Con il viso sempre più smunto dalle passeggiate notturne nei sei metri di casa sua, Raffaele continuò a lavorare, e per via dei turni, dopo una decina di giorni, gli toccò nuovamente quello serale. La grande discarica ormai lo spaventava mentre se ne stava ferma nell'oscurità della sera, illuminata a giorno dai grandi riflettori sistemati tempo prima dalla protezione civile. Se ne stava rintanato nel prefabbricato degli addetti insieme al capoturno, ormai erano quasi le ventidue, ancora un'oretta e avrebbe smontato, quando sul quadro comandi si accese una spia rossa. "Raffaele, guarda che qui segnala una perdita nel settore dell'umido. C'è da andare a controllare, altrimenti domattina siamo tutti a mollo nella merda!" Cazzo, gli toccava. "Guarda che se ci metti tanto ti lascio le chiavi sotto lo zerbino, che io devo tornare a casa da Maria", concluse il capo. Fantastico, un motivo in più per sbrigarsi.
Uscì dall'ufficio, si allacciò ben bene il giaccone cerato: faceva un freddo glaciale. Si incamminò lungo una stradina di rifiuti, addentrandosi fra cumuli alti una decina di metri, lasciando dietro di sé le luci del prefabbricato e ritrovandosi così, solo, sotto la luce bianca. Alcuni rumori, tutti provenienti da lontano, ma per il resto... niente. Raffaele era un fascio di nervi, era pronto a darsela a gambe al minimo segno di pericolo. Un paio di volte si fermò, paralizzato, convinto di aver visto qualcuno - o qualcosa - che lo fissava da dentro un'ombra: ma erano solo rifiuti persi in un mare di altri rifiuti. Guardò il muro di tufo, bianco nel riverbero, deserto. Cercando inutilmente di convincersi che andava tutto bene, raggiunse finalmente il settore dell'umido e la centralina di controllo, dove si accovacciò.
Armeggiò con lo sportello, che cedette di scatto e si aprì con un colpo, spaventandolo a morte. Si guardò intorno: il silenzio si era fatto totale, o era una sua impressione? Niente. Tornò a occuparsi della centralina e - vaffanculo - era solo saltato un fusibile. Non c'era nessuna perdita, e lui era lì a cagarsi addosso dalla paura per colpa di un fusibile del cazzo. Al diavolo, ci avrebbe pensato qualcun altro, la mattina seguente. Fra l'altro, freddo o non freddo, il fetore dell'umido era davvero stomachevole.
Richiuse lo sportello, si rialzò e si guardò intorno. Niente, nessun rumore, a parte quello che gli martellava nelle tempie. "Ma che cazzo, andatevene tutti a cagare!", concluse, ritornando verso il prefabbricato. Ormai erano le 23:05, quello stronzo di Michele probabilmente aveva già levato le tende, così avrebbe pure dovuto chiudere lui. A questo cercava di pensare, ma era inutile, la paura era troppo forte, ogni volta che muoveva un passo gli sembrava di sentire i rifiuti muoversi dietro di lui. Si voltò di scatto una decina di volte almeno, ma il massimo che vide fu qualche grosso ratto che si muoveva distrattamente. Con i nervi a fior di pelle, ripercorse tutta la strada e finalmente si ritrovò davanti al prefabbricato, con la sua bella targa dell'azienda municipalizzata in evidenza. La luce all'interno era ancora accesa, e quasi si pentì di aver dato dello stronzo al capo. Quasi.
Finalmente poteva cambiarsi e tornarsene a casa, pensò Raffaele. Abbassò la maniglia e fece per aprire la porta, ma quella venne spalancata dall'interno con forza, sbalzandolo indietro di un paio di metri, mentre qualcosa di voluminoso atterrava accanto a lui. Gli bastò uno sguardo per riconoscere la divisa e la sagoma di Michele, la testa girata verso di lui, gli occhi sbarrati sopra la gola squarciata da parte a parte, ancora gocciolante. Terrorizzato, si puntellò sui gomiti e cercò di allontanarsi carponi, lasciando una striscia sul terreno, mentre sulla porta compariva una figura, che lo guardava. Cazzo, quello era il "capobranco" dell'altra sera, pensò disperato Raffaele, mentre il vampiro spiccava un balzo.
Gli atterrò di lato, e la prima cosa che Raffaele sentì fu il fetore che emanava. La serata fra i rifiuti non gli aveva fatto bene... pareva. Subito dopo sentì i suoi denti, che gli penetrarono nell'avambraccio, riempiendolo di dolorose lame. Urlò e cercò di divincolarsi; il vampiro lasciò la presa, si alzò e rimase fermo a fissarlo, il volto immobile e ricoperto di sangue, quasi incuriosito. Si alzò carponi, incespicando, e cominciò ad allontanarsi, reggendosi il braccio ferito. Cazzo quanto sangue, pensò, senza staccare gli occhi dall'orrendo sguardo della creatura.
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Munnezza
HorrorUn netturbino. Che un tempo era altro. Una discarica. Cadaveri. La camorra... o qualcos'altro?