, ricordatelo")

Entro in acqua fino alle ginocchia, facendo attenzione a non bagnare il vestito bianco. Sorrido al mare, sorrido ai gabbiani che volano sopra di me, sorrido alle conchiglie. Se sono loro i miei amici, non ho bisogno di altri.

Quando il sole è alto, torno alla villa. Riesco a scivolare sotto al lenzuolo prima che loro si sveglino. Mi abbandono a qualche ora di sonno, e sogno. So di sognare, di farlo sempre, ma non ne ho mai il ricordo.

Quando mi risveglio è con il profumo di pane appena sfornato e una melodia cantata da mia nonna. Tutto ció mi provoca nostalgia, un piccolo coltello che disegna un cerchio nel mio petto, strappa un lembo di pelle. Mi guardo allo specchio, il riflesso mi osserva con un'espressione malinconica. Intreccio i capelli, li lego con un nastro.

Il passo sul primo gradino è leggero, si appesantisce mentre scende. Tengo lo sguardo puntato verso il basso, conto le venature sul legno del pavimento. Quando sento il mio nome quasi non me ne accorgo, il dito traccia un cerchio sul marmo. "Calista." — Cal, Cal, Cal. Mi chiamo Cal. Alzo lo sguardo. Occhi blu — non il blu del mare, ma quello di un cielo d'inverno. Sbiadito, spento. — mi guardano, mi sgridano senza parlare. Dafne ha le braccia incrociate, i suoi capelli ormai bianchi splendono in controluce.

"È tardi. Spero che tu non abbia deciso di fuggire in spiaggia di nuovo." il tono che usa è accusatore, ma accondiscendente. Come se stesse parlando con una bambina. I suoi lineamenti sono ancora visibili, armoniosi e affilati sotto le rughe. Simili a quelli di mia madre. Osservo il suo viso per un altro secondo, per poi rispondere con un veloce "No".

Ovviamente non ci crede, scuote il capo e si volta. La colazione che mi aspetta sul tavolo è invitante, mastico e mando giù senza pensare. Mi sembra di avere del cotone nelle orecchie, i suoni mi arrivano ovattati.
(La voce di mia madre risuona nella mia testa, le sue parole si ripetono così velocemente che perdono significato.)

A volte mi chiedo se esista un modo per sparire, semplicemente non esistere più. La morte, cambiare identità. Per me non sono abbastanza. Essere un concetto, quello mi soddisferebbe. Un'idea, nient'altro. Il raggio di luce che colpisce l'acqua, il morso che divide la fragola lasciando il segno dei denti, realizzare che non si è più bambini. I famosi sogni nel cassetto, la melodia di un vinile trovato in soffitta. Vorrei essere tutte queste cose, ed essere nulla allo stesso tempo. È un desiderio irrazionale, che vorrei sopprimere e nascondere, ma divora la mia mente.

Forse sono già scappata, qui non sono nessuno. Sconosciuta, non Calista. Calista. La lingua batte sul palato duro per poi finire sui denti. Calista. L'egoismo di mia madre : le prime tre lettere copiano il suo, di nome. L'ironia di Calliope, la facilità con cui incolpa me di egoismo, il mio più grande peccato. Quanto è semplice riversare i propri delitti sul tuo sangue! Riesco a sentire la pesantezza del suo sguardo sul mio corpo. Deglutisco e porto di nuovo la tazza alle labbra, il latte ricopre la mia bocca con una patina dolce.

Le mie dita trovano il fiocco che racchiude i miei capelli, lo tirano, lo sciolgono e lo stringono. Ho le braccia ricoperte da lentiggini, regalo del sole e della crema solare che dimentico sempre di usare. Ancora chiusa, dimenticata sul mobile di legno in bagno.

Dafne mi chiede di andare a comprare alcune cose, mi allunga una lista sul tavolo, un foglio ingiallito e una calligrafia elegante. Annuisco e la prendo, le mie dita sfiorano le sue. La pelle fredda mi ricorda lei, mia madre, un'altra caratteristica che le accomuna. Aggiunge anche delle banconote, "puoi tenere il resto, comprarti qualcosa che ti piace". Non è un gesto di gentilezza, ma di pietà. Mi ricorda di non parlare con nessun ragazzo — è un modo per intrappolarmi, tenermi per sempre innocente, la principessa rinchiusa nella torre in cui morirà? Una trama noiosa, troppo ripetuta, la mia famiglia è il drago maligno che mi "difende".

