Capitolo 1

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"Emma, mi stai ascoltando?"
Alzai finalmente lo sguardo dal piatto e spostai gli occhi verso la mia migliore amica.
Grace Hallow era sempre stata una ragazza bellissima: i capelli rosso fuoco le ricadevano sulle spalle e gli occhi verdi erano molto espressivi. Quindi non mi fu difficile capire che, in quel momento, si stava innervosendo.
"Eh?" le chiesi, continuando a sostenere il suo sguardo truce.
"Ecco, non mi stavi ascoltando" confermò lei. Non ebbi il tempo di rispondere che lei mi interruppe.
"Ti stavo parlando del nuovo giocatore della squadra di football, dicono tutti che è molto bravo."
"Chi è?" mi finsi interessata.
"Probabilmente lo conosci, andavate nello stesso  liceo. Si chiama Logan" fece una breve pausa.
"Mi sfugge il cognome."
Non mi ricordavo di aver mai avuto a che fare con uno di nome Logan, pensai. Mi ricordai anche, però, che non ero molto socievole nella mia vecchia scuola, quindi avrebbe potuto benissimo esserci, solo che non me lo ricordavo.
"Eccolo, è lui!" disse Grace, indicandomi un tavolo poco distante dal nostro, nel quale mangiavano i  giocatori di football . Seguii il suo sguardo e i miei occhi si posarono su un ragazzo moro che, nonostante si vedesse solo la schiena, mi sembrava abbastanza alto. Logan si girò improvvisamente verso di noi e, quando i nostri occhi si incontrarono, sussultai.
Connor.
Lui è Logan Connor.
Non avevo collegato prima.
Cazzo.
"Chissà se è davvero bravo o è qui solo perché il padre ha supplicato la scuola per prenderlo. Ho saputo che la sua famiglia è ricca, quindi non mi stupirei se avesse chiesto al padre di raccomandarlo" pensò ad alta voce Grace.
È bravo davvero, avrei voluto rispondere, ma preferii tacere. Sapevo che i suoi genitori erano due avvocati e, di conseguenza, sapevo che Logan fosse benestante, ma non aveva buoni rapporti con il padre, per lui suo figlio era sempre stato meno importante della sua carriera e della sua vita privata. Perciò mi sembrava assurdo che Jake Connor avesse chiesto tale favore alla scuola. Ad affermare la mia tesi era sicuramente il fatto che Logan fosse il più forte della sua squadra, si allenava tutti i giorni, riuscendo sempre a mantenere una media di voti alta. Potrei sembrare di parte, ma mi rifiuto di credere che lui sia entrato qui solo grazie al signor Connor.
"Quindi lo conosci, eh?" mi stuzzicò Grace.
"Perché lo chiedi?" mi misi subito sulla difensiva.
"Perché da quando lo hai visto sei diventata bianca come un cadavere".
Colpita.
Affondata.
Completamente fregata.
Fortunatamente la madre di Grace la chiamò poco dopo così la conversazione cadde e io evitai di rispondere alla domanda.

