Autoinganni a Luna Piena

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La sala del palazzo inondata di luce, come sempre, come la prima volta che vi aveva messo piede da bambino. I lampadari di cristallo riverberavano la luce dando all’ambiente l’aspetto di un fondale marino illuminato dal sole, o di una galassia colma di stelle scintillanti.
Tutto era troppo. Troppo luminoso, troppo pomposo, troppo GRANDE.
E se da bambino si era sentito pieno di stupore ed entusiasmo a quella vista, adesso si sentiva perduto, fuori posto, e sentiva sempre una stretta nel petto, acuta e inestricabile, proprio sotto lo sterno.

Forse per questo preferiva non entrare dall’ingresso, neppure quando il palazzo era vuoto e nessuno lo avrebbe potuto vedere insinuarsi nello spiraglio accuratamente accostato del portone. Preferiva fare il suo ingresso teatrale dal balcone, come in quelle serie adolescenziali americane in cui il teppistello si intrufola nella stanza della prima della classe in barba ai genitori di lei. Si era calato così bene nella parte che non si sarebbe sorpreso se gli fosse venuto naturale uscirsene con un’affermazione del tipo: “Sono qui bambolina!” Ma non c’era nulla di adolescenziale, di americano, di romantico. Erano – letteralmente – nel fottuto inferno e lui era solo quello che rendeva i sogni realtà, quello che realizzava tutte le fantasie più oscure e profonde del demone che ogni mese, nel giorno di luna piena, lo aspettava seduto sul letto nella penombra delle sue stanze.

“Hai fatto tardi Blitz” quasi un sussurro, nel buio, due paia di occhi cremisi leggermente socchiusi “Temo di aver iniziato da solo”
Lo sguardo di Blitzo percorse il viso del demone: gli occhi semichiusi, le guance irrorate di un leggero rossore, il becco appena aperto a regolare un respiro affannato. La vestaglia di seta rossa slacciata gli lasciava il petto e una spalla scoperta con le piume arruffate come se avesse la pelle d’oca. Pensò fosse un buffo modo di descriverlo, ma non c’era nulla da ridere in quella situazione. Percorse ogni centimetro del suo corpo con lo sguardo fino ad arrivare alle gambe schiuse, appoggiate ai cuscini damascati, e alle sue dita, che si accarezzavano pigramente, lente e insistenti.

Oh, era chiaro, erano già dentro il gioco.

Sentiva una leggera euforia, come una scarica elettrica al basso ventre. Sentiva il cazzo già duro premere contro i pantaloni attillati, una sensazione di calore prendergli il petto e la gola; ma non era lì per sé stesso, non era ­mai lì per sé. Se non avesse potuto soddisfare la propria urgenza animalesca, avrebbe almeno fatto in modo che fosse divertente, aveva intenzione di prendersi il suo tempo. Il gioco, dopotutto, era quello. Avrebbe potuto, anzi avrebbe dovuto fare a Stolas tutto quello che voleva: dolore, umiliazione, lode, nulla era fuori dall’accordo. Poteva spingere il limite sempre un po' oltre senza timore, dopotutto era una farsa, la creatura indifesa sul letto avrebbe potuto ucciderlo con uno schiocco di dita, e invece se ne stava lì a subire per il perverso piacere della resa, del totale abbandono di controllo.

Si avvicinò lentamente al letto, assicurandosi che il tacco dei suoi stivali facesse più rumore possibile sul marmo rosa.
Tac – tac… Tac – tac
Afferrò il viso di Stolas con una mano e gli strinse le guance con le dita in modo non troppo gentile.
“Non ti sai contenere Stols?” strinse ancora un po' per fargli aprire il becco “Ragioni con la tua figa da uccello?” gli lecco il becco. Stolas emise un suono confuso e acuto.
“Blitzy io mi stavo solo… preparando per te” sussurrò “volevo che… che mi vedessi.”
“Che vedessi quanto sei una puttana disperata?” il suo tono era saccente e irriverente, afferrò il polso di Stolas e allontanò le sue mani dal suo sesso. “Una piccola puttana che ha bisogno di essere messa al suo posto.”
Strinse i legacci rossi attorno ai polsi magri di Stolas, abbastanza stretti perché lasciassero lividi per giorni, il demone oppose una flebile e per nulla convincente resistenza. Blitzo gli afferrò le piume sulla nuca e lo costrinse a guardarlo negli occhi: “Quante volte te l’ho detto Stols?” affondò due dita dentro il suo sesso, lentamente, le sentì scivolare tra pareti umide, le sentì stringere per una contrazione involontaria.La sensazione della sua erezione nei pantaloni si stava facendo scomoda e frustrante.

Tirò fuori le dita dalla cloaca di Stolas e gliele pose di fronte al becco “Quante volte ancora dovrò dirti che questo è solo mio?” e nel dirlo spinse le dita nella gola del gufo facendolo soffocare. Stolas tossì e Blitzo lo lasciò andare per un momento. Gli accarezzò la guancia e gli sussurrò ancora:

“Lo sai uccellino, tu esisti solo per il mio piacere.”

Quel gioco era divertente, aveva qualcosa di catartico. Blitzo non era uno sciocco, sapeva che non c’era niente di vero; se era qualcuno a possedere l’altro, quello era Stolas, se qualcuno era lì come puro oggetto del piacere quello era Blitzo. Eppure, in quel gioco delle parti, lui poteva fingere per un momento di avere il pieno controllo, della sua persona e del suo piacere.
Forse per questo gli piaceva essere cattivo. Spingere sempre un po' oltre il limite di Stolas, un limite che non sembrava avere una fine, niente era mai troppo, sembrava sempre riuscire ad accendere qualcosa di inaspettato e oscuro nel suo amante.
E alla fine, nelle notti di luna piena, quando lo vedeva crollare, gemere, piangere, sussurrare il suo nome, solo in quel momento si concedeva di dimenticare che lui era soltanto un insignificante Imp; si concedeva di immaginarsi potente, importante.
E si concedeva per un momento, nell’angolo più profondo del suo cuore, di credere di essere, in qualche modo, per qualche misteriosa ragione, amato.

Autoinganni a Luna Piena -HELLUVA BOSS - (Stolas X Blitzo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora