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L'uomo parcheggiò la macchina vicino alle altre, di fronte ad un cartello arrugginito che recitava «disporsi a pettine». Era piuttosto vecchio, si vedeva, con quella scritta sbiadita sul metallo dipinto malamente di giallo. Non sapeva perché ci aveva fatto caso, di solito non faceva caso a cose di scarsa importanza come quella. Era un uomo obbiettivo, lui.

Infatti, quando fece per aprire la portiera, si meravigliò di come stesse esitando nell'uscire dall'abitacolo, di come la sua mano stesse tremando nell'afferrare la maniglia e di come aveva guardato nervosamente nello specchietto retrovisore come per paura che qualcuno lo potesse spiare.

Si schiarì la voce, pensando a quello che avrebbe detto una volta trovato qualcuno a cui chiederlo. Si chiese ancora una volta il perché di quel viaggio in una terra il cui palazzo più alto aveva a malapena due piani messi insieme dallo sputo, mentre i grattacieli della sua città erano tutti di vetro e perfettamente costruiti a norma di legge. Perché aveva deciso di indagare su una faccenda nella quale lui non c'entrava nulla? O almeno, qualcosa c'entrava, altrimenti non si sarebbe trovato lì, ora. Però doveva essersi proprio rammollito. Anche solo dieci anni prima, ci avrebbe pensato due volte prima di mandare a farsi fottere la carriera che il padre gli aveva costruito così abilmente e che lui si teneva stretta come fa un bambino con il suo peluche.

E invece ora... Ora era pervaso dal senso di colpa, un sentimento per lui assolutamente nuovo.

Un tonfo lo fece tornare alla realtà: un gatto nero piuttosto smilzo - che dire così è un eufemismo - lo scrutava con degli occhi gialli penetranti come se si aspettasse una spiegazione per la sua apparizione palesemente fuori luogo.

Sotto quello sguardo penetrante, sospirò e si decise ad uscire dalla sua Audi nera, che constatò essersi coperta di polvere marroncina. Si appuntò mentalmente di dire alla sua segretaria di portarla a lavare una volta tornato a casa sua.

Appoggiò un piede e poi l'altro sulla ghiaia e si tirò fuori. Subito l'aria si fece strada nei polmoni e gli sembrò quasi troppo pulita, sentiva il bisogno di qualcosa di più...diluito. Si guardò intorno alla ricerca di una qualche presenza umana e scorse un uomo seduto su dei gradini intento a fumare. Subito scansò l'idea di parlare con lui. Non gli sembrava un uomo di cui fidarsi ma piuttosto un campagnolo ubriacone oppure un drogato che vive affidando stanze in nero.

Storse la bocca accorgendosi che, effettivamente, in giro non c'era nessun altro e si trovava quindi costretto a parlare con lui. Si diresse nella sua direzione e non appena ebbe fatto un metro l'uomo lo salutò con una strana enfasi, che non sapeva se reputare amichevole o inquietante.

« Buongiorno! » esclamò.

« Salve » replicò lui senza scomporsi.

Il campagnolo lo raggiunse facendogli segno con la mano se volesse favorire una sigaretta. Subito rifiutò, osservando con diffidenza il fumo che si sviluppava in aria.

Prima che quello potesse attaccar briga facendogli domande a cui non avrebbe voluto rispondere, prese coraggio e chiese ciò per cui era venuto.

« Abita qui un certo Christopher Beffi? ». Usò il tono più cordiale che gli veniva, nonostante fosse piuttosto contrariato dal parlare con gente sconosciuta, che per quanto ne sapeva lui poteva sempre essere intenzionata a fregarlo in qualche modo.

« Guardi, non lo chieda a me » fece quello. « Non sono del posto » si strinse nelle spalle a mo' di scusa, sorrise e si risedette sui gradini.

L'uomo sospirò, piuttosto seccato di aver fatto quel viaggio per nulla. Fece per tornare alla macchina, quando da dietro l'edificio di pietra sbucò un altro uomo con le guance rosse, ma che sembrava decisamente più affidabile dell'altro. Prima che potesse scomparire da qualche parte, l'uomo si affrettò a raggiungerlo.

« Mi scusi » mormorò quasi con il fiatone.

« Dica » esclamò l'altro con tono gentile e con un marcato accento toscano. Sì, aveva decisamente beccato l'uomo giusto a cui chiedere.

« Qui alloggia Christopher Beffi, che lei sappia? » domandò nuovamente, stavolta più fiducioso. Appoggio la mano sul fianco scostando la giacca del suo completo gessato e respirando rumorosamente.

L'altro uomo si fece serio in volto. « Mi dispiace informarla che il signor Beffi è morto l'altra settimana... » disse quasi dispiaciuto di doverlo dire ad alta voce.

« Ah » riuscì soltanto a dire. « Posso fare qualcos'altro per lei? » chiese tornando al suo tono gentile. « No, grazie » mormorò distratto, già perso in altri pensieri.

Si voltò e tornò alla macchina. Si sedette, strinse il volante tra le mani e appoggiò la testa, pesante di pensieri, sui dorsi. Non poteva fare a meno di pensare alla conversazione appena avuta. Era morto, dunque. E lo aveva ucciso lui, aggiunse. Era decisamente un dettaglio di non poco conto... Ma ora cosa doveva fare?

Aveva combinato un bel casino. Lo sapeva che era meglio non indagare, che era meglio non partire e farsi gli affari suoi come aveva sempre fatto, cercando di dimenticarsi di quell'incidente. Ma no, aveva deciso di mettercisi dentro. E ora come avrebbe fatto a tirarsi fuori da quel pozzo senza fondo?

Mentre metteva in moto l'auto non potè fare a meno di notare che le sue scarpe lucide e il bordo dei suoi pantaloni erano coperti da una patina polverosa. Si appuntò mentalmente di dire alla sua segretaria di portarli a lavare una volta tornato a casa perché lui era una brava persona in fondo e, si sa, le persone perbene si riconoscono dall'aspetto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 16 ⏰

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