Buona notte - Jack

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Diletta odia il suo lavoro.
Ogni sera è tentata di licenziarsi, solo che poi si rende conto di quanto in realtà le servano i soldi che le danno mensilmente.
Anche solo l'odore di quella discoteca la nausea, da quando ha iniziato a lavorare lì non è più riuscita a toccare una goccia d'alcool.
Il fatto è che non ha molta scelta.
Non sopporta proprio quando le persone si ubriacano fino allo stare male, è stanca di vedere i suoi coetanei collassati su quegli sporchi divanetti o sul bancone che puntualmente deve sgomberare lei.
Diletta è un'insoddisfatta cronica, poco da farci. Non le piace niente della sua vita e potrebbe contare nelle dita di una mano le volte in cui si è guardata allo specchio e ha ammesso di essere fiera di se stessa. La separazione dei suoi ha sicuramente influito molto, nessuno dei due ha mai avuto la premura di complimentarsi per in bel voto a scuola o per qualsiasi altro traguardo raggiunto. Fare l'università non sarebbe stato gratificante in nessun modo, quindi ha deciso a priori di evitarsi studio ed impegno inutile.
E ora sbuffa alla vista dell'ennesimo cretino mezzo addormentato sul bancone dove solitamente si servono i cocktail. Quanto vorrebbe  scappare da Empoli e andarsene all'estero, magari a Londra o a Berlino. Con un fidanzato che la ama e un gruppo di amiche fidate, visto che attualmente la sua situazione non è delle migliori. Non fa altro che litigare con le sue amiche storiche e anche con il suo fidanzato la storia sembra essere giunta praticamente al termine.
Ma si deve arrangiare.
Si fa forza, si arma di pazienza e si avvicina con cautela allo sconosciuto quasi privo di sensi.

«Scusa?» gli muove leggermente la spalla coperta da una leggera giacca di pelle.

Lui non sembra avere intenzione di rispondere.
La faccia schiacciata sul bancone e gli occhi chiusi non permettono alla ragazza di esaminare con esattezza il suo viso. Li vede i capelli ricci con qualche ciocca leggermente bionda, le labbra carnose e un paio di occhiali appoggiati tra i ricci.

«Dovresti andartene, stanno per chiudere e di sicuro non puoi rimanere qui. Sbrigati che devo pulire, voglio solo andare a casa» continua con insistenza a toccargli la spalla per farlo muovere.

E il ragazzo da il primo segno di vita, cerca di ricomporsi per quanto può. Si guarda intorno tentando di mettere a fuoco ciò che lo circonda.
«Ma dove cazzo sono finiti i miei amici?»

«Non lo so e non mi interessa onestamente, puoi gentilmente alzarti e uscire da qui?»

«Non mi sento un granché bene, non penso di essere in grado di mettermi in piedi. Mi gira troppo la testa, che cazzo ho bevuto?»

Diletta odia il fatto che stia usando la parola "cazzo" in ogni frase. Ma non ha voglia di discutere.
«Facciamo così, ti ho un bicchiere d'acqua, ti riprendi in due minuti e poi torni a casa»

«Non posso tornare a casa da solo, ero venuto con quel bastardo di Andrea ma suppongo abbia pensato di farmi un bello scherzo lasciandolomi qui da solo» biascica lui.

Diletta gli passa un bicchiere d'acqua.
Non ha intenzione di portarlo a casa, non sa nemmeno dove abita e l'unica cosa che desidera in questo momento è poter dormire sul suo letto.
«Hai il telefono, no? Chiamalo e fatti venire a prendere, altrimenti tra meno di mezz'ora la sicurezza di caccia ugualmente. Vedi tu cosa pensi sia meglio»

Il ragazzo sbuffa.
«Ma quanto sei simpatica e gentile, tutto il contrario di una barista. Com'è che ti chiami?»
«Ah, hai il cartellino attaccato alla maglietta. Diletta? Bel nome, ti chiami come la Leotta. Vi assomigliate pure un po', gli occhi marroni e i capelli biondi vi accomunano. Tu però sei più naturale, più bella. Jacopo comunque, mi chiamo così» straparla il riccio.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 06 ⏰

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