Quando mi alzo la mia vista viene accecata da migliaia di punti neri — barcollo, ma le mie ginocchia mi tengono in piedi. Una mano supporta il mio peso, si appoggia al tavolo. Dita che si piegano, una posa innaturale. Appena sono fuori dalla cucina infilo la carta e i soldi in tasca. Vicino alla porta ci sono i miei stivali, in giardino il caldo è soffocante. Ci sono api, scarabei e farfalle che ronzano, volano, danno vita all'ambiente. Un passo dopo l'altro — stivali che picchiano sulla pietra — raggiungo il centro della cittadina, il sole si concentra sul mio capo. Mi chiedo se possa sciogliere il mio cervello, rendere muti i pensieri.

Raggiungo l'unico negozio che vende alimenti. C'è una targa blu, una scritta in corsivo, una campanella suona quando entro. Il proprietario di mezza età mi sorride. "La nipote di Nico e Dafne, giusto?"

Annuisco imbarazzata, un timido sorriso — a labbra chiuse — appare sul mio volto. "È bello avere qualcuno di nuovo qui, anche solo per l'estate. Sai, ci si annoia. Sei una grande novità per noi." aggiunge. Non credo ci sia una risposta per ció che ha detto, o almeno io non ne trovo una. Appoggio la lista sul bancone, "Vorrei anche delle ciliegie, grazie" aggiungo.

Dieci minuti dopo mi trovo fuori, una borsa in mano, un foglio accartocciato in tasca. L'uomo ha parlato tutto il tempo, eppure non ricordo le sue parole. Il mio cervello non le ha registrate, come una videocamera rotta. Solo alcune sono rimaste, volteggiano nella mia mente — "altro" "tornato" e infine, "Auclair". Trovo una panchina e mi siedo, la borsa vicino a me. Strappo una ciliegia dal gambo, trovo il nocciolo, lo sputo. Rimbalza per terra e si ferma. Il gusto zuccherato mi rimane sulla lingua. (Sarà in grado di crescere, trovare una fessura tra le le pietre e diventare un albero?)

Una leggera brezza mi spettina i capelli, come il tocco di un amante. Una goccia di sudore scende sulla fronte, termina il suo percorso sul labbro superiore. La lecco, il sapore salato cancella quello della ciliegia.

Torno a casa, senza una parola lascio la borsa sul tavolo. Esco di nuovo, nessuna domanda — gli occhi di Dafne passano sul mio corpo, indagatori, gelidi, spenti.

Tutto è un labirinto, penso, mentre prendo una strada che non conosco. Non importerebbe, se mi perdessi. Da bambina immaginavo di essere Alice, di cadere in un mondo fantastico — avevo implorato mia madre di comprarmi un coniglio bianco per anni, non aveva mai ceduto — ma crescendo ho imparato che saró sempre Calista. È inutile cercare di scappare dalla propria realtà, questo lo riconosco, eppure non riesco ad accettarlo.

Perdo il conto dei minuti, mi ritrovo in un giardino. Una voce maschile —armoniosa, ma con un tono infastidito — mi arriva alle orecchie. Il mio corpo gira come se animato da una forza propria, che non mi appartiene. Mi ritrovo con la schiena appoggiata ad un albero, il lato opposto da cui arriva la voce.

"Non mi interessa. Ho detto di no. La casa è mia, come il terreno che appartiene ad essa. Nessun giardiniere entrerà qui. Me ne prenderó cura io stesso." una seconda persona fa un verso d'assenso, sento dei passi allontanarsi — mentre altri si avvicinano al mio albero.

L'istinto mi dice di scappare, il cerbiatto che sente l'odore del lupo. Corro, un piede davanti all'altro — una mano intorno al mio braccio, la mia figura che viene girata a forza, l'impatto con un altro corpo, testa contro petto. Un profumo intenso, vivo.

"E tu chi saresti, ragazzina?"

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 03 ⏰

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