Il pasto

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Il giorno seguente, una volta terminato il turno, salì sulla sua vecchia Fiat Uno e si diresse verso il quartiere di Scampia, poco distante. Erano quasi quattro anni che non faceva quella strada, e di questi quattro tre li aveva trascorsi in carcere, ma se la ricordava come fosse ieri. Non ebbe neppure difficoltà a riconoscere le vedette dei clan, ragazzini appostati nei punti strategici per segnalare qualsiasi movimento sospetto. Evidentemente fare il camorrista era come andare in bicicletta, una volta imparato non lo dimentichi più. Ripensò a quello che aveva passato, alla sua militanza nelle file del clan che controllava quel quartiere, alle risse da ragazzino, al suo lavoro di esattore e a come si era... sporcato le mani. Ripensò anche a sua moglie e a suo figlio, che ormai doveva avere cinque anni, e alla villetta che era riuscito a comprare appena prima che lo arrestassero, dopo l'omicidio di quel negoziante. Non avevano prove e alla fine ne era uscito pulito, dopo l'appello, ma i tre anni di galera lo avevano cambiato, forse, o forse si era fatto solo più furbo: aveva mollato tutto, e di conseguenza era stato mollato dalla sua signora. Non che gli dispiacesse, in fondo era solo una ragazza di quartiere e lo aveva fatto per proteggere se stessa, tagliare tutti i ponti con chi lasciava l'organizzazione era la regola. Avrebbe solo voluto vedere suo figlio di tanto in tanto. "Al diavolo, almeno sono ancora vivo!", pensò mentre parcheggiava: se fosse rimasto nella camorra, probabilmente a quell'ora starebbe marcendo in qualche pilone di cemento.

Raffaele scese dall'auto e si diede un'occhiata intorno: fra i casermoni tutti uguali risaltavano nettamente le Vele, con davanti parcheggiate macchine scassate e macchine di lusso, ragazzotti in attesa di ricevere ordini e bambini che giocavano qua e là. Se qualcuno lo riconobbe, fece finta di niente. Entrò nel portone.

Vincenzo viveva al sesto piano, e quando Raffaele uscì dall'ascensore lo trovò sull'uscio, che lo fissava con aria infastidita e interrogativa. "Cosa vuoi?", gli chiese prima che lui potesse aprire bocca (per fare cosa, poi, salutarlo?).

"Ho bisogno di chiederti una cosa, Vincenzo. Te lo chiedo come favore personale."

"Favori non te ne devo, Raffaele. Tu chiedi, e poi vediamo se voglio rispondere oppure no. Però non qui, vieni dentro."

Le tapparelle erano quasi completamente abbassate, ed era quasi buio, ma Vincenzo non accese la luce. I due si sedettero in salotto, senza alcun'altra forma di cortesia, e Raffaele iniziò a parlare, raccontando quello che aveva trovato nella discarica e le sue paure: era fondamentale che riuscisse a fargli credere che ci fosse un pericolo per il clan, se voleva ottenere qualche informazione. Vincenzo lo ascoltò senza fare commenti, senza neppure guardarlo in volto, come se non gliene importasse nulla di quello che stava dicendo. Alla fine si alzò e si avvicinò alla finestra, dandogli le spalle.

"Tu non devi ficcarti in faccende che non ti riguardano, non hai avuto il fegato di restare con noi, sei solo un vigliacco che ha abbandonato la sua famiglia. Quello che succede in questa città non ti deve riguardare."

"Vincenzo, se la polizia trova quei cadaveri, ci sarà un sacco di rumore attorno a questa faccenda, e magari è gente di un altro clan che vi vuole fregare."

"Ti ho detto di farti i cazzi tuoi. Noi sappiamo quello che dobbiamo sapere e facciamo quello che dobbiamo fare, magari sarà qualche stronzo slavo che si fa prendere la mano, magari no, ma a te non te ne deve fregare una minchia, Raffaele. Se continui a fare lo stronzo, troveranno il tuo di cadavere... tra i rifiuti. Finora ti è andata fin troppo bene, se vuoi la mia opinione."

Detto questo, il camorrista rimase in silenzio, nella stanza ormai quasi buia, a fissare qualcosa in strada, e Raffaele capì che non avrebbe ottenuto altro. La storia degli slavi gli sembrava una cazzata – se quei pezzenti avessero creato problemi ai clan sarebbero stati macellati nel giro di due giorni – ma doveva farsela bastare come spiegazione. Almeno ora sapeva che c'era sotto dell'altro, e che a lui conveniva restarne fuori. Si alzò e si mise il giubbino. "Grazie Vincenzo, ora vado, non ti faccio perdere altro tempo. Arrivederci."

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