Prologo

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«Mamma guarda, quel signore è malato» dissi a mia madre mentre camminavamo per strada, mano nella mano.
«Tesoro, cosa stai dicendo?» mi rispose con un sorriso confuso.
«Quel signore col cappello bianco, era in ospedale» la mia voce divenne triste «Sua moglie piangeva tanto».
«Lara, smettila d'inventare frottole!» mi strattonò e salimmo sulla metropolitana.

Ci sedemmo e, quell'uomo si sedette accanto a noi. Mia madre era al cellulare. Parlava sempre al cellulare, la chiamavano in ogni momento.

Mi girai verso l'uomo anziano, sotto al cappello, potevo intravedere che non aveva capelli e le sopracciglia non erano più folte come un tempo.
Mi guardava con un sorriso malinconico.
«Signore, mancherà tanto a sua moglie, vero?» ero solamente una bambina e, non avevo ancora imparato a tenere a freno la lingua. Forse non lo imparai mai.

L'uomo mi guardò basito, finché mia madre non intervenne «Lara, adesso finiscila! Non disturbare il signore con le tue stupidaggini» mi urlò contro, per poi rivolgersi a lui «Mi perdoni, mia figlia ha molta fantasia».

Mia madre si alzò, prendendomi per mano. Dovevamo scendere alla fermata successiva.

Appena mi misi in piedi, il signore col cappello bianco mi sussurrò con un sorriso «Si, le mancherò molto. Ma sarò sempre accanto a lei».

*****

«Signorina Miller, mi racconti ancora una volta come è andata. Aggiunga più dettagli possibili per favore».
«È la terza volta che glielo ripeto ispettore. Le ho detto tutto ciò che ricordavo!» mi rispose con titubanza, mista a nervosismo.

«La comprendo signorina so che è sotto shock per quanto accaduto, ma è molto importante che mi ripeta tutto, ancora una volta. Potrebbe inconsciamente aggiungere nuovi e importanti dettagli» insistetti. Era importante avere più informazioni possibili nelle prime ore dall'accaduto, dove i ricordi sono più freschi.

La vidi prendere fiato. L'ansia le stava pervadendo il corpo, lo intuivo dalle sue mani, che stringevano ripetutamente la manica della giacca in velluto blu.
Fece una pausa, per poi finalmente rispondere.

«Ieri sera ho lasciato l'ufficio alle 18:30 circa. Lucas, il grafico, ha staccato alle 17:00 e il signor Wang se n'è andato poco dopo. Sono rimasta sola, quindi sono stata l'ultima ad uscire. Ho controllato come al solito che tutte le finestre fossero chiuse, poi ho spento le luci, ho inserito l'antifurto e ho chiuso la porta a chiave».

«Chi è a conoscenza del codice dell'antifurto?» aveva già risposto a questa mia domanda, ma c'era qualcosa che non mi convinceva.
«Gliel'ho già detto. Io, Lucas e il signor Wang» rispose spazientita.
«Ok quindi, da quanto mi sta dicendo, lei è stata l'ultima persona a lasciare l'ufficio dopo il signor Wang. Ha spento le luci, chiuso le finestre e ha inserito l'antifurto» questa volta feci io una breve pausa, come per rafforzare le mie prossime parole «È certa di averlo inserito? Magari è un'azione talmente abitudinaria che se ne è dimenticata».

«Ne sono certa, ispettore. È raro che io esca per ultima, quindi le rare volte che succede, mi creda, ci presto molta attenzione. Solitamente è il signor Wang a chiudere l'ufficio» mi rispose tutto d'un fiato.

«Va bene. Sa per caso come mai, ieri sera, il signor Wang è uscito da qui così presto? E magari, sa anche perché poi sia ritornato in ufficio?» cercavo di essere più professionale possibile, volevo fosse lei a dirmi la verità. Una verità che io già sapevo.

«Penso dovesse andare a vedere la partita del figlio, gioca a calcio, ma non ne sono sicura».
«Non ne è sicura? Mi dica, che rapporto aveva con il signor Wang?».

Alla mia domanda, la signorina Miller si alzò in piedi e con fare agitato iniziò a camminare nella stanza.

«Ero la sua assistente da cinque anni. Gli portavo il caffè al mattino, gli tenevo l'agenda, gli organizzavo i viaggi..» mi rispose, ma non ero soddisfatta.

«Gli portava anche il tè al pomeriggio?» chiesi.
«Si. Alle 17:00 in punto preparavo e portavo il tè sia a lui che a Lucas!».
«E mi dica signorina. Anche ieri pomeriggio gli ha portato il tè?».
«Si».

«Questa è la tazza del signor Wang, signorina?» le mostrai la foto di una tazza rinvenuta nel lavandino dell'angolo cottura dell'ufficio.

«Si. Mi potrebbe spiegare che cosa c'entra in tutto questo?» notai che l'irritazione e l'agitazione stavano aumentando.

«Vede, signorina Miller, questa tazza non è stata lavata» dissi con tono beffardo.
«E quindi? A volte capita di lavare le stoviglie il giorno dopo».

«Signorina, guardi bene la foto. E ora guardi questa..» le misi sul tavolo una seconda foto.

«Questa boccetta contiene fluoracetato di sodio, una polvere completamente incolore e inodore se sciolta in acqua» ora ero soddisfatta. Il suo viso divenne paonazzo, iniziò a balbettare leggermente, ma la interruppi, senza darle modo di proferire parola.

«Avrebbe dovuto almeno ricordarsi di buttare il sacco della spazzatura. Ennie Miller, la dichiaro in arresto per l'omicidio del signor Shui Wang» durante quelle parole arrivò il mio collega Paul che l'ammanettò accompagnandola verso l'uscita «Signorina Miller, ha il diritto di restare in silenzio, tutto ciò che dirà potrà essere usato contro di lei. Potrà effettuare una telefonata, se lo desidera».

Mi sedetti sulla sedia, rilassata e ancora con un briciolo di adrenalina in corpo. Questo caso era stato troppo semplice.

In quel momento mi squillò il telefono, era l'ispettore capo.
«Ispettore Walsh, mi è giunta voce che ha appena fatto arrestare l'assistente di Wang. Ci sono delle procedure da seguire e lei lo sa bene!» me lo disse con tono di voce accusatorio.
«Capo posso spiegarle..» ma non mi fece continuare.
«Non m'interrompa Walsh! Questa la consideri l'ultima volta. Non può effettuare arresti basandosi solamente sul suo "sesto senso femminile"! Domattina la voglio nel mio ufficio. Verrà trasferita entro una settimana».

La telefonata si concluse lì, senza darmi modo di rispondere, ma non ce n'era bisogno. L'ispettore capo non avrebbe mai accettato nessuna spiegazione, soprattutto una così "stramba".

Non mi spaventava il trasferimento, mi stavo preparando ormai da un mese a questo giorno. Non sapevo ancora la data esatta, ma poco importava.
Con il mio "difetto" ero abituata a non affezionarmi a niente e nessuno.

In my mind - Nella mente di Lara WalshDove le storie prendono vita. Scoprilo ora