La pistola

192 7 6
                                    

Drabem aveva appena spento le candele quando sfondarono la porta.
Erano in quattro: tre vennero verso di lui, l'ultimo rimase sulla soglia.
Le loro facce erano nascoste da maschere d'ottone, con un grande occhio inciso sulla superficie liscia, interrotta solo da due strette e inespressive fessure.
Sorveglianti.
Anche se Drabem non poteva vedere le loro espressioni, era evidente da come stringevano i manganelli che non vedevano l'ora di usarli.
Il ragazzo indietreggiò fino a sbattere contro il tavolino al centro della stanzetta troppo piccola per essere definita "salotto".
Gettò un'occhiata alla scala che distava solo pochi passi, ma uno di loro si mise subito in mezzo. Non c'era spazio per fuggire.
«Che volete?» chiese, con il cuore che accelerava assieme ai pensieri. «Non ho fatto ni–"
Sollevò le braccia per ripararsi dalla prima manganellata e il dolore si accese subito sotto il polso destro. Un colpo sotto le costole gli strappò il fiato dai polmoni, riempiendogli la gola di nausea e costringendolo a piegarsi su sé stesso.
Tre erano troppi persino per lui.
Cercò di alzarsi e puntare verso la porta, ma gli furono addosso e in un attimo lo spinsero a terra, in due gli bloccarono le braccia.
Perché? Era l'unica domanda che continuava ad affollargli il cervello. Perché?
Cercò di divincolarsi, scalciò con le gambe, provò a girarsi, ma l'unica cosa che ottenne fu prendersi un calcio in faccia.
Tutto divenne bianco di dolore; il pavimento di legno sconnesso sotto di lui pareva ondeggiare come il ponte di una nave. L'unica cosa chiara era il sapore di sangue sulla lingua.
«Stattene buono o te ne do un altro» disse uno dei sorveglianti. «Anzi, quasi quasi...»
Lo stivale questa volta lo colpì al fianco. Avrebbe gridato di dolore se avesse avuto fiato, se non avesse avuto addosso il peso di quei due tizi mascherati a schiacciarlo come uno scarafaggio, impedendogli di respirare.
Non ci volle molto perché tutto da bianco diventasse nero, come se un'oscura galleria lo stesse risucchiando.
Tarìya...
Il volto di lei era l'unica cosa che riusciva a vedere in quell'oscurità.
Il suo sorriso, il profumo di gelsomino, i capelli color del tramonto e...
«Coglioni, così lo ammazzate» giunse una voce, distante come era distante il mondo.
Il peso sparì dalla sua schiena.
Aria.
Si riempì i polmoni come quando restava troppo a lungo sotto le onde. Lo misero in ginocchio, mentre la stanzetta tornava a fuoco. Tossì, e ogni spasmo gli fece dolere il fianco.
«La pistola» disse il quarto Sorvegliante, piantandogli una lanterna davanti alla faccia.
«Co–» cercò di dire Drabem, ma uno schiaffo troncò la domanda. Non un pugno, non una manganellata, ma uno schiaffo carico di disprezzo.
«La pistola. Dov'è?» insistette quello.
«Nella sacca» disse. La sacca che ho preparato stamattina. Perché devo partire all'alba.
Un secondo schiaffo gli fece scattare la testa di lato. «E dove sarebbe?»
«Al piano di sopra» disse Drabem, la bocca ormai piena di sangue.
Sentì i passi di uno dei Sorveglianti salire i gradini, poi l'ovattato sbattere delle sue cose rovesciate a terra. Vetri rotti. Mobili rovesciati e stoffa strappata. Ancora e ancora.
Di nuovo i passi sui gradini. «Non c'è. Ho controllato dappertutto» disse l'uomo appena ridisceso.
Il Sorvegliante che lo aveva schiaffeggiato si chinò fino a trovarsi alla stessa altezza di Drabem. Il ragazzo vide il proprio riflesso insanguinato e distorto dall'ottone lucido della maschera. Attraverso le due piccole fessure, solo per un attimo, guizzò lo sguardo freddo dell'uomo, illuminato dalla lanterna.
«Dimmi dov'è la pistola» sussurrò minaccioso quell'uomo. «Oppure, per te potrebbe finire molto male.»
Il cuore gli batteva come mai prima, lo stomaco era attanagliato da un terrore ghiacciato: Drabem sapeva bene cosa accadeva a chi veniva portato via dai Sorveglianti.
Schiavitù. Una parola pesante come le catene che la accompagnavano. Tarìya. Non rivedrò più Tarìya.
«Te l'ho detto» disse, mentre il sangue gli colava sul mento. «Nel borsone.»
Il Sorvegliante si voltò verso il collega, che scosse il capo.
«Ascoltami bene, ragazzo.»  Gli afferrò la mascella per puntargli la faccia dritta verso quell'occhio dorato e sempre aperto  «Vedi di far lavorare il cervello.»
Drabem cercò di riprendere il controllo del respiro, di sfuggire alla morsa del panico. Più ci pensava, però, più era certo di averla messa nella sacca.
«Pensa» sibilò il Sorvegliante. «Perché se non salta fuori...»
Incrociò i polsi, mimando delle manette; poi scoppiò a ridere, seguito un istante dopo dagli altri.
«Cosa cazzo sta succedendo?» trovò il fiato per chiedere. «Perché volete la mia pistola?"
«Perché se non la troviamo,» disse il suo aguzzino, ridendo come se fosse qualcosa di davvero divertente «sarai nella merda fino ai capelli.»
Pensa, idiota, pensa! Dove l'ho messa? Non posso averla scordata da qualche parte. Non l'avrei mai lasciata in giro...
Costrinse il suo cervello a calmarsi, a ripercorrere i suoi passi di quella giornata, da quando si era incontrato con Tarìya, sulla scogliera...

Padrona del Vento - Episodio I - La TempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora