Dopo poco più di una settimana, mi ritrovai di nuovo a cucinare una frittata per mia sorella. Mamma era a lavoro, o almeno era così che ci aveva detto.
"Non mangi, Emmy? Hai già mangiato?"
Mi chiese lei, improvvisamente. Quella volta decisi di non mentirle.
"No, Summy, non ancora" sospirai.
"Tieni!" esclamò mia sorella mentre mi metteva nel piatto vuoto metà di ciò che era rimasto della sua frittata. Non era molta, ma per me era comunque troppa. Non fiatai di fronte a questo gesto, che mi fece sciogliere il cuore.
"Grazie" sibilai debolmente. Summer continuava a guardarmi silenziosamente, così capii che non si sarebbe alzata dal tavolo finché non avessi mangiato tutto.
Non appena ingoiai il primo boccone fui travolta da un'ondata di sensazioni diverse: il mio stomaco sembrava chiederne ancora e pareva essere insaziabile. Il palato era estasiato dalla bontà di quella frittata, tanto che mi complimentai mentalmente con me stessa per le mie doti culinarie.
Sfortunatamente però arrivò anche lui, come sempre, a rovinarmi il momento: il senso di colpa. Appena sarei tornata in camera e avrei fatto almeno cento addominali, questo mi ero promessa, mentre continuavo a mangiare.
"Ti piace?" mi chiese mia sorella.
"Si, molto" le risposi sincera.
"Allora perché non la mangi mai?" la sua domanda mi fece ammutolire.
"Dai, Emmi, perché non lo fai? Mi piaceva mangiare con te e adesso non lo facciamo più" si lamentò, mentre il senso di colpa riaffiorava lentamente dentro di me. Per un motivo diverso da prima, però. Di solito, dopo aver cucinato con il nonno, facevo sempre assaggiare a mia sorella le mie ricette e lei mi dava un voto, sempre altissimo. Non lo facevamo più da molto tempo.
"Di solito mangio sempre dopo di te perché mi riduco sempre a dover fare i compiti la sera"
"Quindi mangi?" mi chiese.
"Ma certo"
Un'altra bugia.
Assottigliò gli occhi per qualche secondo come se potesse capire se stessi mentendo o meno, poi posò il piatto nel lavandino e tornò in camera sua.Mentre ero sdraiata sul letto a leggere, il mio telefono squillò. Non avevo intenzione di rispondere, fin quando non lessi il nome sullo schermo.
"Vicky?"
"Emma, sì, sono io. Sei a casa?"
"Si"
"Che ne dici di vederci al Brain's?"
"Ora?" chiesi. Non avevo programmato di uscire quel pomeriggio e me ne sarei rimasta volentieri a letto.
"Si, è da tanto che non parliamo"
"Ci siamo viste oggi a scuola..." provai a dirle.
"Intendevo da sole" mi rispose lei, secca.
"E va bene" la accontentai.
Dopo un'ora ero davanti al nostro bar preferito. Non era molto grande o particolare, ma per me rimaneva sempre bellissimo: le pareti colorate di rosa salmone contornate da quadri rossi, contenenti immagini di paesaggi bellissimi ti mettevano perfettamente a tuo agio; Il bancone di legno che è sempre pieno di piatti pronti, caffettiere e ciambelle, lasciando poco spazio alla cassa che è sempre piena di clienti.
"Allora, come stai?" mi chiese, portando alla bocca la prima forchettata di omelette.
"Bene, Vick, esattamente come stamattina" ribattei con poco garbo.
"Lo so che ci vediamo sempre a scuola, ma non riusciamo mai ad avere una conversazione normale perché potrebbero sentirci, perciò ci riduciamo sempre a parlare di sciocchezze o, come nell'ultimo periodo, a non parlare per niente" i suoi occhi azzurri mi trafissero, facendomi sentire in colpa.
A marzo della seconda liceo mi ero trasferita, senza dare spiegazioni a nessuno, in un'altra scuola, la Kennedy. In quel periodo, avevo cercato il più possibile di mantenere le distanze dai miei vecchi compagni, anche dalle mie migliori amiche, perché non volevo parlare con nessuno di cosa mi stesse succedendo. A settembre di quest'anno, però, dopo una serie di sfortunati eventi, sono stata obbligata a tornare nella mia vecchia scuola, quella attuale, tagliando i rapporti con i pochi nuovi amici che mi ero fatta, tra cui Logan.
"Mi dispiace per tutto. Per essere andata via senza darvi alcuna spiegazione e aver cercato di allontanarvi. Solo che non mi piace parlare di me o aprirmi con gli altri" mi scusai, sostenendo il suo sguardo triste.
"Lo so Emma, davvero, ma mi piacerebbe davvero aiutarti"
"Non dispiacerti, davvero. Prima o poi le cose miglioreranno e con esse anche il mio umore. Così sarò finalmente pronta ad aprirmi. Solo non ora, ho ancora bisogno di tempo" le dissi per rassicurarla.
"Sai che io e Grace ci saremo sempre, vero?"
"Certo" le risposi sforzando un sorriso.
Sapevo bene che loro sarebbero rimaste al
mio fianco nonostante tutto, però non ero più sicura che ci sarei stata anche io per loro.
Nella restante ora, parlammo del più e del meno: lei mi raccontò delle sue vacanze, dove aveva conosciuto un ragazzo che le era fin da subito interessato e con cui era riuscita a rimanere in contatto. Poi mi parlò di sua madre, che aveva imparato a cucinare il giapponese e di sua sorella, Dora, che si era appena trasferita a Londra grazie ad un'offerta di lavoro importante. Io le raccontai dei miei zii, che mi avevano ospitata per tutte le vacanze e di Summer, che non smetteva di crescere.
Mentre chiacchieravamo, mi resi conto di quanto mi fosse mancato stare qui, con lei, al Brain's.
Mentre stavamo pagando alla cassa, notai un foglietto che sbucava dal bancone con su scritto "cercasi personale" che attirò subito la mia attenzione. Due anni prima avevo fatto la cameriera, per un weekend, nel ristorante della mamma di una mia amica e mi era piaciuto molto. In più in quel periodo, sentivo il bisogno di stare il più possibile lontano da casa e forse quella sarebbe potuta essere la soluzione perfetta al mio problema.
Mi voltai per vedere quante persone dietro di me stessero attendendo il loro turno per pagare e, vedendo che erano molte, mi promisi che sarei tornata a parlare con il titolare un altro giorno. Avevo dei dubbi sul fatto di chiedere un colloquio o meno. Sicuramente sarebbe stato faticoso, ma mi avrebbe anche fatto sentire meglio, cosa di cui in quel momento necessitavo parecchio. Così, mentre uscimmo dal locale, cominciai a pensare se fosse la scelta giusta.
Nel bel mezzo del tragitto vero casa, Vicky si fermò improvvisamente, indicandomi la scritta su una lavagnetta fuori da una pasticceria. Fissai la frase sbigottita, chiedendomi se fosse un segno del destino o solo un'assurda coincidenza.
La mia migliore amica, che era andata avanti, mi richiamò, facendomi presente che da lì a qualche minuto sarebbe cominciato a piovere così la raggiunsi. Dopo poco ebbi l'impulso di voltarmi nuovamente verso la scritta e di rileggerla un'ultima volta:Carpe diem, cogli l'attimo
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Come una goccia d'acqua nel mare
ChickLitEmma Gray ha solo diciassette anni, ma già è costretta a convivere con un mostro più grande di lei. Il problema è che lei non vuole sconfiggerlo, lei pensa che sia suo amico, e, finché resterà accanto a lei, sarà felice. Sente molte persone parlare...