L'unico corso pomeridiano a cui avrei partecipato quel giorno era letteratura. Arrivata in classe mi sedetti nel primo banco vuoto.
"Emma" mi salutò una voce familiare. Victoria Morgan corse verso di me, sventolando le mani al cielo, come se volesse abbracciarmi. I capelli castani erano avvolti in una crocchia disordinata lasciando che alcune ciocche ricadessero sul maglioncino bianco. Gli occhi, nonostante fosse mattina presto, erano truccati perfettamente. Io avevo smesso di truccarmi, dato che la mattina ero così stanca da farmi venire gli occhi neri provocati dal mascara in eccesso. Solo che, adesso, le borse sotto agli occhi erano molto più visibili di prima e, soprattutto, erano molto più nere. E io sapevo benissimo il perché.
"Finalmente, Vic!" ricambiai velocemente l'abbraccio che, come avevo pensato, mi diede. In effetti, d'estate non ci vedevamo mai perché trascorreva sempre le vacanze in Messico dalla sua famiglia paterna. Era bello riaverla di nuovo con noi, infatti, Grace, Victoria ed io eravamo sempre state un trio fin dalla nascita, infatti le nostre mamme ci soprannominavano sempre "sorelle di culla".
"Allora, novità?" iniziò subito ad indagare.
"Nulla Vicky" risposi subito.
"Papà mi ha detto del nuovo giocatore di football" azzardò. Victoria era figlia di Edward Morgan, il coach della squadra di football della scuola, perciò immaginai che Vicky sapesse un po' di cose su di lui come ad esempio che eravamo andati nella stessa scuola.
"Sai, ha frequentato anche lui la Kennedy..."azzardò la mia migliore amica, tenendo gli occhi puntati sui miei.
"Già" dissi io, impassibile.
"Vi conoscete?" disse finalmente. Conoscevo così bene Victoria che avrei giurato che quel discorso lo avesse aperto apposta, solo per farmi parlare. Da quando mi trasferii per la seconda volta alla Evans, solo qualche mese fa, le mie migliori amiche pensavano che io avessi avuto dei problemi con qualche ragazzo, dato che ero diventata molto più strana del solito. Ovviamente erano completamente fuori strada, però preferii questo al dargli qualunque altra spiegazione.
Ma, per la seconda volta in quella giornata, non riuscii a rispondere.
A volte la fortuna passava anche da me.
In classe, infatti, entrò sbattendo la porta la professoressa Eliot, facendo cessare di parlare tutti gli studenti. Posò la valigetta sulla cattedra e ci salutò familiarmente, chiedendoci poi come fossero andate le vacanze. Sabrina Eliot non era la classica professoressa: veniva a scuola con maglioncini dai colori sgargianti e jeans a vita alta. I capelli biondo cenere erano sempre pettinati in una coda di cavallo. Non era, però, per l'aspetto fisico che era amata da tutti i suoi studenti: era la voglia che aveva di trasmetterci le conoscenze che aveva appreso, il suo modo di spiegare la letteratura da farne innamorare tutti, persino quelli che odiavano tutte le materie, il suo modo di creare un'atmosfera piacevole in grado di coinvolgere tutti. La professoressa amava quello che faceva ed era una grande fonte d'ispirazione per tutti.
"Bene, ragazzi. Oggi potremmo cominciare con lo studio di una frase di Gustave Flaubert. A qualcuno andrebbe di leggerla?" chiese, nel mentre proiettava una frase sulla lavagna elettronica. Sara alzò la mano e, dopo il permesso dell'insegnante, iniziò a leggere:
"Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come fanno gli ambiziosi, per istruirvi. Leggete per vivere"
La frase mi fece incuriosire subito. Avevo iniziato a leggere quando ero molto piccola e non avevo mai smesso. La lettura era sempre stata il mio luogo sicuro: quando alle medie le compagne mi escludevano perché non ero come loro, la prima cosa che facevo era prendere un libro in mano e immergermi nelle pagine ingiallite. Lì non ero più una bambina che voleva fuggire dalla realtà, ero la spalla destra di Capitan Uncino, ero la volpe del Piccolo Principe ed ero la ragazza di cui il protagonista si innamorava fin dalle prime pagine del romanzo. Quando prendevo in mano un libro mi sentivo finalmente libera, amata e capita, mi sentivo semplicemente me stessa. I libri erano la mia salvezza e lo sarebbero stati per sempre.
In classe partì un dibattito acceso sulla verità, o meno, di questa frase. Non alzai la mano neanche una volta perché avevo troppo timore di dire qualcosa di sbagliato, per cui sarei stata giudicata negativamente dai miei compagni e dalla mia insegnante.
C'erano davvero tante cose che avrei voluto dire, ma solo anni dopo mi sarei resa conto di quanto le mie parole fossero giuste.

Come una goccia d'acqua nel mareWhere stories live. Discover now